ROMA -  Nel day after delle elezioni amministrative in sette regioni e oltre 700 comuni italiani, il dato sull'affluenza (52,2% degli aventi diritto), particolarmente basso e ancora in calo, induce il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, a inserire un paragrafo nel suo messaggio per il 2 giugno. "Le discussioni, la dialettica anche acuta, sono preziose, ma le liti esasperate creano sfiducia e allontanano la partecipazione dei cittadini".

Al di là del dato sull'affluenza, è l'esito del voto a provocare pesanti ripercussioni sul piano politico. Solo nel tardo pomeriggio, di ritorno dalla base di Herat in Afghanistan, dove ha parlato al contingente italiano, Matteo Renzisi inserisce finalmente nel dibattito in corso da ore sul risultato delle elezioni. Che per il leader del Pd "è molto positivo, oggi sono cinque le regioni guidate dal Pd e dal centrosinistra. Si è passati in un anno dal 6 a 6 a un sonoro 10 a 2 sul centrodestra. Dopo il voto di ieri andiamo avanti, dunque, con ancora maggiore determinazione  nel processo di rinnovamento del partito e di cambiamento del Paese". Un punteggio globale di dieci a due, cinque a due quello conseguente al voto delle regionali di domenica. Non ci sarebbe dunque partita. Ma sull'analisi di un simile score non tutti concordano evidentemente con Renzi. Perché le amministrative consegnano un nuovo panorama alla politica italiana, con Matteo Salvini che diventa il maggior azionista del centrodestra, i Cinque Stelle che ottengono un risultato mai sfiorato prima alle amministrative.

E i democratici che si vedono costretti a ragionare, per la prima volta dall'avvento della leadership di Renzi, su una sconfitta vera: quella che dopo dieci anni di governo regionale costa al Pd la Liguria. Dove a Luca Pastorino, transfuga del Pd appoggiato da Sel e civatiani, viene attribuito l'effetto di aver spaccato l'elettorato del centrosinistra a spese della vincitrice delle primarie e candidata dem Raffaella Paita a tutto vantaggio del candidato del centrodestra, sostenuto anche dalla Lega e alla fine vincitore, Giovanni Toti. E se era messa in conto la probabile resa di Alessandra Moretti nella fortezza veneta di Luca Zaia, non lo erano le difficoltà riscontrate alle urne in Umbria e Campania, dove il centrosinistra ha vinto sul filo di lana.


Matteo Salvini - forte dei risultati brillanti ottenuti dalla Lega - su Facebook dichiara ormai di essere "la vera alternativa a Renzi".  Durante la registrazione di Porta a Porta, Salvini avverte il premier: "Da domani ci sarà un confronto sui fatti. Spero di confrontarmi con lui, se finisce di giocare alla playstation, sulla legge Fornero, sulla immigrazione. Siamo qua per lavorare con una responsabilità in più". Anche Forza Italia - nonostante il risultato molto meno esaltante - prova a celebrare il voto dalle colonne del Mattinale di Forza Italia: "Renzi perde 7 a 0. Il cappotto è suo. Il suo Pd perde contro il centrodestra, vince solo il Pd degli altri. Partito della Nazione? Non è neanche il Partito di una Regione. Che farà ora? La sua sinistra presenta il conto in Parlamento".

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Il vero scontro è tutto interno al Pd. I vertici dem provano a fare quadrato. Per i due vicesegretari, Debora Serracchiani e Lorenzo Guerini, "cinque regioni su due è un ottimo risultato. La governatrice friulana aggiunge: "Non sottovalutiamo il dato della Liguria, che è figlio di una scelta irresponsabile della sinistra che oggi festeggia una vittoria della destra". Intanto il premier - come racconta il retroscena di Repubblica oggi in edicola - si prepara a rispondere all'offensiva in arrivo dalla minoranza interna: "Nessuno si faccia illusioni, io vado dritto fino al 2018 e non lascio Palazzo Chigi", fa sapere. Anzi, a partire dalla direzione di lunedì, si prepara a lanciare un'offensiva nel partito che si è rivelato ingovernabile soprattutto in provincia. Per questo il premier pensa anche a un dialogo con l'ala più morbida della minoranza, quella parte di Area riformista che ha votato anche la riforma della scuola. Ma comunque è pronto a portare avanti la "rottamazione" lì dove si era interrotta.

In effetti, dal fronte della minoranza l'attacco è arrivato compatto già nelle primissime ore dopo il voto. "Si impone una riflessione", afferma GianniCuperlo, leader di SinistraDem. "L'ultimatum sulla scuola ha massacrato il nostro mondo", afferma Roberto Speranza. "Non voteremo più alcune cose", aggiunge Alfredo D'Attorre. Ancora più duro Stefano Fassina: "Abbiamo perso in valore assoluto 600 mila voti rispetto alle Regionali del 2010 e oltre la metà dei voti rispetto al dato del 2014. Mi aspetterei nelle prossime ore un'analisi seria, la capacità di riconoscere l'errore e di non mettere la testa sotto la sabbia". Sul voto ligure, Fassina liquida come "fantasiose e un po' patetiche le spiegazioni che i vertici del Pd stanno dando in queste ore: Pastorino è una conseguenza e non una causa, ha interpretato un pezzo di Pd che se n'è andato e che non avrebbe votato Paita, che ha vinto le primarie costruendo un'alleanza con un pezzo del centrodestra". Quanto a Rosy Bindi- contestatissima dalla maggioranza renziana per l'elenco di "impresentabili annunciato a poche ore dal voto - va all'attacco:  "Chiedo le scuse al mio partito, ritengo di aver diritto ad un risarcimento". Bindi è intervenuta a Piazza Pulita: "Ho combattuto molte battaglie ma sempre a viso aperto. Su De Luca ha sbagliato il mio partito a reagire in quel modo".

Impresentabili, Bindi: "Il Pd mi deve delle scuse"


Le bordate al Pd arrivano anche da un ex come Pippo Civati che non perde l'occasione di sottolineare sul suo blog come in Liguria "Pastorino abbia dimostrato che lo spazio politico c'è per una proposta di vera sinistra di governo, senza fare pasticci, trasversalismi, trucchi". Mentre Nichi Vendolaparla di "colpo durissimo" per Renzi: "Quando il Pd fa politiche di destra non viene più compreso e determina smarrimento e fuga dal voto. E il fascino che derivava dalla presunta invincibilità del giovane premier esce profondamente sfregiato da questa competizione elettorale".

Ma lo stop subìto da Renzi alle Regionali ha ripercussioni anche sugli alleati di governo. I centristi, con Angelino Alfano e Gaetano Quagliariello, chiedono di ridiscutere la legge elettorale sostituendo il premio alla lista con quello alla coalizione. E nell'offensiva contro l'Italicum potrebbero trovare una sponda proprio nella minoranza Pd.