venerdì 26 dicembre 2014

Grazie Camusso e sindacalisti nullafacenti. Grazie Barbagallo altro rivoluzionario della Uil sindacato parassita. I giovani sono grati a voi per aver difeso i privilegiati e ignoranti ed aver lasciato loro scappare all'estero.

Investimenti: quando un grafico vale più di mille tweet

Gli Stati Uniti crescono del 5%, noi siamo al palo. La differenza? Nelle scelte di qualche anno fa
   
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Il dato del Pil statunitense è stato uno schiaffo per l’Europa. Come è possibile che l’economia americana cresca del 5% mentre in Europa consideriamo un grande risultato riuscire a superare lo zero di qualche decimale? Per rispondere a questa domanda, dobbiamo analizzare la dinamica degli investimenti, una variabile chiave per misurare lo stato di salute e di fiducia di un’economia. E per farlo un grafico vale più di mille tweet.
Tutte le decisioni economiche sono frutto di valutazioni intertemporali, anche le scelte di “consumo”. Ma se c’è una variabile macroeconomica dove le aspettative giocano un ruolo cruciale questa è rappresentata dagli Investimenti, che nient'altro sono che la cerniera tra presente e futuro. Già Keynes una ottantina di anni fa aveva compreso che la politica monetaria può anche abbattere i costi di finanziamento ma, se non c’è fiducia nel futuro, nessun imprenditore investirà, nemmeno se i tassi d’interesse vengono azzerati.
L’Italia ha perso 100 miliardi di investimenti e vede emigrare 100mila giovani all’anno. Per la ripresa bisogna ripartire da qui

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Nel grafico sottostante è rappresentato l’andamento della componente Investimenti del Pil di tre paesi: Stati Uniti (linea blu con triangolini), Germania (linea arancione con palline) e Italia (linea grigia continua). Per tutti e tre i paesi la serie storica è stata ribasata, in modo che ad inizio 1999 si parta tutti dallo stesso livello, cioè da 100. 
investimenti italia, germania, usa
Investimenti in Usa (blu), Germania (arancio) e Italia (grigio) (1998=100)
Per vedere il grafico in formato ingrandito, cliccare qui
Si può notare come l’adozione dell’euro abbia determinato, nella prima parte dello scorso decennio, una crescita degli investimenti in Italia pari a quella americana. È l’effetto del “dividendo dell’euro” che ci ha regalato tassi d’interesse incredibilmente bassi - lo spread rispetto ai Bund era praticamente nullo -, una moneta stabile e l’illusione di poter competere con i paesi “seri” senza l’arma della svalutazione. Si nota come gli investimenti in Italia continuino a crescere anche durante la mini-recessione che segue allo scoppio della bolla dot.com. Erano gli anni in cui la Germania veniva additata come la “malata d’Europa”. Con il senno di poi, però, la frenata era dovuta alle riforme strutturali che consentirono di porre le basi per il successo del Made in Germany.

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Anche noi avremmo dovuto usare quel periodo d’oro; per ridurre velocemente il debito pubblico, ad esempio, e per fare qualche importante riforma strutturale. Non lo abbiamo fatto e le cose sono andate come sappiamo. La crisi del 2007-2008 determina in tutti i paesi un crollo degli investimenti, ma mentre in Germania e negli USA il punto di minimo viene raggiunto nel 2009, l’Italia imbocca un sentiero discendente da cui non sembra in grado di uscire. Quale la causa? Ad ognuno la preferita: tuttavia, il timore circa la sostenibilità del debito pubblico ed il rischio di una sua ristrutturazione è una chiave di volta importante, per provare a capire questa enpasse. La crisi del debito sovrano in Europa colpisce duramente il nostro paese e blocca anche la ripresa degli investimenti in Germania. Tuttavia, la Germania, dopo che l’azione di Draghi fa recedere il rischio di euro break-up, riprende il trend ascendente, mentre prosegue il crollo degli investimenti in Italia nonostante lo spread si riduca e i tassi crollino ai minimi storici degli ultimi 200 anni.
Alla luce di queste considerazioni si capisce il motivo per cui “Fiducia”, “Speranza”, “Futuro” siano al centro della campagna di comunicazione del Premier. Renzi ha maledettamente ragione quando dice che l’Italia deve vincere la paura del futuro che la attanaglia. Basta tuttavia guardare il grafico per capire che non saranno degli slogan né tantomeno le misere cifre del piano Juncker per invertire un trend così profondo e prolungato.

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