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PALERMO. In una foto ritrovata nel vecchio archivio del giornale L'Ora c'è il momento esatto in cui iniziò la grande battaglia di Giovanni Falcone contro la mafia. Il giudice ha le mani in tasca, sussurra qualcosa al collega Giusto Sciacchitano, mentre un cancelliere apre un pesante portone di ferro. Poco oltre, ci sono i segreti di Cosa nostra, i segreti degli affari e delle complicità eccellenti. Doveva averlo intuito l'allora giudice istruttore Giovanni Falcone che in quella tenuta immersa nel verde di Altarello di Baida, il cuore di Palermo, avrebbe trovato la chiave del rompicapo che non gli dava pace. E quella mattina del 17 giugno 1980 volle esserci anche lui. Volle entrare nel primo bene sequestrato a Cosa nostra, al clan Spatola-Inzerillo, quando ancora la legge La Torre non era stata neanche pensata. Questo racconta la foto ritrovata.

Giovanni Falcone che sta per entrare. E non ha affatto l'aria di chi ha vinto la prima battaglia. Ma è pensieroso. Forse, perché si rende conto che c'è ancora tanto che non sa. Tanto di sconvolgente, viene da pensare ritornando davanti a quel cancello. Via Micciulla 5, oggi un'oasi di verde e silenzio affidata agli scout dell'Agesci nel caos della parte orientale della città, sventrata dai lavori per il tram. Falcone non sa che due mesi prima del suo arrivo da quel cancello è passato un corteo di auto blindate. In una c'era il presidente del consiglio Giulio Andreotti, arrivato in gran segreto per incontrare il capomafia più illustre di Palermo, Stefano Bontade. Con lui voleva discutere dell'assassinio del presidente della Regione Piersanti Mattarella, trucidato il giorno dell'epifania.

Falcone non sa chi sono stati gli ospiti illustri di quella tenuta mentre varca il pesante portone di ferro. Nessuno lo sa fino alla sua morte. Poi, qualche mese dopo la strage di Capaci, il pentito Francesco Marino Mannoia racconta quello che non aveva mai voluto dire al giudice. E parla di Andreotti. Le sue indicazioni alla procura di Palermo portano gli investigatori della Dia dritto a fondo Micciulla. E oggi la storia di quella tenuta è consacrata nella sentenza su Andreotti, che ha dichiarato prescritte le accuse di mafia fino al 1980.

Non c'è più aria di mistero in via Micciulla. Le strutture portanti del cancello sono rimaste le stesse che si vedono nella foto del giornale L'Ora , ma adesso all'ingresso c'è una grande scritta: "Base scout Agesci ". È davvero un'altra Palermo. La tenuta dove Andreotti incontrò i mafiosi è diventata un luogo di festa, animata da decine di ragazzi di tutte le età che stanno preparando il loro grande giorno. Oggi, infatti, il direttore dell'Agenzia dei beni confiscati Postiglione e il sindaco Orlando consegneranno ai vertici dell'Agesci la tenuta ristrutturata con 493 mila euro provenienti dall'Unione europea.

L'aria di festa accentua ancora di più le suggestioni forti. Lungo il viale d'ingresso sembra di rivivere il racconto che Mannoia fece al processo: l'arrivo delle auto blindate, Andreotti è accompagnato dai cugini Salvo e da Lima; Mannoia e altri uomini d'onore richiudono velocemente il cancello. Adesso, lungo il viale c'è un'insegna di legno che annuncia il nome della nuova base: " Volpe astuta". In due parole c'è tutta la forza di volontà di questi ragazzi. "Volpe astuta" era il totem di Chiara, che ha lottato a lungo contro un brutto male. È morta a 18 anni. Ma adesso il suo nome riscrive la storia di Palermo.

"Questo è il giardino dove rinascono gli uomini", è scritto davanti alla casa a due piani. È la casa dove Andreotti si chiuse a parlare con il padrino. "Sentimmo le grida di Bontate  -  ha raccontato Mannoia  -  Quando Andreotti andò via, Stefano mi disse che il presidente aveva chiesto spiegazioni sull'omicidio Mattarella. E lui gli aveva urlato: "In Sicilia comandiamo noi, e se non volete cancellare completamente la Dc dovete fare come diciamo noi". Per questo era stato ucciso Mattarella, perché aveva rotto con un sistema di complicità.

Oggi, quella casa è una base perfetta per gli scout. Cucine, bagni, sale riunioni. C'è una scala che porta sul tetto. Si vede il mare, si vedono le montagne attorno a Palermo. Si intravede la casa dove nacque Pio La Torre, il segretario regionale del Partito Comunista, anche lui trucidato come Mattarella perché si batteva per la politica del rinnovamento. Adesso, i più grandi spiegano ai piccini che questo è l'unico posto della città dove si può andare dal cielo alle viscere di Palermo. Anche i mafiosi dovevano averlo scoperto. La scala del '700 che all'improvviso si apre in un angolo della tenuta porta a una camera dello scirocco e a due qanat scavati dagli arabi nel sottosuolo per costruire un efficiente sistema idrico. Gli scout hanno scoperto che erano stati fissati dei fili elettrici e delle lampadine nei canali. Era la via di fuga per i latitanti.

"Questo luogo, oggi, non è la fine della storia iniziata con la fotografia di Falcone ", sussurra uno degli scout. Non conosciamo ancora troppe cose di quei mafiosi che frequentavano la tenuta. Bontate e Inzerillo furono uccisi nel 1981 dalla nuova mafia di Riina, i loro patrimoni (mai sequestrati) girano ancora nelle vene della città. E non conosciamo i nomi dei sicari che uccisero il presidente della Regione Piersanti Mattarella.

Sarà aperta a tutta la città la cerimonia solenne che si terrà oggi pomeriggio, alle ore 18, nella chiesa di San Domenico a Palermo in cui verrà svelata la sepoltura di Giovanni Falcone nel Pantheon degli uomini illustri di Sicilia. Dopo 23 anni da quel funerale di Stato divenuto una delle pagine più drammatiche della storia
 italiana, Giovanni Falcone ritorna per sempre nella stessa chiesa. Recita l'epitaffio: "Magistrato. Eroe della lotta alla mafia". L'iscrizione sulla pietra tombale sarà affiancata ai lati da due lapidi commemorative delle stragi di Capaci e Via D'Amelio, con le quali si renderà omaggio a Francesca Morvillo, Paolo Borsellino, Rocco Dicillo, Vito Schifani, Antonio Montinaro, Walter Eddie Cosina, Claudio Traina, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Agostino Catalano.