M5s, e adesso? Dopo la "non vittoria" il Movimento si interroga sul proprio futuro. Quale destino per la creatura di Grillo? (FOTO)
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A poco più di un anno dalla sua nascita quale forza politica nazionale, il Movimento 5 stelle si interroga sul proprio domani. Un avvenire radioso, facendo partire l’analisi dal fatto che raramente un movimento di protesta conferma percentuali al di sopra del 20% in due elezioni consecutive. Ma anche ‘futuro incerto e felicità a momenti’, se si considera che l’agognata vittoria “per un voto in più” si è trasformata nella doccia fredda di sei milioni di schede in meno.
Ma allora, pollice alzato o pollice verso? Il calo di suffragi è destinato a essere progressivo o è un assestamento fisiologico? E qual è il futuro della leadership di Beppe Grillo? Le risposte a queste domande costituiranno i tratti somatici del Movimento del futuro.
#Vinciamonoi o #Vincetepoi?
“Io per esempio non parlerei di sconfitta”. Parola di Piergiorgio Corbetta, che insieme a Elisabetta Gualmini ha scritto “Il partito di Grillo”, una sorta di Bibbia sulla natura e sulla composizione del M5s. “Se mi avessero detto prima del voto che avrebbero preso il 20% avrei esclamato ‘Accidenti che tenuta!’. Se dopo un anno da quello storico 25% arrivi al 21%, io direi che si stanno assestando”.
“Parlare di debacle è una sciocchezza”. Anche Pietro Grilli, che guida la Società italiana di scienza politica, concorda con il collega. Ma introduce un ulteriore tema: “C’erano tuttavia i segnali di un possibile successo, loro intorno a questo hanno alzato la temperatura e si sono creati da sé la sconfitta”. Corbetta concorda: “L’errore di Grillo è stato fissare troppo in alto l’asticella. Un partito antisistema che raggiunge quelle percentuali ha comunque ottenuto un risultato notevole”.
“Senza le elezioni passate sarebbe stato un trionfo”, spiega Roberto Biorcio, professore di Sociologia dei fenomeni politici alla Bicocca di Milano. “Detto questo - prosegue - il 25% del 2013 è stata un’eccezione. Il loro consenso fisiologico si aggira intorno al 20%”.
Roberto Weber, che con l’istituto di ricerca Ixé ha studiato i flussi di voto, scende nello specifico, e spiega che il M5s “ha conservato circa il 60% dei voti rispetto al 2013, conquistandosi un flusso in entrata dal Pd di circa 300mila elettori, ma restituendone 1,2 milioni”. E, a fronte di una contenuta quota di elettorato Pdl che si è rivolta a Grillo, “il vero scotto è stato pagato all’astensione: è lì che il Movimento ha rimesso la quota più consistente di elettorato”.
“Complessivamente il movimento non si sgonfia - spiega Alberto Di Majo, che nel suo “Dizionario essenziale” ha studiato il lessico politico del grillismo - ma sta occupando uno spazio politico che esiste e che altri non coltivano”.
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Piazza urlante, piccolo schermo conciliante: una campagna elettorale sbagliata?
È di questi giorni la diffusione di una puntuta analisi degli errori commessi in campagna elettorale stilata dallo staff M5s della Camera. Una disamina che trova una eco nelle valutazioni degli addetti ai lavori: “Grillo è caduto nell’errore di impostare il voto come un referendum sul governo - riflette Biorcio, che sulle strategie del grillismo ha scritto un libro - Così facendo ha generato un diffuso timore nel cambiamento che l’ha penalizzato. Marine Le Pen prima ha vinto, poi ha chiesto le dimissioni del governo. Il Front National ha vinto non attaccando i socialisti, ma battendo principalmente sui tasti dell’antieuropeismo”.
Vi si legge un riferimento nelle parole dell’ex comico, che ha individuato nella “paura di un popolo di pensionati” le ragioni dell’insuccesso. “In parte può essere vero - dice Weber - Si intravede sia una quota fisiologica di ‘restituzione’ del consenso, sia un errore nell’alzare eccessivamente i toni, che ha spinto verso Renzi intere fasce d’elettorato”. La strategia di massiccia presenza televisiva era volta ad arginare questa diaspora: “La maggior parte degli elettori M5s ha meno di 55 anni, per questo il leader ha scelto di andare da Vespa”.
