Pontida, il popolo di Salvini e la Lega nazionale
Corna vichinghe. Ruspa. Selfie. L43 tra i militanti. Per i quali la Lega nazionale...foto di Manuel Carli.
da Pontida
Ci sono gli elmi da vichinghi, c'è la signora platinata made in Romagna con ombrellino costellato di paillettes verdi. C'è Efe Bal, sola, sui tetti dei gabinetti biologici con un cartellone che inneggia alla legalizzazione della prostituzione.
E ci sono le salamelle, o meglio «pà e codeghì» a 3 euro, birra media a 2 di ordinanza.
E ci sono le salamelle, o meglio «pà e codeghì» a 3 euro, birra media a 2 di ordinanza.
Pontida 2015, la seconda di Matteo Salvini segretario. Quella della ruspa che dai post in Facebook si è concretizzata al lato del palcone e su centinaia di magliette.
AL GOVERNO MA SENZA VAFFA. Il popolo padano (lui dice 50 mila ma esagera con l'ottimismo) è tutto per lui. Osanna il Capitano che ha portato la Lega al 15% e che ora promette di prendersi il Paese, rinunciando - dopo le critiche di un bambino - ai suoi vaffa da applauso.
«Salvini sei un illuminato», «cloniamo Salvini», sono gli slogan che si alzano a ogni suo slogan. «La ruspa la usiamo contro Renzi», e giù boati; «invidiamo i russi che hanno Putin e gli ungheresi che hanno Orban», e via i cori; «Il matrimonio si fa tra uomo e donna e i bimbi vengono adottati dalla mamma e dal papà, da questo non si scappa», e applausi scroscianti.
La Lega anche al Sud? Sì, ma con riserva
Sul Pratone anche i militanti «terroni»: siciliani, pugliesi, abruzzesi. Con tanto di bandiere della Trinacria sulle spalle.
È il frutto del partito nazionale a cui lavora Salvini. Non a caso sul palco presenziano pure Simonetta Alita, consigliera comunale di Andria e Nicola Marotta, sindaco di Noi con Salvini eletto a Roccagloriosa, in provincia di Salerno.
IL VETEROPADANESIMO. Nonostante i rigurgiti padani di Umberto Bossi - «La Lega è nata per ridare libertà al Nord, non si vince prendendo voti qui e là», torna a ricordare il Senatùr al grido di «Padania Libera» - e di Roberto Calderoli che non usa giri di parole: «Piuttosto che scrivere uno statuto nazionale e centralista mi taglio una mano, mio nonno diceva Bergamo nazione e tutto il resto Meridione…».
Ma è (quasi) inutile. Perché il popolo che fu padano ora è il popolo di Salvini.
«BOSSI? HA UNA CERTA ETÀ». «Bossi? Resta importante ma ha una certa età», dice a Lettera43.it un giovane militante che vende magliette, «ma la Lega ora è Salvini. Lui è il capo. Addirittura, quando ha iniziato a parlare mi hanno chiesto di smettere di fare rumore....».
Anche la vecchia guardia è con il giovane segretario. Il Senatùr è il padre nobile, non si rottama, magari si abbraccia ma si va oltre. Un po' come quando si dà ragione agli anziani.
«Bossi ha fatto la storia del partito», spiega Celeste, da 25 anni in Lega, «ma ora c'è Salvini».
È il frutto del partito nazionale a cui lavora Salvini. Non a caso sul palco presenziano pure Simonetta Alita, consigliera comunale di Andria e Nicola Marotta, sindaco di Noi con Salvini eletto a Roccagloriosa, in provincia di Salerno.
IL VETEROPADANESIMO. Nonostante i rigurgiti padani di Umberto Bossi - «La Lega è nata per ridare libertà al Nord, non si vince prendendo voti qui e là», torna a ricordare il Senatùr al grido di «Padania Libera» - e di Roberto Calderoli che non usa giri di parole: «Piuttosto che scrivere uno statuto nazionale e centralista mi taglio una mano, mio nonno diceva Bergamo nazione e tutto il resto Meridione…».
Ma è (quasi) inutile. Perché il popolo che fu padano ora è il popolo di Salvini.
«BOSSI? HA UNA CERTA ETÀ». «Bossi? Resta importante ma ha una certa età», dice a Lettera43.it un giovane militante che vende magliette, «ma la Lega ora è Salvini. Lui è il capo. Addirittura, quando ha iniziato a parlare mi hanno chiesto di smettere di fare rumore....».
Anche la vecchia guardia è con il giovane segretario. Il Senatùr è il padre nobile, non si rottama, magari si abbraccia ma si va oltre. Un po' come quando si dà ragione agli anziani.
«Bossi ha fatto la storia del partito», spiega Celeste, da 25 anni in Lega, «ma ora c'è Salvini».
