lunedì 31 marzo 2014

Mentre Casaleggio e Grillo fanno finta di essere di sinistra firmando l'appello di intellettuali che sanno solo di teorie ipesciolini come Cuperlo abboccano e votano cntro la riforma di Renzi. Bravo Cuperlo.

Riforme, Renzi contro Grillo e la minoranza Pd

Il M5s usa Zagrebelsky per attirare la gauche. Cuperliani contro Italicum e dl Poletti. Il premier: «O si cambia o mollo».

SCENARIO
di Dario Borriello
Uno dei punti cardine del non-Statuto del Movimento 5 stelle recita: «Mai alleanze politiche con nessun partito». Ma non c'è un esplicito divieto di marciare divisi per colpire uniti.
Così il capo-politico Beppe Grillo ha fatto suo il principio del generale prussiano von Moltke, adattandolo però alla politica italiana. E allora ben venga «colpire il nemico Renzi usando le stesse identiche armi della sinistra radicale. Se l'obiettivo è quello di abbattere il presidente del Consiglio per non farsi spazzare via dalle riforme, Parigi val bene una messa, pure se celebrata con le liturgie della gauchepiù conservatrice. Quella che oggi non ha rappresentanza parlamentare, ma può offrire ancora una manciata di voti a chi sappia offrire ospitalità agli elettori della sua riserva indiana.
GRILLO CON I COSTITUZIONALISTI. Del resto i sondaggi per le elezioni europee continuano a premiare Matteo Renzi. E il leader pentastellato ha deciso di giocarsi tutte le carte che può, pur di recuperare terreno. Anche firmare l'appello di alcuni costituzionalisti italiani, con Gustavo Zagrebelsky e Stefano Rodotà in testa, contro la trasformazione del Senato in organo non elettivo dunque può essere propedeutico al recupero di consensi alla sinistra del Pd.
Non saranno tanti (860 mila alle ultime Politiche), ma sommandoli con quelli che potrebbe raccattare tra delusi della destra, elettori fluttuanti (erroneamente descritti come indecisi), incazzati cronici e antirenziani, allora diverrebbero un bel gruzzolo.
LO SCONTRO CON CARLASSARE. Il pericolo per Grillo è solo il suo carattere. Perché 24 ore dopo aver sottoscritto, assieme al fidato Gianroberto Casaleggio, il documento contro la «deriva autoritaria» del governo, non è riuscito a trattenere il «vaffa» per la costituzionalista Lorenza Carlassarre, rea di aver osato affermare: «Ci sono persone che mi sembra tendano a gestire in modo padronale e autoritario un movimento che ritengo molto interessante. Spero che questa adesione sia per loro uno spunto per ripensare la gestione dei rapporti interni al Movimento 5 stelle».

L'aut aut di Renzi: «O facciamo le riforme o lascio»

Mentre Grillo fagocita appelli di sinistra, la minoranza Pd continua a perdere occasioni d'oro per imbrigliare il segretario, nella spasmodica ricerca di un leader forte da contrapporgli. Dopo che Gianni Cuperlo, l'unico ad aver provato a rintuzzare l'ex sindaco, è finito umiliato in diretta streaming durante la prima Direzione nazionale post Congresso, nessuno più ha provato a scalfire la leadership di Renzi. Almeno non ufficialmente.
IL BRACCIO DI FERRO CON GRASSO.Ora l'opposizione interna si affida al presidente del Senato, Piero Grasso, che in un'intervista a Repubblica ha avvertito il premier che non ci sono i numeri per far passare la riforma di Palazzo Madama. Anche in questo caso provocando la reazione stizzita di Renzi e dei renziani, con la vicesegretaria Debora Serracchiani in testa.
Ma anche dell'ex governatore della Lombardia, Roberto Formigoni, esponente del Nuovo centrodestra, che senza mezzi termini ha affermato: «È andato al di là del suo compito». O del forzista Daniele Capezzone, secondo il quale Grasso «non deve fare politica» dall'alto della seconda carica dello Stato; e del presidente dell'Udc, Gianpiero D'Alia che ha parlato di «sindacalismo istituzionale che in questi anni ha 'cecchinato' le riforme e il cambiamento».
«NON SI FANNO RIFORME A METÀ». Il premier, invece, ha controreplicato con decisione. «O facciamo le riforme o non ha senso che gente come me sia al governo», ha detto il 31 marzo in un'intervista a Rtl 102.5. «Non ci sto a fare le riforme a metà. Non sto a Roma perché mi sono innamorato dei palazzi: se la classe politica dice che non bisogna cambiare, faranno a meno di me e magari saranno anche più contenti».
Concetto ribadito anche in un'intervista al Corriere della Sera. Nel quale il premier ha messo in evidenza il rischio per gli investimenti stranieri. Nella sua ottica, riformare significa rendere più credibile il sistema-Paese Italia, dunque attrarre sul nostro territorio investimenti di aziende estere. E in questo il recente sondaggio anonimo della Royal Bank of Scotland gli dà ragione.