Biorcio aggiunge un elemento: “Una ricerca condotta con Itanes dopo il voto delle politiche ha messo in luce che solo il 32% di chi vota M5s utilizza il web come fonte primaria di informazione. Gli altri continuano a informarsi tramite la televisione e i giornali. Si capisce che i parlamentari, ma anche Grillo e Casaleggio, abbiano deciso di apparire maggiormente sul piccolo schermo”.
Qualcosa però deve essere andato storto. Corbetta è secco: “Il problema sono stati i toni: Grillo ha sbagliato completamente la campagna elettorale. Se arrivi al 25% hai nella pancia un elettorato per così dire moderato. Gli urlatori e gli estremisti li hai conquistati, dovevi puntare sugli altri”.
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Uno vale uno. Ma Grillo quanto vale?
Forse non è un caso che per la prima volta la leadership di Grillo venga messa sotto la lente d’ingrandimento. Molti puntano il dito sulle forme e sulla modalità d’esercizio della guida del Movimento. Qualcuno, come il deputato Tommaso Currò, arriva a chiederne un passo indietro.
“Il dibattito sulla conduzione di Grillo è assai più intenso e potenzialmente esplosivo di quanto non succeda in Forza Italia”, osserva Federico Mello, tra i primi nel mondo dell’informazione a seguire e analizzare il fenomeno M5s, al quale ha dedicato alcuni libri di studio. “È necessaria una disambiguazione della doppia natura del suo ruolo, che un po’ è quello del comico e un po’ quello del politico. Il Grillo comico si pone al di sopra delle parti, fa satira, addita il re nudo. Ma non lo puoi fare se sei alla guida di un movimento così importante, rischi che i paradossi che usi da comico siano letti con le categorie del politico, come è successo per la storia dell’oltre Hitler, un boomerang clamoroso”.
Biorcio si muove sulla stessa linea: “La leadership non verrà messa in discussione tout-court perché è l’unica a poter catalizzare questo consenso. Grillo deve però capire che come comico e agitatore funziona benissimo, ma quando deve interpretare un ruolo più politico fa fatica”.
Grilli parla di un fenomeno di “erosione della guida carismatica”, mentre secondo Corbetta “oggi la leadership dell’ex comico è messa in discussione più per l’incapacità di gestire il risultato elettorale che non per il risultato in sé”. Tuttavia “l’approccio destrutturato e populista adottato dal M5s può rimanere in piedi solamente se c’è una guida carismatica a interpretarlo, altrimenti si sfarina e rischia di scomparire”.
Secondo Di Majo, che da caporedattore del Tempo segue costantemente le evoluzioni dei 5 stelle, “la leadership di Grillo e di Casaleggio è inevitabilmente destinata a cambiare. Se lo scontro è tra loro e Bersani è un conto, ma con Renzi cambia tutto, si è visto, e occorrerà ripensare il ruolo pervasivo che i due fondatori hanno oggi nel Movimento”.
Un ruolo che secondo Grilli rimane fondamentale: “Nel M5s, come in tutti i partiti carismatici, è il capo a dialogare direttamente con i cittadini/elettori. Il partito e i corpi intermedi contano meno. Per di più, mentre Forza Italia si rivolge a un elettorato che ha dei riferimenti precisi, quello del Movimento è assai complesso ed eterogeneo, e con un abbandono di Grillo rischia di disperdersi e polverizzarsi”. Corbetta sintetizza il concetto in una battuta: “Se il leader si dimette fanno la stessa fine di Antonio Di Pietro e dell’Italia dei Valori”.
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Il miraggio del 51%: quale futuro per il Movimento?
Il risultato elettorale ha dunque aperto forse la prima vera riflessione sulla natura stessa del M5s. Un interrogarsi che, secondo Mello, deve investire le basi della struttura grillina: “Loro hanno un approccio millenaristico, e di fronte ad un arresto elettorale faticano a continuare nel solco della retorica dell’interpretazione delle volontà della maggioranza degli italiani”.
Il professor Grilli, ordinario di Scienza politica nell’ateneo di Roma Tre, mette subito in chiaro che le dimensioni del consenso del M5s dipendono da fattori esogeni: “Il futuro dipenderà molto da quel che farà il governo nei prossimi mesi, ma anche da come verrà percepita la politica europea all’interno dei nostri confini”.
Anche a seconda di come si muoverà Renzi, è ancora Mello a spiegare che “si apre una fase nella quale all’interno del Movimento rischiano di acuirsi le fratture tra destra e sinistra, tra nord e sud, e via discorrendo. La creatura di Grillo è un gigante con i piedi d’argilla, e se non sta attento potrebbe non rimanere in piedi”.
