A Palazzo Chigi, la mossa del ministro della Pubblica Istruzione Stefania Giannini è piaciuta tanto quanto non è piaciuta quella del presidente del Senato Pietro Grasso. Ora, agli occhi di Matteo Renzi, sono entrambi schierati dalla parte della conservazione, contro quella riforma costituzionale - con la trasformazione dell’assemblea di Palazzo Madama e la revisione del Titolo V - che, secondo i calcoli del premier, il consiglio dei ministri dovrebbe varare all’unanimità oggi. Unanimità proprio per dare il segnale di una squadra compatta al lavoro “per il cambiamento”, missione vitale per il presidente del Consiglio al punto che qualcuno dei suoi alla Camera non esclude che “se la Giannini votasse contro, sarebbe fuori dal governo…”. Nella cerchia ristretta di Renzi i termini non sono così perentori. Ma quel che è certo è che la linea non cambia: “Avanti sulle riforme oppure salta il banco e si torna al voto”, è il ragionamento di Renzi, pronto a reagire a muso duro come ogni volta che intravede ostacoli sul campo. La tattica ancora non ha sciolto le riserve interne al Pd in Senato ma a Palazzo Madama tira aria di isolamento intorno a Grasso.
Ai piani alti del Pd a Palazzo Madama comprendono le obiezioni di Grasso nel merito della riforma costituzionale, ma si guardano bene dal difendere la mossa di attacco sferrata dal presidente del Senato in due interviste: a Repubblica e a ‘In mezz’ora’ di Lucia Annunziata su Raitre. La definiscono una mossa “politica” che sconfina rispetto alle prerogative di una seconda carica dello Stato e che denota “mancanza di senso delle istituzioni”. Considerazioni che non vengono sconfessate nemmeno tra i 25 senatori Pd firmatari del documento che chiede a Renzi di aprire al “confronto” sulle riforme in Parlamento. Del resto, il riferimento a Grasso è stato aggiunto in corsa, solo ieri: il documento era comunque pronto anche prima delle interviste del presidente del Senato. “Viviamo una fase in cui sono saltate un po’ tutte le liturgie – spiega il lettiano Francesco Russo, promotore del testo dei 25 – Del resto, è anche abbastanza irrituale che sia il governo e non il Parlamento a presentare un testo di riforma costituzionale. Comunque io prendo il buono che c’è dall’iniziativa di Grasso. E cioè il fatto che bisogna valorizzare il lavoro dei gruppi”. Un altro firmatario, Stefano Esposito, sottolinea che “noi non siamo d’accordo con la proposta di Grasso di mantenere l’elezione diretta per i senatori. Non è questo il punto. Siamo d’accordo con Renzi sul fatto che il nuovo Senato non dovrà votare la fiducia ai governi né le leggi di bilancio. Però pensiamo che dovrebbe poter discutere di politiche europee, visto che hanno attinenza con i fondi ad uso delle regioni i cui rappresentanti andranno a comporre la nuova assemblea. E poi non ci convince la presenza dei sindaci nel nuovo Palazzo Madama”.
Insomma, il punto è poter discutere, avere modo di “partecipare alla riforma”, dice Russo, visto che “anche Berlusconi sta presentando una sua proposta di legge…Perché il Pd no?”. “Se discutere è da conservatori, che me lo dicano – insiste Esposito – Questa è la tecnica di Grillo, è quella adottata in passato da Berlusconi, ma io sono del Pd… Non voglio essere un neo-grillino o un neo-berlusconiano”. Da parte sua, Renzi sta pensando di aprire il ddl alla discussione, per esempio su quei 21 senatori di nomina presidenziale che non piacciono anche a molti della sua cerchia ristretta. E non esclude altre modifiche, ma di fronte al muro contro muro – come quello scatenato da Grasso – il premier non fa sconti. “Loro conservano, noi vogliamo cambiare”. Avanti tutta. Né si lascia intimidire dai tentativi di riorganizzazione interna della minoranza Pd, che domani darà vita ad una nuova area riformista, che unisce bersaniani come Alfredo D’Attorre e Nico Stumpo, il capogruppo alla Camera Roberto Speranza e dalemiani come Andrea Manciulli ed Enzo Amendola, la lettiana Paola De Micheli.
“Sono fiducioso nel fatto che il Partito Democratico seguirà compatto la proposta del premier Renzi", sottolinea il renziano Dario Nardella, candidato alle comunali a Firenze. E se proprio non dovesse succedere, il premier accetterà la sfida del ritorno al voto, così almeno potrà provare ad eleggere parlamentari che lo rappresentino di più di quelli attuali. Ma per ora questa è la carta di riserva da usare solo ed estremamente in caso di necessità. Ed è estremamente importante che Renzi fissi questo momento della verità a “prima delle europee”. Non è un caso che il premier voglia approvare le riforme costituzionali in prima lettura prima del voto del 25 maggio: per dare un segnale agli elettori, sì, ma anche per capire se è il caso di riportare tutti al voto. capirlo prima e non dopo un’eventuale batosta elettorale conseguente al fallimento delle sue riforme.