«Noi del Nord siamo una razza di lavoratori»
Ma il partito nazionale? «Si deve fare», aggiunge il militante in t-shirt verde. Poi però pone le sue condizioni. «Certo bisogna stare attenti a con chi ti allei in zone come la Sicilia e la Campania». Per lui il percorso è lungo. «Ci abbiam già provato tre volte a scendere al Sud», ricorda mentre vende penne verdi ricordo a un euro l'una, «e loro niente. Perché c'hanno un'altra testa. Noi siamo una razza che vuole lavorare...».
Per Celeste insomma Noi con Salvini dovrà servire da ponte, una prova per vedere se il Sud è «affidabile» e se vi può attecchire il padan-pensiero.
«QUESTIONE DI RAZZA». Alla fine, però, scuote la testa. Come a dire: «Si fa perché lo dice Matteo, ma siamo razze (sì, razze) diverse».
Non vogliono sentire parlare di due realtà Paolo e Dimitri.
«Salvini è la Lega», mettono in chiaro, «Noi con Salvini è un'altra cosa». Le idee però sono un po' confuse.
«GLI M5S? BRUTTE PERSONE». Dimitri aveva una pizzeria. «Le tasse mi hanno ucciso. Ho perso il lavoro e sto male, psicologicamente e fisicamente». Ce l'ha con i giornalisti e invita ad ascoltare «Radio Padania, l'unica a dire la verità». All'idea di una possibile alleanza con il M5s, ipotesi ventilata negli ultimi giorni, si altera: «Quelli sono brutte persone».
«LA LEGA È UNA». Quando gli si fa notare che sul palco ci sono due simboli, quello del Carroccio e quello di Noi con Salvini alza il tono: «La Lega è una, non scherziamo».
Paolo, il più anziano, è nato in Sardegna. Ha sempre votato Rifondazione comunista e poi, otto anni fa precisi, «deluso da Bertinotti», è stato folgorato da Alberto da Giussano. E ora porta al collo - «orgoglioso», dice lui - il fazzolettone verde col Sole delle Alpi.
«A ME LA CASA POPOLARE NON LA DANNO». È arrabbiato e tanto. Molto con la sinistra. E poi contro «i negher» che bivaccano a Milano, mentre lui, separato in casa, ha visto scendere mese dopo mese la sua posizione nelle graduatorie delle case popolari Aler. E sulla possibilità di un partito nazionale mette in chiaro: «Ogni regione deve avere una sua Lega». Insomma, sì Salvini ha ragione ma andiamo con calma.
Però, quando nomina il suo «concittadino» Enrico Berlinguer, gli viene ancora la pelle d'oca: «Quello era un leader...», sussurra.
Giusto un attimo perché Matteo torna in mezzo ai militanti, rincorso dalla solita folla che chiede e ottiene il selfie ricordo.
Per Celeste insomma Noi con Salvini dovrà servire da ponte, una prova per vedere se il Sud è «affidabile» e se vi può attecchire il padan-pensiero.
«QUESTIONE DI RAZZA». Alla fine, però, scuote la testa. Come a dire: «Si fa perché lo dice Matteo, ma siamo razze (sì, razze) diverse».
Non vogliono sentire parlare di due realtà Paolo e Dimitri.
«Salvini è la Lega», mettono in chiaro, «Noi con Salvini è un'altra cosa». Le idee però sono un po' confuse.
«GLI M5S? BRUTTE PERSONE». Dimitri aveva una pizzeria. «Le tasse mi hanno ucciso. Ho perso il lavoro e sto male, psicologicamente e fisicamente». Ce l'ha con i giornalisti e invita ad ascoltare «Radio Padania, l'unica a dire la verità». All'idea di una possibile alleanza con il M5s, ipotesi ventilata negli ultimi giorni, si altera: «Quelli sono brutte persone».
«LA LEGA È UNA». Quando gli si fa notare che sul palco ci sono due simboli, quello del Carroccio e quello di Noi con Salvini alza il tono: «La Lega è una, non scherziamo».
Paolo, il più anziano, è nato in Sardegna. Ha sempre votato Rifondazione comunista e poi, otto anni fa precisi, «deluso da Bertinotti», è stato folgorato da Alberto da Giussano. E ora porta al collo - «orgoglioso», dice lui - il fazzolettone verde col Sole delle Alpi.
«A ME LA CASA POPOLARE NON LA DANNO». È arrabbiato e tanto. Molto con la sinistra. E poi contro «i negher» che bivaccano a Milano, mentre lui, separato in casa, ha visto scendere mese dopo mese la sua posizione nelle graduatorie delle case popolari Aler. E sulla possibilità di un partito nazionale mette in chiaro: «Ogni regione deve avere una sua Lega». Insomma, sì Salvini ha ragione ma andiamo con calma.
Però, quando nomina il suo «concittadino» Enrico Berlinguer, gli viene ancora la pelle d'oca: «Quello era un leader...», sussurra.
Giusto un attimo perché Matteo torna in mezzo ai militanti, rincorso dalla solita folla che chiede e ottiene il selfie ricordo.
Twitter: @franzic76
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