martedì 2 giugno 2015

Riceviamo e pubblichiamo un articolo estremamente interessante.

«Basta Italia-Germania: è l’ora del Made in Europe»

Donald Wich, manager della Fiera di Francoforte in Italia: «In molti settori siamo un’unica filiera»
Wolfsburg, Germania: lo stabilimento Wolksvagen (Credits: Sean Gallup/Getty Images)

Wolfsburg, Germania: lo stabilimento Wolksvagen. L’8% del valore di un auto tedesca dipende da componenti italiani (Credits: Sean Gallup/Getty Images)

   
«Non è più tempo di parlare di made in Italy o made in Germany. Non solo, perlomeno: sta nascendo una filiera manifatturiera europea». Mentre in Italia monta ormai da anni un fronte anti-tedesco e in Germania, complice un movimento come Alternative für Deutschland, cresce la critica all'Europa, l'economia reale prende la strada dell'interdipendenza. 
A dirlo non è uno qualunque, ma Donald Wich, managing director di Messe Frankfurt Italia, filiale della più grande società fieristica tedesca, un gigante che nel 2014 ha fatturato 550 milioni di euro - o meno il doppio di Fiera Milano, il più importante operatore di casa nostra, per intenderci - un terzo dei quali attraverso le quindici società estere negli Usa, a Parigi, Pechino, Taiwan, Shenzen, Dubai, Istanbul, Mosca, Città del Messico, Buenos Aires e, per l'appunto Milano. 
Leggo dal vostro sito internet che Messe Frankfurt è una società che ha come unici due soci il Comune di Francoforte e il Lander dell'Assia, rispettivamente col 60% e il 40%. Che vi hanno detto, quando avete deciso di espandervi all'estero? Non vi hanno mai posto il problema che così facendo avreste indebolito il territorio?
Messe Frankfurt è il primo caso al mondo di una fiera che, venticinque anni fa, ha deciso di internazionalizzarsi. All'inizio, è vero, qualcuno storse il naso, qualche perplessità sull'andare in Cina c'era, soprattutto. C'era il dubbio che finissimo per indebolire Francoforte. Alla fine si sono convinti ed è stata una scelta che ha premiato: più cresceva il mondo, più cresceva Francoforte. Il network ha rafforzato la casa madre. Adesso tutti i grandi operatori tedeschi sono delle multinazionali fieristiche, ma il fatto che siamo partiti prima ci ha avvantaggiato: nessun altra fiera, nei suoi settori di competenza, fa un terzo del fatturato all'estero.
Da italiano, è una cosa che mi ha sempre colpito, questa. Le fiere tedesche si dividono i settori produttivi. Nessuna è in concorrenza con l'altra. Come mai?
La spiegazione è semplice: dopo la seconda guerra mondiale non c'era un quartiere fieristico in piedi, in Germania. Così è stata istituita una cabina di regia con le istituzioni e le associazioni di categoria. Per far sviluppare tutti i cantieri si è deciso che in ogni fiera si dovessero concentrare uno o più settori dell'industria tedesca. Ora la specializzazione è rimasta: Francoforte non è nel food e nel mobile, perché c'è Colonia. 
E voi di cosa vi occupate? 
Noi abbiamo le più grandi fiere del mondo nel settore termosanitario, in quello dell' illuminazione, dell'componentistica per auto, dell'elettromeccanica,del tessile-casa, del regalo e della tavola apparecchiata. della componente d'arredo, degli strumenti musicali, della tecnologia per lo spettacolo, della cartoleria, della decorazione natalizia, creatività e lavoro manuale. Questo, a Francoforte. A Shanghai, invece, siamo leader mondiali nel tessile abbigliamento, grazie a una fiera organizzata dalla nostra filiale cinese. Li ci sono 200 aziende italiane che espongono e le portiamo noi. 
L’Italia, per l'appunto. Capisco la Cina, ma perché avete deciso di investire sull'Italia e sulla promozione del made in Italy?
In Italia siamo stati i primi a creare una sede e i primi a organizzare fiere in Italia, con Sps Icp Drives, la fiera sull'automazione elettrica, la cui prima edizione si è svolta cinque anni fa. 
Ok, ma perché?
