Sciopero Rai, Pier Luigi Celli: «Una grande cazzata»
È contro la mobilitazione. E sostiene Renzi. L'ex dg Celli: «Occasione per tagliare e riformare il ruolo di Viale Mazzini».
INTERVISTA
Con Matteo Renzi, su tutta la linea. La Rai deve cambiare e cogliere l'occasione che le si presenta, senza temere i 150 milioni di tagli proposti dal governo.
Pier Luigi Celli, ex direttore generale della tivù di Stato, non ha dubbi. Lo sciopero indetto dai sindacati è «una vera cazzata».
UNA RIFORMA PER LA RAI. Non si può aver paura di guardare al futuro e chiudersi in un passato rassicurante, è la sua tesi. Si può anche vendere una rete, senza per questo venir meno alla vocazione al servizio pubblico.
Servono nuovi programmi e una riforma. E questo, spiega Celli a Lettera43.it, è il momento giusto per provarci.
Pier Luigi Celli, ex direttore generale della tivù di Stato, non ha dubbi. Lo sciopero indetto dai sindacati è «una vera cazzata».
UNA RIFORMA PER LA RAI. Non si può aver paura di guardare al futuro e chiudersi in un passato rassicurante, è la sua tesi. Si può anche vendere una rete, senza per questo venir meno alla vocazione al servizio pubblico.
Servono nuovi programmi e una riforma. E questo, spiega Celli a Lettera43.it, è il momento giusto per provarci.
- Pier Luigi Celli, ex direttore generale della Rai (©ImagoEconomica).
DOMANDA. Renzi è convinto che in un momento in cui tutta l'Italia stringe la cinghia, anche la Rai possa fare uno sforzo. È d'accordo?
RISPOSTA. Fare un sacrificio non è un problema.
D. Quindi qual è il problema?
R. Semmai, è cogliere l'occasione non solo per tagliare, ma per ridisegnare il ruolo della Rai nel Paese. Bisogna riformare un assetto che è ormai vecchio.
D. Molti dicono che con un taglio da 150 milioni si fanno gli interessi di Mediaset.
R. Una riduzione di risorse di quell'entità si può gestire, credo, con sufficiente tranquillità. La concorrenza a Mediaset si deve fare sul piano dei programmi. Quella cifra di cui si parla può essere recuperata cedendo una quota della società delle torri, Rai Way.
D. In che modo si possono risparmiare 150 milioni in Viale Mazzini?
R. Ridisegnando la Rai si potrebbero recuperare soldi in tanti settori. Bisogna avviare una gestione industriale, e allora si troveranno tutte le risorse che si vogliono.
D. Lo Stato ha avviato una serie di privatizzazioni, ma per molti la Rai è intoccabile. Come vede la cessione di asset della tivù di Stato ai privati?
R. Sono tendenzialmente favorevole e quando ero direttore generale avevamo cominciato a farlo. Bisogna garantirsi che un servizio pubblico ci sia. Che sia fatto da una, due o tre reti cambia poco. La Bbc in Inghilterra ha due reti, così come il servizio pubblico francese.
D. Il caso più clamoroso è quello della tivù greca, completamente ceduta dallo Stato ai privati.
R. Sì, ma non credo che una soluzione così drastica sia né utile né necessaria. Non si deve partire dalla privatizzazione, ma da cosa deve fare la Rai. E su questa base vedere che tipo di risorse e strutture servono. Se alcune possono essere allocate diversamente, allora, è giusto farlo. Serve un ragionamento industriale, non solo politico.
D. La cessione di Rai Way e Rai World può essere una soluzione?
R. Ma quella di Rai Way è una cessione al 49%, quindi resta comunque controllata dallo Stato. D'altra parte l'avevamo avviata noi anni fa, poi è stata bloccata quando divenne ministro delle Telecomunicazioni Maurizio Gasparri. Una scelta poco lungimirante, devo dire.
D. Da cosa si può partire per riformare la Rai?
R. Bisogna capire innanzitutto che ruolo le si vuol dare. È ancora di interesse generale del Paese avere un'emittente pubblica? Io credo di sì. Il problema è che questo servizio pubblico, negli anni, è diventato molto più un servizio ai partiti.
D. Che idea pensa che abbia Renzi?
R. Costringere la Rai a ripensare il suo ruolo.
D. Come può Viale Mazzini tornare a essere un patrimonio dello Stato e non dei partiti?
R. Bisogna trovare una formula tale per cui i partiti e il governo non possano mettere mano direttamente dentro la Rai. D'altra parte la tivù prima dipendeva dall'Iri, quindi il controllo del governo era mediato.
D. Ed era meglio prima?
R. È così che deve essere. C'è anche una sentenza della Corte costituzionale che dice che la Rai non potrebbe dipendere dal governo. Dopo la legge Gasparri, invece, dipende direttamente dal Tesoro.
D. Quindi si dovrebbe tornare a una gestione mediata?
R. Sì. Se è possibile sotto una fondazione.
D. Cosa ne pensa dello sciopero indetto dai sindacati?
R. È una cazzata. Una vera cazzata.
D. D'accordo col premier che ha parlato di «protesta incredibile e umiliante», quindi?
R. Assolutamente sì. I dipendenti devono cogliere l'occasione di ripensare esattamente come deve essere la Rai e contribuire a questa scelta intelligentemente. Hanno la chance per contribuire a ridisegnare l'azienda in cui lavorano e questo fatto non è ininfluente.