Pericolo franchi tiratori, cuperliani in testa

Per riuscire nel suo intento, però, Renzi dovrà necessariamente completare il pacchetto. Dunque dovrà tenere la tensione altissima, contro i franchi tiratori, anche sulle altre sfide che lo attendono nelle prossime settimane.
FRIZIONI SUL DL POLETTI. Innanzitutto quella sul Lavoro. Perché sul tema più delicato di tutti per il primo partito del centrosinistra, si stanno creando diverse gruppi di opposizione interna, capitanati sia da esponenti di minoranza dialoganti, sia da nemici giurati del golden boy dem. I Giovani turchi, per esempio, bocciano il dl Poletti e chiedono di tornare al contratto a tempo indeterminato a tutele progressive, spiegando che così com'è, il decreto del ministro del Welfare (una sola possibilità di rinnovare i contratti a tempo) creerebbe più precarietà. Con il leader Matteo Orfini, però, il canale di dialogo è aperto da tempo e una soluzione comune non è impossibile, soprattutto se nel rimpasto della segreteria nazionale del Pd lo spazio per loro non sarà puramente scenico.
LA PARTITA CON GLI EX DALEMIANI. Anche con il gruppo di ex bersaniani ed ex dalemiani, capitanati da Roberto Speranza, c'è una sorta di feeling. Ma è direttamente proporzionale al peso specifico che avranno al Nazareno Nico Stumpo, Davide Zoggia, Micaela Campana e compagni.
Renzi se la vedrà nera, invece, con Cuperlo e i cuperliani, che di dialogare hanno poca voglia, se non vedono prima l'offerta sul piatto. A questa nuova corrente dovrebbe aderire anche una parte dei lettiani più inferociti con l'attuale premier, e desiderosi di vendicare il loro leader di riferimento più che scalare posizioni o strapuntini.
BARRICATE PER L'ITALICUM. Senza contare, poi, che la minoranza dem non vede l'ora di riaffondare le unghie sull'Italicum. E stavolta con maggiori chance di incidere, visto che la legge elettorale voluta da Renzi, in accordo con Silvio Berlusconi e Angelino Alfano, deve passare sotto le forche caudine del Senato, dove i numeri scarseggiano.
A Palazzo Madama Renzi dovrà fare i conti con gente molto motivata a farlo cadere, come Anna Finocchiaro, con la quale in passato ha scambiato dialoghi di fuoco a mezzo stampa. Ma anche i sei civatiani col coltello tra i denti, determinati a mettere in difficoltà in leader, dopo lachiamata di Pippo Civati a una nuova minoranza.
PAROLA D'ORDINE: «CORRERE». Insomma, di lavoro ce ne sarà tanto per l'ex sindaco fiorentino, che fin dal primo giorno aveva avvertito se stesso e i suoi della necessità di «correre, correre, correre» per non rimanere incastrato tra le melmosità dei palazzi romani. Meglio dunque tenere la guardia alta sulle riforme, perché servono le ruspe per rimuovere le resistenze al cambiamento. Ma questo, Matteo già lo sapeva prima di mettere piede a Palazzo Chigi: la «palude» non si svuota con il cucchiaino.
Lunedì, 31 Marzo 2014

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