sabato 11 maggio 2013

Anche i servi della gleba a volte si ribellano.


Trenta dissidenti
pronti a un nuovo gruppo

La riunione dei parlamentari del Movimento 5 Stelle giovedì a Roma

Dalla diaria allo ius soli: “Beppe deve smetterla di trattarci come servi”
ANDREA MALAGUTI
ROMA
«Balle, balle, balle. Grillo la deve smettere di trattarci come servi». Il deputato Cinque Stelle è evidentemente nervoso. «Io? Siamo almeno in cinquanta. Questa storia è appena all’inizio. Potremmo anche uscire dal gruppo». Fuma ossessivamente nel cortile di Montecitorio mentre compulsa l’Ipad che restituisce le ultime esternazioni di Grillo. L’ennesima bolla papale da blog: «Houston abbiamo un problema. Di cresta. Ebbene va ammesso». Non erano i media a inventarsi i mal di pancia, dunque. Era lui a far finta di nulla. Adesso lo scontro è in campo aperto. «Chi non restituisce i soldi della diaria non rendicontati è fuori. Abbiamo firmato un contratto. Con tremila euro puoi viverci». Non vi piace l’aria che tira? Via. Raus. Bye Bye. Levatevi di mezzo. Non è un Movimento per mammolette, questo. La linea non si discute, si sposa. Questione di fede. «Ma di che cosa parla? Ma quale contratto? Sfido chiunque a portarmi un foglio dove c’è scritto che l’eccedenza va riconsegnata. A me di cinquecento euro in più non me ne può fregare di meno, ma passare per uno che bara proprio no». Gli suona il telefono. E’ un collega del Sud Italia. Il dialogo dura venti minuti. «Dobbiamo reagire». Fissano un incontro assieme a un drappello di riottosi per la prossima settimana. E’ arrivato il momento di contarsi. «Nel gruppo misto mai. Ma se fossimo venti qui e dieci al Senato potremmo dare vita a una costola indipendente, dobbiamo solo trovare il modo per spiegarlo alla base. Non siamo scilipotini». Qual è la distanza tra un piano rabbioso e la realtà? «Chi lo sa, di sicuro così non si può andare avanti. Eravamo il Movimento dell’uno vale uno. Siamo diventati l’armata Brancaleone dell’uno vale zero. E quello zero siamo noi».  

Bisogna ricostruire la riunione di giovedì pomeriggio per capire meglio il clima avvelenato. Grillo arriva, parcheggia come lo zar di tutti i Palazzi nella pancia di Montecitorio e si precipita nella saletta dei gruppi dove l’aspettano inquieti i suoi parlamentari. Lui li gela. «Si discute di un principio. L’aderenza a patti liberamente sottoscritti. E l’adesione all’etica del Movimento. Nessuno ci farà sconti». Per chiarire che non sta giocando dà del «pezzo di merda» al deputato dell’assemblea siciliana Antonio Venturino che pretende di tenere l’intera indennità. Il vice-capogruppo alla Camera, Riccardo Nuti, condivide la raffinata analisi. «Sì, sì, lo è». A quel punto il senatore Francesco Campanella, ex sindacalista, uomo perbene e siciliano anche lui, si alza in piedi. «No Beppe. Venturino non è un pezzo di merda. Non è giusto trattare le persone così». Grillo lo guarda come se lo volesse radere al suolo. «Parli? Ma tu che cosa hai fatto negli ultimi due mesi?». Il tentativo di umiliarlo. Di dimostrare plasticamente che la loro esistenza politica è appeso al filo sottile che Lui stringe tra le dita. «Senza di me non siete nulla». E’ questa l’idea - pericolosa, potenzialmente distruttiva - che rimanda. Campanella regge lo sguardo. In questo due mesi è rimasto a Palazzo Madama dodici ore al giorno. «Non mi pare una domanda pertinente. Ma te lo dico. Ho lavorato nella Commissione Speciale e ora nella commissione Affari Costituzionali». Grillo lo ignora.  

Ormai incapaci di lottare con le contraddizioni che sono state loro imposte, sono molti i deputati che prendono la parola. Grillo resta sorpreso. Si aspettava l’insoddisfazione di una manciata di eretici. Invece sono decine. Li ascolta. Si stranisce di fronte a chi gli racconta i propri casi familiari. «Ho tre figli», «Ho il mutuo», «Mi sballano le tasse». Visioni curiose che si fondono con obiezioni più concrete: «Il contratto non c’è. E lo sai». Così Grillo affonda nuovamente. «Nessuno farà la cresta», grida. «Vaffanculo al denaro». Il deputato Alessio Tacconi, eletto in Svizzera, si ribella. «In questo modo diventi offensivo. Qui la cresta non c’entra». Quattro ore da mal di testa. Che si chiudono apparentemente con un nulla di fatto. Invece, nel giro di 24 ore, Grillo spara nuovamente a zero. Uscendo dall’hotel dove ha passato la notte se la prende con Letta, chiude a una legge sul diritto di cittadinanza per chi nasce in Italia - incassando la curiosa contrarietà del fedelissimo Alessandro Di Battista, che prima si dice favorevole allo «ius soli», poi ritratta e si riallinea - e punta il dito contro chi ha fame di soldi. «Nessuna mediazione sul denaro».  

A Palazzo Madama anche gli uomini della comunicazione rinforzano la tesi del Capo. «C’è gente che se ne vuole andare? Prego. Si accomodino. Resterà solo che crede davvero nel Movimento». Chi non fa domande? Chi non sgarra? Chi continua a marciare sulla via della gloria grillesco-casaleggese anche se è costretto a percorrere strade costruire su desideri altrui e, peggio, già esauditi? Chi? 

1 commento:

Unknown ha detto...

Anche i servi della gleba a volte si ribellano. Solo i grillini pavesi e vogheresi rimangono servi a vita.

dipocheparole     venerdì 27 ottobre 2017 20:42  82 Facebook Twitter Google Filippo Nogarin indagato e...