lunedì 11 maggio 2015

Un articolo da leggere e sul quale riflettere.

Perché siamo e dobbiamo essere europeisti


European and British flags.
Le elezioni inglesi hanno dato un chiaro segnale all’Europa: così non si può continuare. L’esigenza di cambiare le istituzioni politiche europee travalica i confini nazionali dei paesi membri e riguarda tragicamente tutti. In Italia, il conflitto è rappresentato tra l’Europa filo-tedesca e i paesi del sud affamati dall’austerity, ovvero fra chi vuole un’Europa politica o un’Europa soltanto economica. In realtà, la frattura vera oggi è fra i sostenitori di un’Europa pesante e chi parteggia per un’Europa leggera.
Se gli stati continentali vogliono un’UE più coesa, pesante e politica, il Regno Unito invece vuole un’unione flessibile, leggera e poco impegnativa. L’Europa che piace a Londra è un’Europa minima, dal quale entrare e uscire con facilità, essenzialmente un’area di libero scambio economico. Questo disegno è chiaramente lontano anni luce da qualsiasi ipotesi federalista. Gli inglesi, siano essi conservatori o laburisti, non si troveranno mai d’accordo in un progetto federalista che riduca fortemente la loro sovranità nazionale. E questo deve essere molto chiaro alla vigilia del referendum del 2017. Più i paesi continentali chiederanno un’Europa politica, più la Gran Bretagna si allontanerà irreversibilmente dall’UE. E poco servono le minacce dei politici europei (ed italiani) che si affrettano a dire a Londra che l’UE non rinuncerà ai propri principi cardini, perché ad oggi realisticamente essi non sono nella posizione di poter minacciare Cameron ed il suo governo democraticamente eletto.
Un esempio è il problema immigrazione. In Italia è tutto un ripetere “l’Europa deve fare di più’’. Lo dicono tutti, destra, sinistra, addirittura anche i mediocri nazionalisti che ci ritroviamo. Una posizione condivisibile per ovvi motivi, ma che in Gran Bretagna non comprende nessuno. L’appellarsi in maniera salvifica all’Europa è visto come una strategia italiana per coprire le proprie inefficienze. In effetti, la Gran Bretagna, un paese che ospita un numero di rifugiati più alto del nostro, può concepire l’aiuto all’Italia in termini di spirito di solidarietà, non di vincolo politico, come ha già detto Cameron durante il Consiglio Europeo sulla Libia.
E poi c’è un altro tema. È evidente che il progetto federalista, per come è venduto dai partiti europeisti (PSE e PPE) presuppone un’egemonia tedesca o franco-tedesca. Gli inglesi non faranno mai parte di nessun progetto politico in cui essi non siano la locomotiva trainante. Del resto, hanno qualche ragione: la loro economia ad oggi è più forte di quella tedesca in termini di crescita PIL e occupazione.
Inoltre, vi è da chiedersi se sia poi così sbagliata ed eretica un’idea d’Europa light, minima ed efficiente? Per chi come me ha sempre aderito e aderisce ad un’idea federalista dell’Europa, ovviamente sì. Ma forse è anche arrivato il momento di dirci con franchezza che aldilà dei proclami, il progetto dell’Europa politica è molto lontano dal realizzarsi. Oggi l’Europa politica è spesso intesa come Europa burocratica e della spesa, piuttosto che Europa democratica. Anche le istituzioni comunitarie conservano quest’approccio. Il ritorno, per esempio, al multilaterale, alla cooperazione interstatale per la risoluzione delle crisi Europee (Ucraina e Libia) è evidente a tutti.
Sulla crisi ucraina, per esempio, Angela Merkel agisce come Presidente dell’UE , anche se purtroppo (per lei e per noi) non lo è. I paesi mediterranei si appellano a Bruxelles per risolvere i loro problemi e in qualche caso per coprire le proprie inefficienze e mancanze. L’Austerity imposta a priori come cuore dell’integrazione economica è la morte della politica nazionale e in qualche caso della democrazia. Non è un caso che i populismi più disparati crescano in tutti i paesi e sentimenti antieuropei vengano fomentati da più parti. E’ sempre colpa dell’Europa, comunque.
A fronte di tutto ciò, i nostri governanti dovrebbero fare una riflessione profonda. L’Europa politica è un bellissimo progetto, ma forse realizzabile nel lungo termine non certo nei prossimi anni. Inoltre, quest’Europa politica deve essere francamente qualche cosa di più di una mera Europa della spesa, che elargisce qualche miliardo qui e là ai poveri Stati membri bisognosi. La politica estera europea è ancora in fase di costruzione ed è spesso osteggiata dagli stessi Stati membri che non vogliono rinunciare alle proprie rendite di posizione. La locomotiva tedesca cura giustamente i propri interessi, così fanno anche gli altri stati membri, inclusa l’Italia. Il governo consociativo europeo tra popolari e socialisti non aiuta a trovare soluzioni efficaci. L’assenza di una forte leadership americana e l’ascesa delle nuove potenze mondiali mettono in subbuglio i tradizionali rapporti geopolitici nello scenario internazionale.
Qual è dunque la soluzione? Rinunciare al progetto Europeo? Tenerci un’UE bislacca come quella che abbiamo adesso? No, di certo. Siamo e dobbiamo essere Europeisti, perché è l’unica prospettiva di futuro che abbiamo (italiani, tedeschi ma anche inglesi) per competere in un mondo globale, agguerrito e forse anche cinico. La soluzione è dunque un’Europa differenziata con diversi livelli d’integrazione economica e politica, nel quale ogni Stato membro decida autonomamente la propria membership. Non si può certo obbligare gli inglesi ad aderire agli Stati Uniti d’Europa e non si può certo immaginare un’UE senza Londra, la capitale finanziaria europea. Ecco perché diversi livelli d’integrazione, con un’UE continentale politica e pesante ed un secondo livello più leggero e meno stringente può essere una buona proposta per non mandare al macero sessant’anni di sogno europeo. Serve molto realismo e poca demagogia, perché è evidente che aldilà dei proclami, degli ideali e delle contingenze elettorali, l’Unione Europea non può sopravvivere ad un’uscita del Regno Unito.
Marco Palillo

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