martedì 2 giugno 2015

Riceviamo e pubblichiamo

Ragazzi rom incidente Boccea, parla la madre: "Ho implorato loro di consegnarsi, i poliziotti sono stati bravissimi"

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BOCCEA

"Urlavo: venite figli miei, non abbiate paura. Consegnatevi. Loro sono usciti singhiozzando, e sono intervenuti i poliziotti [...]. Avevo il timore che ai miei ragazzi potesse accadere qualcosa di brutto. Si era creato un clima terribile... ma i poliziotti sono stati bravissimi". Con queste parole Sefica Halilovic, la madre dei due ragazzi rom da ieri in carcere con l'accusa di essere i responsabili dell'incidente mortale a Boccea, racconta in un'intervista a Repubblica il momento del fermo, che non sarebbe stato possibile senza il suo aiuto.
È una testimonianza drammatica quella di Sefica, 50 anni e 5 figli, due accusati di omicidio volontario. È stata proprio lei a mettere fine alla loro latitanza. "Ogni notte uscivo dal campo urlando i loro nomi, fino a domenica, quando li ho visti dopo giorni e gli ho detto: avete sbagliato! Chiedete perdono e consegnatevi".
L'incontro - racconta la donna - è avvenuto domenica notte. "Sono uscita fuori dal campo e li chiamavo, li chiamavo. Urlavo i loro nomi. Sentivo dentro di me che non si erano allontanati dalla zona in cui viviamo. Me lo diceva il cuore. Era l'una di notte e Lai (nome di fantasia, è il minorenne, ndr) all'improvviso è sbucato dal ciglio della strada, in via la Monachina. Piangeva, mi chiedeva perdono. L'ho abbracciato, è mio figlio. Gli ho detto che lui e il fratello stavano sbagliando a fuggire e che dovevano consegnarsi alla polizia".
Così Sefica gli ha dato un appuntamento per farsi trovare dalla polizia. "Gli ho indicato il luogo dove si sarebbero dovuti far trovare, un terreno vicino al campo, la mattina seguente. Loro mi hanno dato la loro parola. La mattina alle sei e mezza - prosegue la madre - mia consuocera ha chiamato gli avvocati Antonio e Carola Gugliotta affinché avvisassero la polizia. Non ho fatto a tempo a chiudere la conversazione con mia consuocera che la polizia era già fuori dalla mia casa. Tre volanti. Mi hanno detto 'dove sono i suoi figli?'. Io non gli ho saputo dare le indicazioni stradali, così sono salita in auto con loro e siamo arrivati nel punto prestabilito".
Il resto è cronaca. "Erano molto provati. Sono scoppiati a piangere quando li abbiamo fermati e sono saliti nelle volanti", ha spiegato il capo della mobile della Capitale, Luigi Silipo. "Erano completamente sporchi, con i pantaloni lacerati, il maggiorenne era ferito al ginocchio. Ipotizziamo che in questi giorni non abbiano mangiato". Samuele, il maggiorenne, e suo fratello sono accusati di omicidio volontario: il primo è stato portato a Regina Coeli, il secondo in un centro di prima accoglienza. Ma davanti al procuratore aggiunto, Pierfilippo Laviani, i due nomadi hanno fatto scena muta scegliendo di avvalersi della facoltà di non rispondere. In cella per concorso in omicidio c'è già un'altra ragazza di 17 anni, che con il minorenne ha un figlio di 10 mesi.
"Non provo odio, voglio abbracciarli", ha detto il fratello di Corazon Peres Abordo, la filippina investita (fissato per sabato il suo funerale) riferendosi ai due nomadi. "Sono andato al campo dove vivevano i ragazzi - ha raccontato Julito - volevo parlare con la madre e la famiglia dei due giovani ma non mi hanno fatto entrare. Ma io li perdono. E ringrazio Dio perché sento queste cose". Al campo sull'Aurelia, la sorella dei due arrestati chiede più volte perdono, ma dice anche: "I miei fratelli hanno sbagliato ed ora è giusto che paghino".

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