Il cartellino rosso lo tira fuori lui, il premier Matteo Renzi, nell’intervista a Skytg24: “Il presidente del Senato Grasso è un arbitro, non può giocare”. Nel giro di 24 ore, il presidente del Consiglio sgonfia il caso creatosi intorno alle dichiarazioni del presidente del Senato, a dir poco scettico sulla riforma costituzionale che oggi il consiglio dei ministri ha alla fine approvato all’unanimità. Del resto, spiegano i renziani della prima ora, Renzi ha fiutato ‘l’affare’ subito, non appena ha letto delle parole di Grasso e anche non appena ha appreso della scelta di Beppe Grillo di firmare l’appello di Gustavo Zagrebelsky e della sua ‘Libertà e Giustizia’ contro il ddl governativo. “Ci hanno fatto un regalo perché la gente è con noi, non con loro che vogliono frenare…”, esultano dalla cerchia più fedele al segretario-premier. Pure i distinguo di Stefania Giannini si sono sgonfiati come un palloncino in un consiglio dei ministri che a Palazzo Chigi definiscono “collaborativo”, con il ministro della Pubblica Istruzione che si sarebbe anche scusata “per essere stata fraintesa” con le sue critiche al ddl governativo.
Prima della riunione dell’esecutivo, Giannini aveva definito “inconsueto” il fatto che il governo si intesti una “proposta di legge” sulle riforme, tema di iniziativa più parlamentare. Il ministro poi suggeriva “qualche momento di riflessione e maturazione in più” a Renzi. Distinguo che però non si sono assolutamente tradotti in un braccio di ferro in consiglio dei ministri. Quello della Giannini è stato “un invito al buon senso – spiegano dal ministero - perché la rapidità non sempre porta frutto…”. In consiglio dei ministri poi, è stato il responsabile dei Beni Culturali, Dario Franceschini, a richiamare tutti alla “coesione e lavoro di squadra”. Giannini insomma altri margini di manovra non ne aveva, di fronte all’argine costruito dal premier: da una parte il “governo del cambia verso”, dall’altra “i benaltristi”, specifica Renzi in conferenza stampa, seduto tra Maria Elena Boschi e Graziano Delrio, al termine del consiglio dei ministri. ‘Tertium non datur’ per nessuno: i calcoli di consenso elettorale non lo consentono.
“Non blocca il cambiamento chi non la pensa come noi ma chi, dopo 30 anni di discussione sul bicameralisno perfetto, dice che ben altro è il problema, i 'benaltristi'".
Frase pronunciata con la convinzione di chi si sente finalmente fuori dal tunnel delle polemiche sulle nomine di ministri e sottosegretari, fuori dalle ombre del manuale Cencelli che pure Renzi ha dovuto usare per crearsi la squadra. “Lo sforzo che stiamo facendo è molto ampio – spiega il premier -ma, a giudicare da quello che stiamo ricevendo, gli italiani mi sembrano davvero convinti e vedono che c'è una classe politica che rischia insieme a loro. Ci prendiamo un po’ di vento in faccia ma il cambiamento passa da ciascuno di noi". 
Il punto di vittoria più goloso però Renzi sente di averlo segnato contro Beppe Grillo, il vero avversario del suo Pd alle europee di maggio. “La scelta di Grillo di firmare l’appello di Zagrebeslky è stato l’altro regalo ricevuto ieri”, gongolano i suoi. “Perché così Grillo si è messo dalla parte dei ‘benaltristi’. Mentre noi siamo dalla parte di chi agisce per cambiare…”, continuano. Quanto alle “spaccature” tra i Dem, Renzi non è affatto preoccupato. Anche perché, fanno notare da Palazzo Chigi, in consiglio dei ministri proprio il ministro bersaniano Maurizio Martina, responsabile delle Politiche Agricole, è intervenuto a difesa del disegno di legge del governo sulle riforme. “Credo ci sarà una posizione di grande condivisione del progetto – dice convinto Renzi in riferimento al dibattito interno al Pd - Poi se qualcuno vorrà assumersi la responsabilità di far fallire questo percorso, lo farà. Noi più che dire che ci giochiamo tutto, non possiamo”. Ma, “non sono preoccupato perché so cosa pensa il Partito democratico nei suoi organismi legittimamente e democraticamente eletti, so cosa pensa la base del Pd e so qual è la posizione storica del Pd rispetto al superamento del bicameralismo perfetto. E il lavoro del ministro Boschi è stato svolto in queste settimane di concerto con i gruppi parlamentari". E via con le slide della riforma, subito pubblicate sul sito del governo.
