martedì 3 giugno 2014

Articolo molto interessante da non perdere.

Sei proposte per il semestre europeo

Dai project bond all’erosione fiscale: sei provvedimenti su cui puntare, ambiziosi ma non velleitari

FILIPPO MONTEFORTE/AFP/Getty Images

  
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La proposta di Renzi nei prossimi mesi per “far residenza” in quell’elettorato che gli ha dato fiducia ma che di solito non vota per il Pd si deve necessariamente muovere attorno a due pilastri, il pilastro italiano e quello europeo.
Nessun ci toglie la convinzione che, sebbene il tema “Europa” sia più urgente che mai, l’influenza politica di Renzi in Europa aumenterà solo se saprà consolidare il consenso in Italia e diventare un esempio per i partiti del Pse che, con l’eccezione appunto del Pd italiano, sono andati molto male a queste elezioni.

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Renzi può chiedere anche in Europa il ricambio del ceto dirigente, la riduzione della burocrazia e dei suoi costi, una politica più attenta alla crescita e meno all’austerità, ma allo stato delle cose non può ottenerle usando il metodo “caterpillar” come in Italia. In Europa, infatti, il Pse è in minoranza e comunque, in una Unione dove ancora troppo spesso l’interesse nazionale viene anteposto a quello comunitario, bisogna stringere alleanze per riuscire ad influenzare l’agenda dei lavori.
Il capitale politico derivante dalla vittoria alle Europee, andrebbe speso per chiedere il posto di Capogruppo dei socialisti europei (quello che fu di Schultz) piuttosto che la Presidenza del Parlamento. Il Capogruppo decide l’agenda della discussione almeno all’interno del gruppo socialista. E di discussione ce ne sarà bisogno, a cominciare dalla designazione del presidente della Commissione Europea.
Sulla scelta del presidente della Commissione va condotta una battaglia di principio. L’unica vera novità di questa elezione è stata la promessa che i cittadini per la prima volta avrebbero “scelto” il successore di Barroso. Il voto non è diretto ma l’impegno dei principali partiti a rispettare l’indicazione degli elettori avrebbe permesso una designazione democratica. Mettere in discussione Juncker (il designato del partito popolare che ha vinto seppur di poco le elezioni), perché inviso a qualche leader nazionale, potrebbe essere un regalo alla propaganda dei partiti anti-europei: l’unica novità delle elezioni viene vanificata e il vincitore del voto popolare sovvertito in un accordo di palazzo.
Vero, prima vengono le cose da fare e dopo le persone, come dice Renzi, ma meglio difendere il principio della democrazia europea e designare un candidato indicato dal popolo piuttosto che uno nominato a porte chiuse in un qualche vertice notturno a Bruxelles. E, se alla fine dovessero prevalere i veti nazionali, sarebbe bene che Renzi e il Pse non lascino il minimo margine di dubbio sulla loro contrarietà ad una scelta opposta allo spirito del Trattato di Lisbona.