D. È giunta l'ora di un cambiamento radicale?
R. Il cambiamento deve essere significativo e radicale fino al punto che consenta di prestare il servizio richiesto dal Paese senza gravarlo di costi aggiuntivi. Bisogna scrollarsi di dosso gran parte dei pesi del passato e guardare al futuro. Questo è un momento storico per il Paese.
D. Migliaia di precari in Rai. Questo è giusto?
R. La tivù di Stato non può essere usata come le vecchie partecipazioni, diventando bacino anti-disoccupazione. Bisogna essere imprenditori di se stessi. Oggi il posto fisso è una realtà che non esiste più. I posti di lavoro si costruiscono partendo dalla propria professionalità.
RISPOSTA. Fare un sacrificio non è un problema.
D. Quindi qual è il problema?
R. Semmai, è cogliere l'occasione non solo per tagliare, ma per ridisegnare il ruolo della Rai nel Paese. Bisogna riformare un assetto che è ormai vecchio.
D. Molti dicono che con un taglio da 150 milioni si fanno gli interessi di Mediaset.
R. Una riduzione di risorse di quell'entità si può gestire, credo, con sufficiente tranquillità. La concorrenza a Mediaset si deve fare sul piano dei programmi. Quella cifra di cui si parla può essere recuperata cedendo una quota della società delle torri, Rai Way.
D. In che modo si possono risparmiare 150 milioni in Viale Mazzini?
R. Ridisegnando la Rai si potrebbero recuperare soldi in tanti settori. Bisogna avviare una gestione industriale, e allora si troveranno tutte le risorse che si vogliono.
D. Lo Stato ha avviato una serie di privatizzazioni, ma per molti la Rai è intoccabile. Come vede la cessione di asset della tivù di Stato ai privati?
R. Sono tendenzialmente favorevole e quando ero direttore generale avevamo cominciato a farlo. Bisogna garantirsi che un servizio pubblico ci sia. Che sia fatto da una, due o tre reti cambia poco. La Bbc in Inghilterra ha due reti, così come il servizio pubblico francese.
D. Il caso più clamoroso è quello della tivù greca, completamente ceduta dallo Stato ai privati.
R. Sì, ma non credo che una soluzione così drastica sia né utile né necessaria. Non si deve partire dalla privatizzazione, ma da cosa deve fare la Rai. E su questa base vedere che tipo di risorse e strutture servono. Se alcune possono essere allocate diversamente, allora, è giusto farlo. Serve un ragionamento industriale, non solo politico.
D. La cessione di Rai Way e Rai World può essere una soluzione?
R. Ma quella di Rai Way è una cessione al 49%, quindi resta comunque controllata dallo Stato. D'altra parte l'avevamo avviata noi anni fa, poi è stata bloccata quando divenne ministro delle Telecomunicazioni Maurizio Gasparri. Una scelta poco lungimirante, devo dire.
D. Da cosa si può partire per riformare la Rai?
R. Bisogna capire innanzitutto che ruolo le si vuol dare. È ancora di interesse generale del Paese avere un'emittente pubblica? Io credo di sì. Il problema è che questo servizio pubblico, negli anni, è diventato molto più un servizio ai partiti.
D. Che idea pensa che abbia Renzi?
R. Costringere la Rai a ripensare il suo ruolo.
D. Come può Viale Mazzini tornare a essere un patrimonio dello Stato e non dei partiti?
R. Bisogna trovare una formula tale per cui i partiti e il governo non possano mettere mano direttamente dentro la Rai. D'altra parte la tivù prima dipendeva dall'Iri, quindi il controllo del governo era mediato.
D. Ed era meglio prima?
R. È così che deve essere. C'è anche una sentenza della Corte costituzionale che dice che la Rai non potrebbe dipendere dal governo. Dopo la legge Gasparri, invece, dipende direttamente dal Tesoro.
D. Quindi si dovrebbe tornare a una gestione mediata?
R. Sì. Se è possibile sotto una fondazione.
D. Cosa ne pensa dello sciopero indetto dai sindacati?
R. È una cazzata. Una vera cazzata.
D. D'accordo col premier che ha parlato di «protesta incredibile e umiliante», quindi?
R. Assolutamente sì. I dipendenti devono cogliere l'occasione di ripensare esattamente come deve essere la Rai e contribuire a questa scelta intelligentemente. Hanno la chance per contribuire a ridisegnare l'azienda in cui lavorano e questo fatto non è ininfluente.
D. È giunta l'ora di un cambiamento radicale?
R. Il cambiamento deve essere significativo e radicale fino al punto che consenta di prestare il servizio richiesto dal Paese senza gravarlo di costi aggiuntivi. Bisogna scrollarsi di dosso gran parte dei pesi del passato e guardare al futuro. Questo è un momento storico per il Paese.
D. Migliaia di precari in Rai. Questo è giusto?
R. La tivù di Stato non può essere usata come le vecchie partecipazioni, diventando bacino anti-disoccupazione. Bisogna essere imprenditori di se stessi. Oggi il posto fisso è una realtà che non esiste più. I posti di lavoro si costruiscono partendo dalla propria professionalità.
Martedì, 03 Giugno 2014© RIPRODUZIONE RISERVATA
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