martedì 23 dicembre 2014

Ma basta con questo art. 18.

Jobs act, tra Maurizio Sacconi e Cesare Damiano è battaglia furibonda. Stefano Fassina: "È un decreto scritto con la mano destra"

Pubblicato: Aggiornato: 
MATTEO RENZI POLETTI
Sono ore concitate, queste dell'Antivigilia, tra palazzo Chigi e il ministero del Lavoro. Ore dedicate a limare il decreto sul Jobs Act che vedrà la luce nel Consiglio dei ministri del 24 mattina, convocato alle 10. Ore di trattativa, di scritture e riscritture, anche se a sera il profilo del decreto comincia a uscire dalle nebbie. E prende la forma di un decreto più vicino ai desiderata di Angelino Alfano, che lo vuole scritto con la “mano destra”, rispetto a quelli della minoranza Pd.
Cesare Damiano, dal suo ufficio in commissione Lavoro alla Camera, parla di una “battaglia furibonda”. “Domani d-day della politica italiana. O via l'articolo 18 o via il governo per crollo credibilità” twitta dall'altro fronte il capogruppo di Ndc in Senato Maurizio Sacconi. Il dossier è fisicamente nelle mani di palazzo Chigi, dove lavorano i consulenti economici del premier Tommaso Nannicini e Filippo Taddei. Al ministero del Lavoro invece nel pomeriggio si è tenuto una mega vertice sulla vertenza Meridiana, con il sottosegretario Teresa Bellanova.
Stando alle indiscrezioni, il decreto sembra andare nella direzione più hard, quella che prevede in sostanza una cancellazione di quel poco che restava dell'articolo 18 dopo la mediazione dentro il Pd: sembra confermata l'ipotesi dell'opting out, e cioè la possibilità per l'azienda di optare per l'indennizzo anche in caso di licenziamento illegittimo di natura disciplinare, con una quota di risarcimento che oscilla tra 30 e 36 mensilità. Così come pare assai probabile l'inserimento nel decreto dello “scarso rendimento” come fattispecie per il licenziamento di tipo economico, che dunque non contempla il reintegro, ma solo un indennizzo economico. In una delle bozze di palazzo Chigi è contenuta anche l'ipotesi di estendere le nuove norme ai dipendenti già assunti nelle imprese con meno di 15 dipendenti che dovessero superare questa quota dopo l'entrata in vigore del decreto.
Ma in circolazione non c'è solo la bozza “Chigi”: anche i tecnici di Poletti, che resta il ministro proponente, stanno lavorando a un loro testo più “di sinistra”, che non comtempla il diritto per l'azienda di monetizzare un licenziamento illegittimo di natura disciplinare. Alla fine, forse nella notte, toccherà a Renzi prendere la decisione definitiva. Del secondo decreto previsto, e voluto dal premier, quello sull'estensione dell'Aspi, invece ancora si sa poco. E dal ministero ribadiscono che molto difficilmente potrà essere pronto per il Cdm della Vigilia.
Nel dettaglio, l'indennizzo per i licenziamenti economici oscillerà tra 3 e 26 mensilità, a seconda dell'anzianità di servizio, una quota che fa arrabbiare la minoranza dem: “Non mi pare che possa funzionare come deterrente”, spiega ad Huffpost Stefano Fassina, che parla di un decreto “scritto con la mano destra”. “Non ho mai avuto dubbi che sarebbe finita così, non mi ero fatto illusioni. E' evidente che se il decreto avrà queste caratteristiche avrà avuto ragione chi parlava di una regressione, e si aggraveranno le divisioni dentro il partito”. Nei 30 giorni successivi al decreto, dunque entro fine gennaio, la Commissione Lavoro della Camera darà un parere consultivo e assolutamente non vincolante sul testo del governo. Ma a quel punto i giochi saranno fatti.
I sindacati, a partire da Cgil e Uil sono già sul piede di guerra. “Bisogna evitare errori che rischiano di danneggiare milioni di lavoratori”, avverte il leader della Uil,Carmelo Barbagallo. “Con le nuove regole del Jobs act, più che un contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti rischiamo di essere in presenza di un contratto a tempo determinato fortemente incentivato”, aggiunge ribadendo che “così come è strutturato al momento, si potrebbero generare condizioni paradossali favorevoli all'azienda che decidesse di lucrare sul licenziamento”. Numeri alla mano, la Uil vede il rischio che, grazie agli sgravi fiscali per il nuovo contratto, un licenziamento illegittimo (per un dipendente con uno stipendio lordo di 22mila euro l'anno) possa fruttare 7200 euro all'azienda dopo un anno e 11600 dopo due tre anni di contratto. Secondo Barbagallo, “va escluso ogni criterio che, di fronte ad un atto considerato immotivato e illegittimo, eluda il diritto del lavoratore di rivolgersi con serenità a un giudice terzo. Ecco perchè è impensabile la sola idea di attribuire all'impresa la decisione di qualificare lo 'scarso rendimento', tout court, come un licenziamento economico e, quindi, di prevedere, nel caso dell'illegittimità, sanzioni bassissime”.
“I decreti attuativi saranno ancora peggio della legge delega”, profetizza il responsabile Lavoro di Sel Giorgio Airaudo. Il premier Renzi, che ha parlato anche dei decreti sul lavoro nel suo colloquio mattutino al Quirinale, si dice convinto della bontà del lavoro svolto: “Con il Jobs Act non sarà più facile licenziare, sarà più facile assumere. Eliminiamo il più possibile il ricorso ai giudici. Non è un giudice che deve decidere chi sta in azienda e chi no”. Il premier assicura che i lavoratori licenziati avranno la possibilità di rientrare nel mondo del lavoro attraverso corsi di formazione, che però saranno “veri” e non “un indecoroso marchettificio come accadeva spesso nel mondo della formazione in passato”. “Spero che il Jobs Act consenta nel 2015 di vedere segno più davanti agli indicatori economici italiani”, ha aggiunto il premier nella lunga intervista mattutina con Rtl 102.5.

Nessun commento:

dipocheparole     venerdì 27 ottobre 2017 20:42  82 Facebook Twitter Google Filippo Nogarin indagato e...