La guerra dei due mondi tra Renzi e i sindacati
21 - 12 - 2014Giuliano Cazzola
Più di settant’anni or sono (esattamente il 3 giugno 1944, tre giorni prima del D Day, quando gli alleati sbarcarono in Normandia) i rappresentanti del Pci, del Psi e della Dc sottoscrissero il Patto di Roma da cui nasceva la Confederazione generale italiana del lavoro (la Cgil). Benché i firmatari si premurassero di sottolineare che la Confederazione ‘’è indipendente da tutti i partiti politici’’, l’ideologia entrò a fare parte del dna del sindacalismo italiano. Del resto, già nel documento costitutivo stava scritto che il sindacato unitario dava testimonianza della volontà del ‘’partito comunista, alleato del partito socialista, di stringere con il partito della democrazia cristiana un patto di azione comune il quale prevede la lotta delle grandi masse comuniste e socialiste e delle grandi masse cattoliche (si noti la separatezza, ndr) per un programma comune di rigenerazione economica, politica e sociale’’.
Il codice genetico, di impronta partitica, ha avuto conferma nel tempo. A seguito delle vicende che caratterizzarono il quadro politico del dopoguerra e che determinarono una profonda lacerazione nell’ambito delle forze antifasciste e democratiche, il sindacalismo italiano si articolò, tra il 1948 e il 1950, sulla base di tre grandi confederazioni – la Cgil, la Cisl e la Uil – le quali facevano riferimento alle forze politiche che, a suo tempo, avevano promosso il sindacato unitario. Le tre confederazioni ‘’storiche’’ – ora divise ed in polemica tra di loro, ora unite in patti unitari poi di nuovo divise – hanno vissuto, nel passaggio tra la Prima e la seconda Repubblica, una vicenda che può essere raccontata all’incontrario di quella di Atlantide.
Nella leggenda fu quel grande pezzo di terraferma ad immergersi nelle acque profonde, mentre tutto il resto del pianeta rimaneva a galla; da noi, sono scomparsi o si sono trasformati i partiti ‘’costituenti’’ il Patto di Roma, mentre sono sopravvissuti i sindacati ‘’costituiti’’, al pari di tante altre organizzazioni (economiche, culturali, sociali, sportive e quant’altro) che avevano la medesima matrice delle grandi forze politiche protagoniste della democrazia italiana fino ai primi anni ’90, quando presero il potere gli ayatollah in toga. In seguito, è capitato, sovente, che i sindacati siano stati indotti ad esercitare un ruolo di supplenza di forze politiche indebolite. Comunque, sono sempre stati in grado di condizionarne – attraverso la concertazione o mediante la pressione politica – la linea di condotta e l’azione di governo.
In particolare, nel contesto di uno sgangherato modello di bipolarismo, che ha caratterizzato la vita pubblica italiana fino alla XVII legislatura (l’attuale), la Cgil ha svolto il compito del ‘’nemico implacabile’’ degli esecutivi di centro destra e di ‘’azionista di riferimento’’ di quelli di centro sinistra, guadagnandosi, grazie all’impegno espletato nella prima funzione, il diritto di svolgere anche la seconda. Ciò, fino all’avvento, ai vertici del Pd, di Matteo Renzi, quando, alla stregua del virus Ebola, è scoppiata, improvvisa ma non inattesa, la ‘’guerra a sinistra’’: un conflitto che ha già conosciuto il suo primo atto di ostilità in occasione dello sciopero generale del 12 dicembre. Le questioni del Jobs act Poletti 2.0 e del disegno di legge di stabilità sono soltanto dei casus belli, quasi dei pretesti, di una lotta politica a tutto campo. Come finirà lo scontro tra le due sinistre?
La risposta sta nel divenire delle cose: anche i grandi soggetti collettivi sono prigionieri del proprio destino. La Cgil può fare tutti gli scioperi generali che vuole, può qualificarsi sempre più come un sindacato autonomo, ma non è in grado di grado di cambiare il suo dna: nata da una costola della politica deve trovare dei riferimenti di natura politico-partitica. Susanna Camusso ha capito che la prima fase della sfida a sinistra è stata vinta da Matteo Renzi, che il suo sciopero generale e quelli di Maurizio Landini non sono serviti a nulla, anzi hanno rafforzato il premier-ragazzino.
Renzi può essere sconfitto (o ridimensionato) soltanto sul piano politico, se si darà vita ad una consistente forza elettorale alla sua sinistra, in grado, non di essere un’alternativa (perché da sinistra in Europa non si governa: lo vedremo presto in Grecia) ma un interlocutore competitivo e condizionante. La Cgil è disposta a fare sua questa partita? E con quali altre forze? Forse non è un caso, allora, che, nei settori della minoranza del Pd, si affacci, proprio a ridosso dello sciopero generale (e politico) del 12 dicembre, l’ipotesi della scissione. Dobbiamo aspettarci, settant’anni dopo, un Patto di Roma all’incontrario? Saranno la Cgil e la Uil a fondare il partito che – per dirla, pateticamente, con Carmelo Barbagallo – darà inizio ad una nuova Resistenza?
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