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MILANO - Segui i soldi e troverai la risposta. Terrorismo e affari vanno di pari passo. Spesso sono a braccetto: il dubbio è che gli Stati arabi con una mano finanzino gli estremisti islamici, con l'altra investano senza badare a spese in Occidente. Con i loro dollari, si accreditano presso i governi e l'opinione pubblica. Abbastanza per aver un'immagine tale da oscurare i pensieri su quello che potrebbe succedere all'interno delle loro mura domestiche. Secondo una ricostruzione del giornale britannico The Guardian, il califfato del terrore sarebbe finanziato dal Qatar,almeno dal 2009, quando il presidente siriano Assad rifiutò la proposta dell'emirato di costruire un gasdotto che si sarebbe collegato all'Europa in concorrenza con il gasdotto della Russia di Vladimir Putin, alleato dei siriani.

Non solo: l'anno successivo Damasco strinse un accordo per un'altro gasdotto con l'Iran, sciita, che avrebbe permesso a quest'ultimo di rifornire l'Europa attraversando Siria e Iraq. Uno sgarro grave per chiunque, ma ancora di più per un Paese arabo sunnita e sufficiente a sostenere qualunque movimento disposto a rovesciare il governo di Assad. Da sempre all'interno dei Paesi musulmani la corrente sciita è in contrasto con quella sunnita e quando subentrano gli interessi commerciali basta poco per dar fuoco alle polveri. Il Qatar possiede un terzo delle riserve mondiali di gas, ma ha un bisogno disperato di un mercato come l'Europa per venderle. E la Siria avrebbe ostacolato un possibile sbocco.

Sul fronte opposto i governi occidentali alle prese con debiti fuori portata sono alla ricerca di investimenti esteri e di materie prime. L'Italia ne è un fulgido esempio. Il fondo sovrano del Qatar ha una capacità di spesa di 130 miliardi di dollari e una passione smisurata per il made in Italy. "Non è questione di soldi, è questione di disponibilità di asset" disse lo sceicco Nawaf Bin Jassim Bin Jabor Al-Thani, presidente del fondo Katara Hospitality, appena siglato l'acquisto dell'hotel The Westin Excelsior Rome di Via Veneto. 

E se all'Italia gli asset di pregio non mancano proprio, l'operazione da 222 milioni di euro nel cuore della Dolce vita romana ha confermato la passione del Qatar per l'Italia. Quello di settembre è solo l'ultimo degli investimenti lungo la Penisola: a Milano, lo scorso febbraio, il fondo sovrano dell'emirato ha comprato per una cifra mai rivelata l'intera area di Porta Nuova, nota al grande pubblico perché sulla sua superficie sorgono il grattacielo, sede di Unicredit, e il Bosco verticale.

L'Italia è un "mercato molto promettente" sul quale il Qatar intende continuare a investire, come dimostrano le iniziative portate avanti negli ultimi tempi: in Lombardia gli emiri hanno già rilevato lo storico Excelsior Hotel Gallia di Milano. In Sardegna si sono detti pronti a correre in aiuto dell'Aga Khan investendo nella compagnia aerea Meridiana e rilevando la Costa Smeralda. Negli interessi del Qatar figurano anche i terreni dell'ex San Raffaele dove sorgerà il nuovo ospedale di Olbia: un'operazione da 1,2 miliardi di euro. Nel complesso ad oggi Doha ha investito in hotel italiani 800 milioni di euro mettendo il cappello anche sul Four Season di Firenze e il Saint Regis di Roma.

Gli interessi qatarioti in Italia però non si limitano all'immobiliare e al turismo. Dopo l'uscita dal capitale di Dubai, Doha è diventato il primo azionista della Borsa di Londra, che dal 2007 ha rilevato Piazza Affari. La prima acquisizione di grido, però, porta il nome della maison del lusso Valentino rilevata nel 2012 dal fondo Permira per 700 milioni di euro. Pochi mesi dopo, a ottobre, l'allora premier Mario Monti tornò dal Qatar con in tasca l'accordo per la nascita di una joint venture paritetica tra il Fondo strategico italiano (Fsi), la holding controllata dalla Cassa depositi e prestiti, e la Qatar holding (Qh): "Iq made in Italy venture", una società con un capitale di 300 milioni di euro che salirà a due miliardi e lo scopo di investire in settori chiave del Paese. Per ora le operazioni non sono state tante, ad eccezione dei 115 milioni di euro investiti nella società che esporta la carne del gruppo emiliano Cremonini.