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Ddl riforme: le slide del governo
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L’argine è sempre quello, anche per il Pd: cambiamento-benaltristi. “Funziona perché sono loro che sbagliano ad attaccarlo frontalmente”, dice un renziano doc. Al Senato i 25 senatori critici del ddl governativo - raccolti intorno a un documento promosso tra gli altri dal lettiano Francesco Russo e da Stefano Esposito - aspettano la riforma al varco. Ma avrebbero di fatto acquisito i quattro paletti fissati dal presidente del consiglio per un nuovo Senato che “non sia elettivo, non possa esprimere la fiducia ai governi, non possa votare le leggi di bilancio, formato da senatori senza indennità”. Sono i punti irrinunciabili. Dopodiché è lo stesso Renzi a dirsi disponibile alla “discussione parlamentare” invocata dai 25 per “valorizzare il lavoro dei gruppi”, come chiede Russo. A questo punto però il premier scommette che nessuno lavorerà per far saltare il banco. Perché oltre all’argine tra ‘cambiamento e benaltristi’, è stato ben attento a fissarne un altro. Cioè quello di ordine temporale che delimita il percorso delle riforme: prima lettura non oltre le europee di maggio oppure tutti a casa.
“Dico al Parlamento che restiamo solo se ci fanno fare le riforme - chiarisce Renzi parlando a Skytg24 da Palazzo Chigi – altrimenti non ha senso”. Il premier giura che la sua non è una minaccia di ritorno al voto. “Non ci voglio nemmeno pensare, nel senso che non voglio stare a fare la minaccia ‘sennò vi porto a votare’ – sottolinea – Intanto perché non spetta a me ma al Presidente della Repubblica”. Ma più perché per il momento la strategia punta a fissare il momento della verità prima delle elezioni di maggio, in modo da poter così legare un eventuale calo del Pd all’eventuale fallimento delle riforme e alle responsabilità dei “benaltristi”. Perché – e questo è l’altro pezzo di strategia – le europee non sono un test per il governo, che, ammette Renzi, è nato da “un’operazione parlamentare, non da un voto”, la sua “fonte di legittimazione è il Parlamento, se ci vuole mandare a casa, ci manda a casa. Però dico al Parlamento che restiamo solo se ci fanno fare le riforme, altrimenti non ha senso".
Grasso resta piuttosto isolato, a sole 24 ore dall’attacco frontale al governo su un tema - le riforme costituzionali – che anche ai piani alti delle istituzioni non definiscono di portata strettamente politica, bensì come terreno agibile anche per una seconda carica dello Stato. Eppure anche per il presidente del Senato non restano margini. Lui si difende su Facebook, battendo in ritirata: “Non difendo la poltrona, rivendico il diritto di esprimere le mie opinioni, ma non si dubiti della mia imparzialità”. E dal Quirinale mettono un freno a retroscena e polemiche. “Da tempo il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha espresso la convinzione della necessità ormai improrogabile di una riforma costituzionale che innanzitutto segni il superamento del bicameralismo paritario e garantisca un più lineare e spedito processo di formazione e approvazione delle leggi – recita una nota - Il Capo dello Stato ha peraltro ritenuto di dover astenersi per ragioni di carattere istituzionale dal pronunciarsi sulle soluzioni concrete definite dal Governo e sottoposte all'esame del Parlamento". Della serie: Napolitano non sta con Grasso.