Libia, attacco al Parlamento e violenti scontri a Bengasi: decine di morti
Il Paese di nuovo nel caos. L'ex generale Haftar, a capo dell'offensiva: "Azione contro le milizie integraliste". Ma il governo di Tripoli parla di "colpo di stato". Nei combattimenti in Cirenaica sono almeno 79 le persone uccise e 141 feriti
TRIPOLI - Un attacco armato contro la sede del Parlamento libico, a sud di Tripoli. Colpi d'arma da fuoco, esplosioni. Alcuni uomini armati sarebbero entrati nell'edificio e hanno appiccato un incendio. In precedenza la sede del Parlamento era stata evacuata. Secondo alcuni testimoni, sarebbero stati rapiti anche due parlamentari, ma la notizia non è stata confermata. Il corrispondente del Guardian da Tripoli, Chris Stevens, ha scritto su Twitter che gli scontri si sono subito estesi anche in altre zone della capitale.
Chi è Haftar. Secondo un portavoce del Parlamento ad attaccare sono stati i paramilitari di Khalifa Haftar, ex generale in pensione scomunicato dal governo e ora a capo di un esercito paramilitare che da settimane sta mettendo a ferro e fuoco la Libia "contro le milizie islamiche che destabilizzano il Paese". L'agenzia ufficiale Lana ha detto che gli aggressori hanno bloccato le vie d'accesso limitrofe all'edificio. Secondo testimoni, un convoglio di veicoli armati era entrato in città, proveniente dalla strada di collegamento con l'aeroporto.
L'obiettivo dei militari ribelli. Pare che l'obiettivo delle forze di Haftar, alle quali si è opposta la resistenza di altri militari, siano gli islamisti presenti in Parlamento, responsabili, a loro giudizio, di fornire protezione alle milizie ribelli di Bengasi. L'edificio sarebbe stato abbandonato dai deputati presenti, ma al suo interno sarebbero rimasti alcuni dipendenti. Oltre all'edificio del Parlamento, le truppe ribelli avrebbero preso di mira anche una vicina base militare controllata da una milizia islamista.
L'offensiva a Bengasi. Da venerdì scorso, Haftar ha lanciato, senza l'autorizzazione del governo, un'offensiva militare contro le milizie islamiste di Bengasi, capoluogo della Cirenaica. Nella loro campagna, le forze fedeli ad Haftar stanno impiegando anche velivoli e truppe governative. Almeno 79 persone hanno perso la vita e 141 sono rimaste ferite negli scontri avvenuti a Bengasi tra gli uomini di Haftar e milizie integraliste islamiche. Di fronte all'ennesima crisi, il governo di Tripoli ha accusato Haftar di voler mettere in atto un colpo di stato e le forze armate hanno vietato tutti i voli sulla città orientale considerata il cuore della zona petrolifera.
"Contro le milizie islamiste". Ma tutte le bellicose dichiarazioni del potere centrale sono finora cadute nel vuoto. Haftar, che accusa il governo a interim di non avere il mandato, è intenzionato a portare avanti la sua campagna armata motivata con la necessità di riportare l'ordine a Bengasi debellando le milizie islamiche. "Questo è l'inizio di una battaglia nazionale. Non è un colpo di stato, non è una lotta per il potere", ha detto l'ex generale sostenendo che sono stati "i terroristi" a imporre l'uso delle armi.
Chi supporta Haftar. Le forze di Haftar, a quanto pare appoggiate da militari dell'esercito regolare, si sono ritirate alla periferia della città dopo aver attaccato le basi delle milizie islamiche Rafallah al-Sahati e February 17. Negli scontri sono stati coinvolti anche altri gruppi integralisti, compreso Ansar al-Sharia. Nel confermare che l'offensiva continuerà fino a quando "la Libia non sarà liberata" dagli estremisti, un portavoce di Haftar ha chiesto agli abitanti di diversi quartieri di Bengasi di lasciare le proprie case per non finire al centro dei combattimenti. Lo stesso "consiglio" è stato dato da una milizia islamica.
Un paese nel caos. Le violenze di Bengasi confermano quanto debole e precario sia il controllo che le autorità centrali esercitano sul Paese dopo il conflitto che nel 2011 si concluse con la caduta e l'uccisione di Muhammar Gheddafi. Bengasi fu il cuore della rivolta contro il raìs, ma dopo la caduta di ques'ultimo, il potere reale l'hanno preso le milizie formate dagli ex ribelli, tra cui sono in continuo aumento quelle legate al radicalismo islamico. Negli ultimi due anni, nell'est della Libia sono state uccise circa 200 persone che ricoprivano incarichi di vario genere nella polizia, nell'amministrazione, in magistratura o in politica. Tra le vittime l'ambasciatore statunitense Chris Stevens e altri tre cittadini Usa, assassinati durante un attacco l'11 settembre 2012.
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