lunedì 2 giugno 2014

Un altro grande intellettuale che si fa ispirare dal sommo Travaglio. Adesso scopre che si deve fare autocritica e che allearsi con Farage è un grande errore. La sconfitta ha sempre un solo responsabile.


Andrea Scanzi
Giornalista e scrittore
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M5S, l’autocritica e l’errore Farage

In più occasioni, da febbraio 2013 a oggi, il Movimento 5 Stelle ha dovuto scegliere tra buon senso e duropurismo. Per esempio: 1) “Fare il nome” al secondo giro di consultazioni, dopo il fallimento di Bersani; 2) “Andare a vedere il bluff” di Renzi, non perché Renzi fosse sincero ma per pura strategia politica; 3) Appoggiare la proposta dei senatori Cioffi e Buccarella contro il reato di clandestinità, come fece poi la Rete (contro il parere di Grillo e Casaleggio). 4) Andare alle consultazioni di Renzi, come decise poi la Rete (ma Grillo accettò la decisione malvolentieri e gestì malissimo lo streaming). Quando giornalisti e addetti ai lavori, pur non antipatizzanti nei confronti dei 5 Stelle (questo giornale), si mostrarono contrari all’agire di Grillo e Casaleggio, vennero puntualmente mitragliati dai talebani e talora dal blog.
Il risultato di domenica scorsa alle Europee e i quasi tre milioni persi dimostrano che una sana autocritica avrebbe fatto bene.
Non è mai troppo tardi, però. Come scriveva ieri Marco Travaglio, la sconfitta può servire al Movimento per ripartire dai propri errori ancora più forti. Dopo l’iniziale autoironia di Grillo e Casaleggio, che lasciava ben sperare, il M5S pare ora portato a riassumere tutto nelle formule da Prima Repubblica “tutto sommato abbiamo tenuto” o nelle frignatine del “è colpa dei pensionati, dei brogli e dei giornalisti”.
Il dossier dei responsabili della comunicazione, cioè più che altro di Biondo e Virgulti (Messora e Casalino non c’entrano), contiene buoni spunti: pure quello, però, pare già essere stato catalogato dai talebani à la Lombardi – che sta a M5S come la Picierno al Pd: disboscatrici di voti – come uno sgradevole incidente di percorso orchestrato dai soliti dissidenti. In realtà quel dossier criticava la boiata del “vinciamonoi“, ammetteva che alcuni parlamentari erano stati percepiti come “saccenti”, riconosceva che era stato un errore non mostrare in tivù i candidati europarlamentari e sosteneva che Renzi è parso più rassicurante: semplici constatazioni di fatto, più che j’accuse vibranti.
Ora il dibattito verte su due temi. Uno: Grillo e Casaleggio devono dimettersi? Risposta facile: no, e comunque non hanno incarichi in Parlamento. Senza di loro il M5S andrebbe incontro al tafazziano “rompete le righe”: a questo proposito è ottima, benché qua e là autoassolutoria, l’analisi di Aldo Giannuli. Grillo e Casaleggio devono però capire che, se loro sbagliano, il danno è tale da inficiare larga parte del lavoro in Parlamento dei deputati e senatori. Autogol come “sono oltre Hitler” ammazzano in un colpo solo tre mesi di battaglie a Camera e Senato. O Grillo se ne rende conto e lo ammette, o a lungo andare risulterà più una zavorra che una risorsa per M5S. E’ questo che vuole? Non credo.
Due: Farage. “L’incredibile incontro fra Grillo e il leader nazionalista, xenofobo e nuclearista britannico Nigel Farage” (Travaglio dixit) ha scatenato una polemica giustamente durissima. Grillo, per dimostrare che Farage è Gandhi o quasi, ha pubblicato sul blog una lunga autodifesa elaborata proprio da Farage e i suoi. Non male: un po’ come chiedere all’oste se il vino è buono; e un po’ come se, per dimostrare la bontà di volersi alleare a Bruxelles con la Lega Nord, un neonato partito inglese chiedesse a Salvini di scrivere una presentazione in cui lo stesso Salvini dichiara di non essere razzista: convincente, eh?
