L'interessante studio di Forbes Insight
La strenua resistenza alla crisi dei super ricchi
Il trend dei grandi patrimoni in Europa è in (apparente) contraddizione con la condizione di crisi
La crisi che ha tormentato vaste parti d’Europa dal 2008 ha provocato drammi sociali che non si vedevano da tempo. Ma non per tutti: le grandi fortune non solo non sono state intaccate, ma al contrario sono aumentate. Lo si sapeva, guardando anche l’aumento stratosferico della disparità tra più ricchi e più poveri, ma a metterlo nero su bianco è uno studio appena pubblicato da Forbes Insight, in collaborazione con Société Générale Private Banking. Uno studio intitolato Behind the Staying Power of Wealth Creation in Europe (che approssimativamente potremmo tradurre:Che cosa c’è dietro il permanente potere di creazione di patrimoni in Europa).
Ebbene, i dati parlano chiaro: negli ultimi 25 anni l’Europa ha aumentato la sua quota di grandi fortune (i famosi “miliardari”) dal 27% al 29%, un aumento che diventa ancora più vistoso se si guarda all’aumento della quota in termini di valore: dal 24% del 1989 al 30% di oggi. E la riprova che la crisi non ha sostanzialmente intaccato i super ricchi è dato dal fatto che negli ultimi due anni la sola Europa occidentale ha visto aumentare le fortune del 17%, contro il 9% dell’Europa emergente (Est Europa e Russia), anche se meno, certo, del 18% degli Usa e soprattutto del 34% dell’Asia. Andiamo a guardare il dettaglio: mentre nel 1989 il numero di miliardari in Europa era pari a 53, nel 2013, se non si considera la Russia, siamo a 299 - un aumento del 460%. Se ci si inseriscono anche i russi, ovviamente si schizza ancora più in alto: 409 grandi fortune (l’aumento è allora del 670%). In valori assoluti l’Europa nel suo complesso è passata in 25 anni da super patrimoni per un totale di 85 miliardi di dollari alla bellezza di 1.627 miliardi di dollari (un aumento del 1.814%), seconda solo agli Usa (passata da 96 miliardi di dollari a 1.872, con un aumento del 1.850%). Da notare però che, quando si parla di valore delle ricchezze complessive dell’Europa, un grosso contributo negli ultimi 15 anni è arrivato da Turchia, Russia e paesi dell’Est Europa (che dispongono oggi del 39% delle grandi fortune complessive del Vecchio Continente).
Guardando poi i paesi, si vede che l’Italia ha seguito il trend, fino a tutto il 2013: è passata da 6 miliardari del 1989 a 23 del 2013, ovvero da super patrimoni da 10 miliardi a 113 miliardi di euro. Per raffronto, la Germania è passata da 31 miliardi di dollari a 296, la Francia da 9 miliardi a 143, il Regno Unito da 9 a 121 e la Spagna da 4 a 100. Nel complesso i paesi nell’Europa Occidentale con il più alto tasso di crescita di miliardi e relativi patrimoni sono Regno Unito e Spagna. A Est spiccano - e non ci si stupisce - la Russia e la Turchia.
Non finisce qui. L’Europa è prima in classifica per quanto riguarda la longevità delle fortune: sempre in riferimento agli ultimi 25 anni, il Vecchio Continente registra un tasso di sopravvivenza del 78%, seguito dagli Stati Uniti (73%). E quelle che meglio sopravvivono (stiamo parlando qui dell’Europa Occidentale, dove le grandi fortune sono più vecchie) sono quelle controllate dalle famiglie (il 67%) e per lo più ormai giù alla terza o quarta generazione (52%). Molte, insomma, sono fortune ereditate, «contraddicendo - commenta lo studio - il mito secondo cui la prima generazione di una famiglia imprenditoriale crea la fortuna di famiglia, la seconda la consolida e la terza la dilapida». L’unico paese europeo che si avvicina all’ideale del self-made man è la Gran Bretagna, dove l’81% dei miliardari di oggi si è fatto da sé, contro il 33% della Germania o il 43% della Francia. «Il vantaggio dell’accumulazione delle ricchezze nell’Europa Occidentale - si legge nel rapporto - sta tradizionalmente nell’aver creato marchi molto forti che sono stati e sono tuttora oggetto di desiderio in tutto il mondo» - da Bmw a Ferrari, da l’Oréal a Nivea, da Swarowski a Vuitton, ad Armani.
Forbes avverte tuttavia che per l’Europa c’è un tallone d’Achille da tener d’occhio nei prossimi anni: mentre hanno creato marchi storici, «gli europei non sono stati capaci di costituire fortune basate sulla tecnologia nella stessa misura di altre regioni. Il russo Yuri Milner è¨ stato un grande sostenitore delle compagnie tecnologie Usa, e poi c’è il re dell’Internet francese Xavier Niel, ma altrimenti non ci sono molte fortune originarie dell’Europa basate sulla tecnologia, mentre ci sono svariate fortune high tech in Usa e ora anche in Asia». Eppure, raccomanda il rapporto, molti dei grandi patrimoni storici ancora vigorosi si basano su avventure antesignane di quelle odierne dell’era Internet: basta guardare alla tedesca Siemens, fondata a metà Ottocento puntando proprio sulla tecnologia. «Le famiglie europee (occidentali n.d.r.) - conclude il rapporto - sono riuscite nell’arte di mantenere in vita imprese di successo per generazioni, e molte delle nuove fortune nella regione dimostra che il fenomeno prosegue. Ma non sarà che l’Europa occidentale ha bisogno anche di un altro tipo di imprenditore, uno che sia indipendente da legami familiari e vada al di là della tradizione di insegnare il buon gusto al mondo?». La risposta, nel rapporto, non c’è.
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