Perché storicamente l'Italia è il maggior fornitore di espositori per Messe Frankfurt, sia a Francoforte sia per il resto del mondo. Su Francoforte è anche il paese che manda il maggior numero di visitatori. I buyer italiani sono i primi in tutte le manifestazioni. 
Ricapitoliamo: il più grande attore fieristico del mondo dice che nelle sue fiere la manifattura italiana è quella che più presente. C'è qualcosa non torna: non eravamo i piccoli, quelli che non hanno dimensioni per esportare?
Non so da dove viene questa auto-rappresentazione che gli italiani danno della loro manifattura. Quel che so è che è sbagliata. Se in gran parte delle fiere tedesche, le imprese italiane e i buyer italiani sono nelle prime posizioni, vuol dire che l'industria italiana è fortemente orientata all'export. Lo è sempre di più, peraltro, da quando la crisi ha di fatto costretto numerose imprese italiane a internazionalizzarsi. Quel che ci fa piacere è che abbiano scelto la Germania come piattaforma. E che quel che è servito per promuovere il made in Germany sta servendo benissimo anche per promuovere l'Italia. 
Come mai? Viene il dubbio che il made in Germany e il made in Italy non siano tanto distanti come si può essere portati a pensare...
La struttura produttiva è diversa, così come lo sono molteplici specializzazioni. Però l'interdipendenza tra Italia e Germania è molta. E pure quella è cresciuta, nella crisi. Prendiamo l'automotive: in media, dentro un auto tedesca, l'8% del valore è costituito da componenti made in Italy. Nel termosanitario - in particolare nel settore del riscaldamento - la maggioranza dei subfornitori dei tedeschi sono italiani. 
Si può parlare di “Made in Europe”?
Si sta indubbiamente creando una filiera europea, in cui l'Italia e la Germania sono i due motori: molte imprese italiane sono subfornitrici delle grandi industrie tedesche che vanno nel mondo. E qualche volta accade pure il contrario: come nel caso della IMA, azienda bolognese che produce macchine per il packaging, che ha di recente acquisito alcune aziende tedesche. 
Fa sorridere, al pensiero di quanto, sui media, Italia e Germania siano spesso contrapposte...
Come sempre, l'industria precorre i tempi rispetto alla politica. È evidente che se vediamo i dati dell'interscambio. La Germania è primo mercato di destinazione dell'export italiano. Una volta era vero anche il contrario, ma oggi la Germania esporta molto di più anche in altri mercati, la Cina in primis, con tassi di crescita molto alti. Il peso dell'Italia invece diminuisce. L'Italia è molto legata alla Germania, la Germania meno. Da qui, magari nascono le divergenze. 
Da qui magari dovrebbe anche nascere una politica industriale comune, forse…
Sarebbe auspicabile. In Germania c'è Industria 4.0, ad esempio, che è un esempio significativo per capire perché il sistema tedesco funziona bene. 
In che senso?
Nel senso che tutto si muove assieme: politica, associazioni, istituti di ricerca. Tutti tendono a collaborare e a creare presupposti per crescere. Industria 4.0 nasctavoli di concertazione tra tutti questi attori. ed è la strategia tedesca per mantenere la propria competitività internazionale
DI cosa si tratta?
Di un concetto nuovo di produzione, in cui è centrale la digitalizzazione e l'intercomunicabilità di tutti gli elementi della produzioni, dentro e fuori. Ha risvolti concreti in produttività, risparmio energetico e competitività della singola unità produttiva. E, giocoforza, del paese intero. Tendenza in atto che va sviluppata e richiede interventi da tutti gli attori della filiera. È un piano che parte dalla Germania, ma è una tendenza tecnologica che viene adottata con declinazioni diverse in tutto il mondo. Gli Usa hanno lanciato iniziativa simile. Noi parliamo di automazione, dobbiamo promuoverla, dovunque siamo. 
Ha senso un' Industria 4.0 applicata all'Italia?
Il Made in Italy è fortemente coinvolto in un processo di questo tipo. E lo sviluppo tecnologico può essere una chiave pure le piccole e medie imprese italiane per aumentare la propria competitività.

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