Linkiesta è stata uno dei primi giornali ad occuparsi di Uber, l’app americana capace di fornirti un autista personale in ogni momento della giornata. Ci è subito sembrata una notizia importante la possibilità di scardinare dal basso il corporativismo del nostro servizio Taxi, ancorato ad un meccanismo medioevale fuori tempo massimo per garantire la mobilità in città come Milano ma non solo. Basti dire che la grande maggioranza dei tassisti ancora non offrono la possibilità di pagare con carta di credito...
A riprova di quanta domanda di mobilità resti repressa e non soddisfatta dall’attuale sistema di trasporto c’è anche il boom del car sharing. Altra innovazione vista come fumo negli occhi dalle organizzazioni dei taxi. Di più. Uber ci è piaciuto fin da subito perché è il simbolo di come la tecnologia, oggi, possa mandare ko qualsiasi vecchio dinosauro che si ostina a non voler accettare il mondo che cambia. Vorremmo ci fossero dieci, cento, mille Uber in ogni campo di gioco italiano: giornalisti, avvocati, notai, commercialisti, architetti, ingegneri, farmacisti, insegnati e via elencando. Per questo sposiamo volentieri la campagna #IoStoConUber e invitiamo i nostri lettori a firmare la petizione. In questo caso, davvero, mercato è libertà.
Tanto più se poi accade che, certi tassisti, decidano di fare un passo oltre il legittimo nell'affermare il loro dissenso, come successo qualche settimana fa ostacolando lo svolgimento di un panel durante Wired Next Fest, a Milano. Addirittura aggredendo Benedetta Arese Lucini, manager Uber per l'Italia, con oggetti contundenti e petardi.
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