Guglielmo Epifani chiede una riorganizzazione del Pd e apre alla creazione di un'area socialdemocratica interna al partito. Con il assaggio di Matteo Renzi a Palazzo Chigi "il partito si è trovato sguarnito della figura che avevamo indicato. Dobbiamo ripensare tutti assieme una funzione che il partito deve avere" dice l'ex segretario democratico In mezz'ora su Raitre. "Serve un partito che stia di nuovo in campo" e quindi "deve essere riorganizzato, organizzato meglio".
"Al Congresso si sono sfidate tre personalità su piattaforme politiche diverse. Una ha vinto, le altre due han perso" afferma Epifani, aggiungendo che "non si può vivere in un Congresso perenne", ma "un Pd senza dibattito non esiste". L'ex numero uno della Cgil immagina di organizzare "un'area socialista-democratica, riformista, di pensiero, di riferimento, assolutamente dentro il partito che possa essere uno dei poli di discussione".
È di stamattina un appello di Gianni Cuperlo su Facebook a una riorganizzazione della minoranza Pd. "Io propongo di vederci a Roma, sabato 12 aprile. Non la immagino come una ripartenza (siamo ripartiti troppe volte). La penso come una giornata dove si discute sul futuro dell'Italia e su come la nostra storia si ricolloca nella nuova storia d'Europa. Dove si ragiona, allungando lo sguardo, oltre i confini di gruppi e correnti e si immagina un riformismo radicale dentro un nuovo inizio decidendo a quel punto anche come organizzarsi. Per me il congresso è finito. Ha vinto Renzi, largamente" scrive Cuperlo, che aggiunge che "sento più forte il bisogno di una sinistra ripensata, rinnovata, rifondata. Di un riformismo finalmente libero da subalternità, che non vive solo dentro le istituzioni ma tra la gente comune, dentro i circoli, nei movimenti che non arrivano in prima pagina, nei tanti che presidiano la legalità e una battaglia quotidiana per i diritti umani e civili".
Epifani esprime poi un giudizio sostanzialmente positivo sul Governo Renzi. “I primi passi si muovono nella giusta direzione”, ma il decreto lavoro deve essere corretto in Parlamento. A schierarsi contro il provvedimento erano stati anche altri esponenti Pd come Stefano Fassina e Cesare Damiano.
Il decreto lavoro "viene incontro alle richieste delle aziende, ragione per la quale non capisco le critiche di Squinzi, che sbaglia", ma “non tiene conto del fatto che non potremo avviare al lavoro tutti i giovani, tutti gli ultra 50 con un rapporto di lavoro solo determinato. Questo è un rischio che corriamo”. L’ex numero uno della Cgil si dice convinto che “si discuterà e si troverà un modo di correggere” il decreto, che presenta “più problemi”.
Commentando le dure critiche di Matteo Renzi nei confronti di Susanna Camusso e Giorgio Squinzi, Epifani afferma poi che “in Italia non c’è nessuno che non richieda il cambiamento”. L’esigenza di cambiare è nei numeri: “siamo tornati alla fine della crisi con un Pil in calo del 9%, gli Usa oggi sono a +6%, l’Europa a -3%. Abbiamo avuto tutti gli svantaggi dalla crisi e ne paghiamo ancora il prezzo. Se non cambiamo, non usciamo da questa situazione”. Per questo, secondo Epifani, “sia Squinzi che Camusso vogliono il cambiamento. Tutto il Paese lo vuole. Altro discorso invece è avere opinioni diverse sul cambiamento. Il punto è discutere su quale tipo di cambiamento e con quali mezzi”.
Epifani consiglia a Renzi di aprire maggiormente la porta alle parti sociali. “Per una forza di centrosinistra il dialogo con le parti sociali è una condizione fondamentale, bisogna mantenere un filo di dialogo". Dialogo significa che "il governo non deve fare quello che dicono le parti sociali, ma ascoltare quello che dicono". Sull’altro fronte, “attorno a Renzi la grande parte del paese deve sostenere lo sforzo di cambiamento, perché il Paese deve cambiare, Renzi può farlo e bisogna dargli credito”.
Altro capitolo la polemica sul compenso dei manager sollevata da Mauro Moretti. “Ci conosciamo da una vita. Se gli dovessi dare un consiglio, dico che Moretti oggi deve riflettere non sul suo valore sul mercato, che è alto, perché ha fatto un ottimo lavoro, ma sulla domanda di sobrietà del paese a cui anche chi ha alte responsabilità manageriali deve sottostare”. Inoltre “rifletta e non dia soddisfazione ai tanti che non lo vorrebbero più alla guida delle Ferrovie. Tra chi dice che se ne deve andare, c’è chi non lo voleva confermare”.