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Venendo alle cose da fare, il semestre della Presidenza italiana non può che partire da quello che c’è già sul tavolo europeo, dandosi pochi obiettivi, ambiziosi ma non velleitari.
Sugli eurobond non c’è il consenso dei governi del Nord Europa, non sono d’accordo né i Popolari né i Socialdemocratici di quei Paesi, non sono menzionati nel programma del Pse. Meglio puntare le energie su project bond “veramente” europei, cioè sulla possibilità di finanziare gli investimenti in infrastrutture, in ricerca e sviluppo, nell’energia e nelle telecomunicazioni, potenziando la Bei e utilizzando le risorse finanziarie mobilitate ai tempi della crisi del debito sovrano. A tale proposito, i fondi di garanzia per i project bond potrebbero essere alimentati destinando gli utili conseguiti dalla Bce in seguito agli acquisti di titoli di Stato avvenuti dal maggio 2010 al febbraio 2012 nell’ambito del Smp: stiamo parlando di una cifra ragguardevole, probabilmente superiore a 10 miliardi di euro (differenza tra valore di carico e valore nominale dei titoli ex-Smp al 31/12/2012, quando il punto di minimo era stato superato), che potrebbe alimentare almeno 125 miliardi di investimenti.
Bisogna almeno ottenere che la spesa per il cofinanziamento statale dei fondi europei venga scorporata del computo del deficit. Ma andrebbero scorporate anche tutte le spese che vengono utilizzate per realizzare i grandi obiettivi che l’Unione Europea vuole darsi. Se ad esempio l’Unione europea decidesse di porre obiettivi concreti in termini di aumento del tasso di partecipazione alla forza lavoro, secondo le linee del programma del Pse che prevede tra l’altro l’investimento in servizi di assistenza e supporto per l’infanzia, allora le spese relative alla costruzione di nuovi asili nido, alla assunzione di nuovi insegnanti, dovrebbero essere considerate un investimento comune e in quanto tali co-finanziate e scomputate dalle misure di deficit.
Sul fisco europeo è necessario spostare l’attenzione sull’erosione fiscale. Alcuni Paesi europei hanno scientemente distorto la normativa fiscale a favore delle multinazionali e delle società finanziarie, senza dover pagare lo scotto della barriera al mercato unico come invece accade ai Paesi della cosiddetta “black list”. I buchi della legislazione di alcuni di questi Paesi (Irlanda in primis, ma anche Lussemburgo, Olanda e Inghilterra) sono stati ampiamente documentati dal Congresso Usa e adesso sono sotto la lente dell’Ocse e del G20.  Va proseguito il lavoro impostato dal Governo Letta per restaurare un’onesta competitività fiscale tra sistemi Paese e per non perdere tutte le nostre grandi aziende (Fiat docet) e tutto il business legato all’e-commerce.
Dall’Iva alla carbon tax. È un progetto di largo respiro, ma necessario per concretizzare l’idea di Europa “verde” e per modernizzare una tassa la cui strutturazione è stata determinata in una economia che non esiste più. L’Iva è articolata in un sistema di aliquote volte a privilegiare i consumi «primari» rispetto a quelli di «superflui». Questa suddivisione dell’universo dei beni/servizi è ormai ampiamente superata dai tempi e forse era già obsoleta negli anni ’60: come si possono definire superflui per una famiglia media italiana la lavatrice, il televisore o il cellulare? Proponiamo la trasformazione dell’Iva da tassa sul «consumo individuale» (soddisfacimento di bisogni primari o superflui) a tassa sul «consumo di risorse collettive». Le risorse collettive in questione sono quelle ambientali e sociali. La ragione della tassazione sta nel fatto che nella fase del consumo si generano diseconomie il cui costo grava sulla collettività, sotto forma di inquinamento, smaltimento rifiuti, conseguenze socio-sanitarie.
Politica estera: bisogna iniziare a mettere le basi per una politica comune. In primo luogo, il Mediterraneo deve essere riconosciuto nella sua valenza strategica per il futuro della Comunità. Un problema umanitario come quello del soccorso in mare e dell’accoglimento dei rifugiati deve diventare il banco di prova per la nuova Europa. Anche la messa in comune delle strutture diplomatiche all’estero su alcuni aspetti burocratici come quelli legati alle adozioni internazionali potrebbero dare la sensazione concreta che si sta creando una cittadinanza europea.
In ultimo la Bce. Per il momento è velleitario provare a modificare i Trattati per cambiare il mandato della Bce. Però la Bce si appresta a varare un programma di acquisto di obbligazioni di aziende private. È evidente che non possono essere solo quelle tedesche nonostante esse abbiano miglior merito di credito!
Mario Draghi (Hannelore Foerster/Getty Images)

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Sembrano piccole cose, e non sono certo un progetto alternativo per l’Europa, ma sono delle prove generali. Tutti e sei questi provvedimenti richiedono una contrattazione difficile tra Paesi per la divisione dei benefici, che prelude a meccanismi più chiari di democrazia all’interno della Commissione e del Parlamento Europeo. Speriamo che la consapevolezza di aver toccato il fondo e di rischiare la vittoria netta degli anti-europei al prossimo giro, induca i governi a realizzare che i benefici delle politiche comuni debbano essere ben diffusi su tutto il territorio europeo e non concentrati nei Paesi più influenti.

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