Nitto Palma, a oltranza. Ormai è una questione di principio. Proprio perché è stato affossato, non si può cedere. Anche a costo di perdere la commissione. Ma a quel punto le conseguenze sono estreme. Il messaggio è stato recapitato da Silvio Berlusconi attraverso i canali diplomatici che hanno come terminali Giorgio Napolitano ed Enrico Letta: "Se votano uno del Pd e non stanno ai patti, a quel punto cade il governo". La questione è diventata sinonimo di lealtà e rispetto degli accordi: "Adesso - è sbottato il Cavaliere - la misura è colma. Non è possibile che vogliono i nostri voti per il governo e danno patenti di impresentabilità ai nostri uomini. Ora basta".
È più di uno sfogo. Tanto che è stato convocato un vertice per domani in cui mettere nero su bianco un indurimento di linea. Una serie di punti irrinunciabili per il Pdl: o così o via dall'esecutivo. A partire dall'Imu, ma soprattutto dalla Convenzione, ruolo ormai preteso dal Cavaliere. È chiaro che il voto in commissione Giustizia potrebbe precipitare gli eventi. Ma così, è il ragionamento, non va. Furioso, determinato ad andare fino in fondo, a costo di far traballare il tavolo del governo, è Berlusconi a guidare personalmente le operazioni, appena rientrato a Roma. E a dare la linea dopo la doppia imboscata: la Giustizia, nella grande spartizione delle commissioni, tocca al Pdl. Quindi a "Nitto". Punto.
Per questo il capogruppo Renato Schifani si adopera subito per raffreddare i nervi dei suoi pronti, a metà pomeriggio, alla rappresaglia nel voto degli altri presidenti di commissione che spettano al Pd. Mentre si celebra la seconda fumata nera sull'ex guardasigilli, ne mancano sei. Sulla carta ci sarebbero margini per far saltare tutto. Ma Schifani è perentorio: "Noi - dice ai suoi - gli accordi li rispettiamo e votiamo secondo gli impegni presi". Va tutto secondo il programma, col Pdl che vota disciplinato. L'obiettivo è dimostrare che è il Pd inaffidabile, allo sbando, senza guida e incapace di stare ai patti: "Bersani e Zanda - dice il vicepresidente del Senato Maurizio Gasparri - mettano in riga i propri senatori o li sostituiscano con i principali esponenti del Pd a Palazzo Madama. È chiaro ora a tutti chi viola i patti e chi li rispetta. Il Pdl e' un partito serio. Il Pd è il regno del caos".
È una linea che consente non solo di sbandierare la correttezza del Pdl, ma anche di tenere "viva" la candidatura di Palma nella giornata di mercoledì. Perché la Giustizia è una commissione cruciale. Tanto che il Cavaliere, per ottenerla, ha chiesto un sacrificio al suo Paolo Romani alle Comunicazioni. E c'è un solo candidato alla Giustizia, per Berlusconi: il suo ex guardasigilli, l'amico di Cosentino, quello che voleva ricandidarlo per evitargli la galera. Raccontano di un Cavaliere furibondo: ha sacrificato i ministri al primo giro di nomine, ha lasciato entrare le seconde (e terze file) tra i sottosegretari di fronte ai veti del Pd sugli "impresentabili", ha sacrificato Romani, e ora dopo aver detto sì il Pd non sta ai patti: "Quello che è accaduto - ragiona coi suoi - è la dimostrazione che a sinistra comanda il partito dei giudici. Sono inaffidabili".
Al netto degli sfoghi la vicenda è indicativa di come la coesistenza col Pd sia a termine. E c'è un canale diplomatico attivato, più degli altri, dal Cavaliere, o meglio da Gianni Letta, sull'operazione Giustizia, che porta dritto al Quirinale. Trapela da palazzo Grazioli che al Colle non solo è stato rappresentata la differenza tra il comportamento responsabile del Pdl e l'imboscata del Pd. Ma è stato chiesto anche una parola ragionevole verso questa nave senza rotta del Pd: in fondo il nome di Nitto Palma non è mai stato considerato da Napolitano "impresentabile". Diversamente da Angelino Alfano, nei mesi in cui è stato guardasigilli Nitto Palma non ha mai avuto screzi col Colle, si è comportato con apprezzata correttezza, ha avuto rapporti non ostili col grosso della magistratura.
Ecco la trama del Cavaliere per blindare la sua commissione: tenere il punto sull'ex guardasigilli, senza piano B. Tipo la candidatura di Caliendo, figura meno divisiva e ritenuta più potabile dal Pd. Altrimenti, se Pd, Grillo e Scelta civica voteranno Manconi inizia il conto alla rovescia sul destino del governo. L'idea su cui si è messo a lavoro anche Denis Verdini piombato al Senato nel pomeriggio è far passare Palma con i soli voti di centrodestra e Lega alla quarta votazione. Il che consentirebbe al Pd di non lasciare le impronte sulla nomina di Palma e al Pdl di portare a casa il risultato. Ed è su questa via d'uscita che eviti il Vietnam per il governo che si sono attivati tutti i canali diplomatici che contano: "Napolitano - dicono nella cerchia ristretta del Capo - è il capo del Pd e il nostro interlocutore dal giorno dopo la sua rielezione. Dipende anche da lui".