Oltretutto l’autodifesa di Farage contiene non poche inesattezze, come la ricostruzione della cacciata di Nikki Sinclaire (fu messa alla porta da Farage nel 2010, due anni prima del presunto peculato). Grillo dice: “Farage è spiritoso”. E uno sticazzi non ce lo mettiamo, Grillo? Anche Berlusconi è molto spiritoso a cena, ma resta Berlusconi. Grillo dice: “Farage non è razzista”. Certo, non è Goebbels. E quando vuole è efficace: alcune sue requisitorie a Bruxelles sono molto divertenti. Però Farage è anche e soprattutto quello che piace alla Lega (Speroni: “Farage è come la Le Pen, sono equivalenti, lottano su temi comuni”). E il partito di Farage (Ukip) è pieno di intellettuali che negli anni hanno regalato frasi tipo “Certe persone hanno una tendenza naturale a essere soggiogate fin dalla nascita” (David Griffith alludeva ai neri), “Non vorrei avere dei romeni vicini di casa”, “Le alluvioni sono la punizione divina per la legalizzazione dei matrimoni gay” (David Silvester), “Le donne valgono meno, è giusto guadagnino meno, vanno in maternità”.
Da un lato Farage è quello che ha cacciato Borghezio e proibisce l’iscrizione all’Ukip della destra estrema (Bnp), dall’altro è quello che vuole restringere l’uso di burqa e niqab (“Nemmeno io posso entrare in banca col casco”) e che nel 2004 ha applaudito il suo eurodeputato Godfrey Bloom per la frase “Nessun uomo d’affari con un cervello darebbe lavoro a una giovane donna single” (Farage ha poi cacciato Bloom nove anni dopo, quando ha definito le sue colleghe dell’Ukip “mignotte”). Una succinta ma mediamente agghiacciante raccolta del “peggio di Ukip” la trovate quiFarage somiglia al M5S unicamente nella lotta all’eurocrazia. E’ sufficiente per sedergli accanto? Che effetto fa, a una forza “giustizialista” come M5S, avere poi vicino uno che lotta contro l’evasione fiscale ma gestiva un fondo fiduciario all’isola di Man che serviva – lo ha ammesso Farage stesso – per pagare meno tasse?
Grillo e i suoi, per esempio Luigi Di Maio, spiegano che quella con l’Ukip non sarebbe un’alleanza ma una scelta strategica forzata: a Bruxelles si deve fare gruppo, Farage garantirebbe libertà al M5S, l’impatto sulla politica europea sarebbe ancora maggiore e l’Ukip andrebbe visto unicamente come una sorta di taxi. Peraltro, dicono loro, non ci sono alternative: o Farage o niente. Mica vero: Tsipras è per Casaleggio “connotato ideologicamente” (invece Farage è postideologico?), la Le Pen è improponibile e gli altri buonanotte.
Resterebbero però i Verdi, il gruppo naturale per M5S. Monica Frassoni, co-presidente dei Verdi, ha aperto la porta ai 5 Stelle. Lo ha fatto tardi, è vero, e lo ha fatto dopo alcune dichiarazioni molto dure (sue e di tutta la leadership) nei confronti di M5S. Grillo, ovviamente, non ha mancato di pubblicare nel blog le frasi della Frassoni, che ben conosce perché fu proprio lei sette anni fa ad aprirgli le porte del Parlamento di Bruxelles. Ora però l’alleanza coi Verdi è possibile. Grillo si è divertito a bere con Farage: ne prendiamo atto, anche se prima di quella consultazione ridanciana avrebbe dovuto consultare la Rete. Adesso, come ha garantito lui stesso, la decisione su quali alleanze stringere spetta ai militanti, agli iscritti: alla Rete, appunto. Grillo e Casaleggio stanno spingendo perché il web li segua su Farage. Ogni giorno postano qualcosa atto a dimostrare che i Verdi non li vogliono e che Ukip è la scelta giusta. Con il reato di clandestinità gli andò male e la speranza è che con Farage capiti lo stesso. Se M5S siederà accanto ai Verdi a Bruxelles, non comprometterà nulla. Se siederà accanto a Farage, riuscirà in un colpo solo a disboscare un altro milione di voti: come minimo.
P.S. Renzi vanta una maggioranza bulgara, ha quasi tutti i media dalla sua parte e giustamente si sta godendo i dolori dei 5 Stelle. C’è bisogno come il pane dell’opposizione: che dite, 5 Stelle, la finiamo con ‘sto psicodramma o ne avete ancora per molto?  

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