Jobs act. Da Cgil e Uil a Ncd e minoranza Pd: per Matteo Renzi le polemiche non finiscono
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Jobs Act, la battaglia infinita. Dopo mesi di discussioni parlamentari, profonde divisioni nel Pd, e un Consiglio dei ministri difficilissimo la vigilia di Natale, la partita non è chiusa. Il Nuovo Centrodestra, che il 23 dicembre aveva minacciato la crisi di governo e poi si è dovuto acconciare all'eliminazione delle norme sull'opting out e il licenziamento per scarso rendimento, annuncia battaglia. “Il decreto rappresenta un passo avanti ma non è all'altezza di ciò di cui il Paese avrebbe bisogno perchè ancora non concede all'imprenditore la libertà psicologica di assumere un dipendente sapendo che questo atto non si trasformerà in un vincolo indissolubile anche contro ragione”, sintetizza Gaetano Quagliariello. “La nostra battaglia non è chiusa”.
A difesa del governo interviene il vicesegretario del Pd, Lorenzo Guerini. "Non è questione di vincitori e sconfitti - dice -, né di esasperare personalismi. Mi interessa invece che vinca la possibilità di creare lavoro, più stabile, di dare più opportunità alle imprese e di estendere i diritti a chi non ne ha. E tutto ciò, grazie al lavoro del governo e all'impegno del Pd, è ben presente e chiaro nei decreto attuativi approvati ieri l'altro".
Sull'altro fronte la minoranza più dura del Pd spara a zero con Fassina (“Una ulteriore svalutazione del lavoro, Renzi segue la troika”) e D'Attorre, e anche il mediatore Cesare Damiano annuncia battaglia per “modificare le norme sui licenziamenti collettivi”. “Ci faremo sentire nella direzione opposta a quella chiesta da Ncd”. Mentre Forza Italia sfotte gli alfaniani e li sprona a un “sussulto di dignità”. Entro fine gennaio le due commissioni Lavoro di Camera e Senato, presiedute da Damiano e Sacconi di Ncd (esponenti della stessa maggioranza), forniranno i loro pareri non vincolanti sui decreti, con il rischio che siano molto distanti tra loro.
Anche il fronte sindacale resta diviso. Da una parte l'asse Cgil-Uil, che resta compatto e annuncia nuove mobilitazioni di protesta. Dall'altro la Cisl, che pure critica l'estensione delle nuove norme ai licenziamenti collettivi, ma che conserva sul Jobs Act un giudizio “molto distante” da quello delle altre due sigle confederali.
La giornata di Santo Stefano è caratterizzata da varie prese di posizione dal fronte sindacale. Durissima la Cgil, che parla di una “monetizzazione crescente” dei diritti invece che di tutele crescenti. ”I lavoratori (operai, impiegati e quadri) potranno essere licenziati anche senza giusta causa ottenendo il solo indennizzo e questo varrà per i licenziamenti economici, per quelli disciplinari e per quelli collettivi”. Secondo il sindacato di Corso d'Italia, le nuove misure “danno il via libera alle imprese a licenziare in maniera discrezionale lavoratori singoli e gruppi di lavoratori. Più che di rivoluzione copernicana, siamo ad una delega in bianco alle imprese a cui viene appaltata la crescita”. E aggiunge: “Queste misure ledono diritti collettivi ed individuali”. La Cgil mette nel mirino in particolare gli sgravi fiscali per le nuove assunzioni. “Con la Legge di Stabilità, il governo ha elargito alle imprese un contributo di 8.060 euro per ciascun lavoratore assunto con il nuovo contratto, senza alcun vincolo che garantisca la stabilità delle assunzioni: l'impresa prenderà comunque l'incentivo anche se a fine anno licenzierà quel lavoratore”. In sintesi, “il contratto a tempo indeterminato cambierà per sempre la sua fisionomia diventando un contratto a scadenza variabile in base alla convenienza dell'impresa di sostituire la forza lavoro”. Per queste ragioni, “la Cgil continuerà la mobilitazione in modo forte e deciso sino a riconquistare ed estendere i diritti a tutti i lavoratori”.
Un appello alle altre sigle confederali arriva dal leader della Uil Carmelo Barbagallo, che conferma il giudizio critico su un Jobs Act che “non risolverà i problemi del mondo del lavoro. Anzi, farà emergere contraddizioni che non sarà facile gestire”. “Un vero Jobs Act, invece, dovrebbe determinare la soluzione delle crisi aziendali ancora aperte e prevedere investimenti pubblici e privati. Chiederemo a Cgil e Cisl di predisporre, insieme, un percorso comune e iniziative unitarie per ottenere questi risultati”. Secondo Guglielmo Loy, segretario confederale della Uil, l'estensione delle nuove ai licenziamenti collettivi comporta dei “forti rischi”. “La norma renderà più complicati i processi di ristrutturazione e più difficili gli accordi sindacali, con il grave pericolo di iniquità nella scelta dei lavoratori da licenziare da parte dell'impresa”. Secondo Loy, se in futuro si ripresentasse una vicenda simile a quella dell'Electrolux, invece di riuscire a mantenere i posti di lavoro come è accaduto, “i lavoratori da licenziare verrebbero scelti senza criteri equi e andrebbero a casa con una manciata di soldi”.
Di percorsi comuni e iniziative unitarie per ora non c'è traccia. La Cisl parla di un testo “ancora migliorabile”, si compiace per l'eliminazione delle norme sull'opting out e il licenziamento per scarso rendimento, critica i licenziamenti collettivi, loda la nuova Aspi e incalza il governo sul disboscamento delle molteplici tipologie di contratti precari, promessa per ora non realizzata. Dopo le feste, è l'auspicio della Uil, le tre sigle potrebbero ritrovarsi a un tavolo per “riannodare i fili” e immaginare un “percorso comune”. Ma per ora si tratta solo di un auspicio. I due decreti della Vigilia non hanno cambiato lo schieramento delle forze in campo il 12 dicembre, giorno dello sciopero generale: da una parte Cgil e Uil, dall'altra la Cisl.
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