venerdì 6 giugno 2014

Riceviamo e pubblichiamo.


Otto proposte per riformare

(senza tagliare) la nostra sanità

La spesa pubblica italiana ha il più baso tasso di crescita nell’Unione Europea
Il disavanzo complessivo del Servizio sanitario è stato praticamente azzerato

di Sergio Harari e Francesco Longo

Molti pensano che il nostro Servizio sanitario nazionale sia un sistema universalistico che garantisce cure e servizi a tutti in modo equanime, però con grandi sprechi: ma è proprio vero? Il Servizio sanitario nazionale usufruisce oggi di risorse molto limitate (112 miliardi di euro all’anno) che bastano a garantire le cure per le patologie più importanti, ma lasciano insoddisfatte molte aree di bisogno, dall’odontoiatria alla ginecologia o all’oculistica, tanto che la cosiddetta spesa out of pocket (letteralmente, fuori dal portafoglio) ha raggiunto i 30 miliardi di euro all’anno. Già oggi il 55 per cento delle prestazioni ambulatoriali specialistiche sono pagate dai cittadini privatamente: siamo quindi lontani dall’universalismo tanto sperato. 
La spesa sanitaria
La nostra spesa sanitaria ha conosciuto un tasso di crescita bassissimo negli ultimi anni (1,7 per cento nel periodo 2000-2011) e la spesa pubblica pro capite è oltre il 25 per cento in meno di quella della Francia o della Germania. Il disavanzo delle regioni con piani di rientro è sceso moltissimo (nel 2012 quello della Campania si è ridotto a un decimo di quanto non fosse nel 2005, quello del Lazio a un quinto, ecc.); così, attualmente, il disavanzo complessivo del Servizio sanitario nazionale è stato praticamente azzerato. Anche il numero di posti letto ospedalieri per abitante è stato significativamente ridotto e oggi è uno dei più bassi della Unione Europea, mentre i ricoveri ospedalieri tra il 2000 e il 2011 sono scesi in tutto il Paese del 16,9 per cento. Tutto ciò fa pensare che la tenuta finanziaria del Servizio Sanitario non dovrebbe destare grandi preoccupazioni a breve e medio termine. 
Il nostro è il sistema sanitario più sobrio di tutti i grandi Paesi della Ue, quello con il più basso tasso di crescita della spesa, e malgrado ciò nel 2012 è riuscito a raggiungere il pareggio di bilancio: questo spiega perché nella situazione attuale sia difficile individuare altri significativi margini di efficientamento se non di ordine minore, anche se magari a forte impatto mediatico. Ulteriori tagli determinerebbero molto probabilmente l’ulteriore riduzione della copertura di alcuni servizi. 
Cosa è possibile fare?

1) Dato che sembra impossibile immaginare un aumento del finanziamento pubblico al Servizio sanitario nazionale nei prossimi anni, almeno si definisca che tutti i risparmi ottenibili e ottenuti rimangano all’interno del Servizio sanitario stesso. 

2) Si operi per priorità: alcune aree di intervento dovrebbero essere abbandonate e altre lasciate a una sola parziale copertura pubblica, ciò consentirebbe di investire risorse in altri settori oggi emergenti (come, ad esempio, le malattie croniche). 

3) La mancata spesa in innovazione tecnologica di questi anni rischia di penalizzare moltissimo la nostra sanità; è indispensabile tornare a investire, anche qui facendo scelte di priorità. 

4) Bisogna intervenire sul sistema di compartecipazione alla spesa sanitaria da parte dei cittadini: oggi l’esenzione per patologia è indipendente da qualsiasi forma di reddito, una situazione da ripensare radicalmente. 

5) Lo sviluppo dei sistemi assicurativi e previdenziali necessita di linee di indirizzo, per evitare una eccessiva frammentazione del servizio sanitario che altrimenti rischia di tornare indietro di 40 anni, alle vecchie mutue. 

6) Lo sviluppo di una rete di strutture ambulatoriali potrebbe, da un lato migliorare l’offerta di visite specialistiche, l’area più in sofferenza del Servizio sanitario nazionale, dall’altro affiancare la rete ospedaliera nella gestione dei malati cronici. 

7) I posti letto in strutture socio-sanitarie, dai quelli post-acuti alle lungodegenze e agli hospice anche non oncologici, vanno potenziati. 

8) Si dovrebbero sperimentare modelli di ospedali di insegnamento, dove coesistano università e ospedale anche con nuovi schemi di cooperazione che prevedano, ad esempio, il «prestito» da parte dell’ospedale di figure professionali all’Università, e non solo viceversa come avviene oggi, oltre a una valorizzazione della rete degli Irccs, gli istituto di ricovero e cura a carattere scientifico. Oggi, quattro milioni di europei viaggiano per farsi curare all’estero e il loro numero è destinato a aumentare. Intercettare questo bisogno con politiche di investimento tecnologico e di valorizzazione dei professionisti potrebbe costituire per l’Italia un importante punto di forza e di potenziale finanziamento aggiuntivo per il Servizio sanitario nazionale.

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