Anche Corbetta spiega che il 25 maggio potrebbe essere “solo il primo passo di un declino inarrestabile”. Ma è altresì convinto che “il vero problema è stato quell’iniziale 25% che lo ha sovradimensionato. Un partito anti-establishment come sono loro ha una dimensione naturale che non supera il 10-15%. Detto questo loro rimangono un mistero. Potrebbero assestarsi su cifre più modeste, così come scomparire nel giro di due anni”.
Ma una buona fetta del futuro è nelle mani dei 5 stelle. “Posto che sono convinto che se avessimo votato per le politiche il M5s avrebbe preso la metà - spiega Grilli - credo anche che il loro sia un elettorato eterogeneo, che trova un minimo comune denominatore nell’insoddisfazione per la crisi, per cui ancora oggi è molto ampio”. Weber quantifica il bacino di riferimento “ancora intorno al 20-25%, non credo si possa scendere al di sotto, o si sottovaluterebbe la portata della delegittimazione dei partiti tradizionali. Anche se sarà difficile salire al di sopra di queste cifre”.
“La chiave del loro successo è stata il parlare sia a destra che a sinistra - concorda Mello - perché il comico-Grillo tocca le corde di tutti. Ma o il Grillo politico capisce che deve fare altrettanto, o torni a fare quello che faceva qualche anno fa, quando rappresentava una rete di comitati civici che incalzavano da fuori la politica”.
Per Di Majo la parola chiave è “Fase due”. “Quella che avrebbe dovuto aprire Grillo mesi fa - spiega - cosa che ha iniziato timidamente a fare solo negli ultimi giorni, quando ha iniziato a parlare di nomi e di squadra di governo. Nel Movimento si deve aprire necessariamente un cantiere su questi temi. Anche se la questione cruciale rimane quella di come faccia un partito antisistema a cambiare il sistema se non ottiene una maggioranza schiacciante, cosa che in questo momento appare molto lontana”.
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Grillo di lotta, grillini di governo?
Istituzionalizzazione. O il M5s si avvia verso questa direzione, o è destinato a confinarsi in una situazione magmatica le cui contraddizioni potrebbero risultare esplosive.
Corbetta effettua una sintesi efficace: “Se Grillo non si struttura fallisce”. “L’unica strada per rimanere in piedi - prosegue - è consolidare il ruolo dei vari Di Battista, Di Majo, Taverna. Una classe dirigente intermedia che possa dare solidità alle fondamenta di un progetto finora estemporaneo”.
Grilli utilizza un paragone illustre: “Devono procedere alla stessa operazione che fece la Forza Italia delle origini, inizialmente additata come un partito liquido, di plastica. Se vogliono perpetrarsi nel tempo non hanno altre possibilità”.
Mello concorda, ma intravede delle possibili tensioni all’orizzonte: “Nel Movimento da una parte c’è il racconto di Grillo, dall’altra il desiderio di chi vorrebbe fare più politica. Ma non esistono dei luoghi di elaborazione e decantazione delle divergenze, questo è il problema”. In questo schema “il blog rimane la vera e propria ‘segreteria’ del M5s, fonte di diritto primario nell’universo grillino. E chi ha le password del blog orienta la direzione da prendere”. Ma il vero problema è che “la maggior parte dei parlamentari non ha una visone valoriale in grado di interloquire con la leadership”.
Nonostante ciò, riflette Di Majo, “l’istituzionalizzazione del Movimento sta continuando, alla ricerca di una classe intermedia tra il leader e la base. Smetteranno con azioni eclatanti, che hanno sì un grande ritorno mediatico ma che la maggioranza degli elettori non capisce, e incentiveranno la formazione e l’analisi dei temi”.
“Si sono accorti anche loro che devono far crescere una classe dirigente - sottolinea Biorcio - devi coltivare chi può interpretare gli interrogativi del chi sei e del cosa rappresenti. Per questo si osserva un’accelerazione sulla valorizzazione dei parlamentari, che hanno un altro stile di comunicazione, più semplice e rassicurante”.
“Una forza con le loro caratteristiche - conclude Di Majo - serve al paese, ha un importante ruolo di stimolo. Ma deve iniziare a portare a casa qualcosa, o quei voti rimarranno congelati”.
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Chi dirige la democrazia diretta?
La riflessione arriva gioco forza a comprendere i meccanismi decisionali (o presunti tali) di cui si è avvalso il Movimento nei primi anni della sua vita. Strutture che Di Majo gela con una battuta: “Inevitabilmente la democrazia diretta è diretta da qualcuno”.
Corbetta ritiene “risibile” l’innovazione che Grillo e Casaleggio hanno apportato in questo campo: “Diventa così stringente la questione che o l’utopia che professano si realizza in breve tempo, oppure torna insistentemente la necessità di istituzionalizzarsi”.
Piena la consonanza di vedute con Grilli: “La coreografia del web dove i cittadini decidono direttamente verrà spazzata via con il tempo. Se il M5s non dovesse strutturarsi questo apparato ideologico cadrà in breve tempo”. I riferimenti di scuola attingono a illustri nomi del passato: “Era Bobbio a spiegare più di vent’anni fa che la ‘computercrazia’, come la chiamava lui, non ha modo di esprimersi in un progetto politico e sociale compiuto. Lo stesso Rousseau era netto: in uno stato di grandi dimensioni la democrazia diretta non funziona”.
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Il dissenso interno può diventare un’alternativa al M5s?
Le linee di frattura sull’analisi del voto si intersecano in questi giorni con quelle di chi contesta l’alleanza con lo Ukip, il partito del leader britannico Nigel Farage. Ma è difficile che chi rivendica da tempo maggior autonomia e maggior trasparenza nei meccanismi decisionali possa proporsi concretamente come un concorrente credibile della creatura di Grillo.
“La scelta di Farage viene spiegata con la possibilità di mantenere autonomia di voto sulla maggior parte dei temi - spiega Mello - Ancora una volta il metodo prevale sul fine da perseguire”. Nonostante ciò “i dissidenti grillini mancano di intelligenza politica, sono privi di qualunque strategia che non sia l’attacco ai due diarchi”.
“Su quel versante non cambierà nulla - concorda Di Majo - le tensioni sono all’ordine del giorno, senza che ne derivino scossoni particolari”. Secondo il giornalista del Tempo, l’unica eccezione potrebbe chiamarsi Federico Pizzarotti. “Se il sindaco di Parma esce e si salda con i dissidenti storici, a partire da Tavolazzi, potrebbero creare qualche difficoltà. In tutti gli altri casi, il dissenso avrà vita breve: o si spegne o è destinato a risolversi in qualche altra espulsione”.
Per Mello “al Senato i fuoriusciti potrebbero veramente adottare lo schema originario, quello di votare i singoli provvedimenti, ma il loro peso non sarà consistente”. Anche secondo l’autore del volume di recente uscita “Perché non funziona la democrazia digitale” infatti “solo Pizzarotti avrebbe la forza e la credibilità per svolgere questa operazione. Ma non può farlo contestando dall’interno, deve uscire e mettere in discussione la verità ufficiale, articolare, sul territorio e sulla rete, la galassia del dissenso. Altrimenti è tempo sprecato”.
Anche il versante europeo è destinato a risolversi in una bolla di sapone: “Grillo non si sta spostando a destra - spiega il professor Biorcio - e l’alleanza con Farage è una mossa tattica che, se creerà qualche scossone, è destinata ad essere digerita in breve”.
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In sintesi: il M5s non ha perso le elezioni, ma ha sbagliato in pieno sia la strategia comunicativa della campagna elettorale, sia la gestione del dopo voto. Su questi due punti la leadership dei fondatori è oggi messa in discussione: a seconda di quale strada intraprenderanno, la loro creatura è destinata a confinarsi nei bacini dei tradizionali movimenti di protesta (10-15%), o a mantenere un consenso superiore al 20%. In ogni caso Grillo e Casaleggio, la cui guida rimane indispensabile, dovranno ripensare il Movimento alla luce dell’impossibilità di realizzare un’utopia di governo in solitaria. La strada - appurato il dissenso interno come sostanzialmente estemporaneo e inefficace - è quella della progressiva istituzionalizzazione e messa da parte delle logiche della democrazia diretta, un approccio troppo complesso e ambizioso per una democrazia occidentale dall’ampio corpo elettorale. La sfida, nelle prossime settimane e nei prossimi mesi, sarà quella di trovare luoghi di elaborazione politica e culturale per far decantare il risultato delle urne e pianificare una strategia complessiva per il futuro. Ci riusciranno? Dalla risposta a questa domanda dipende il futuro del Movimento.
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