Vannino Chiti è costretto ad assistere a distanza al caos generato nel Pd e in maggioranza dal suo testo di riforma del Senato, discusso oggi dai suoi colleghi Dem in riunione a Palazzo Madama. Ma, pur da Strasburgo dove è impegnato nell’assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, il senatore Chiti, sostenitore di Gianni Cuperlo alle primarie del Pd, non si sta perdendo nemmeno una battuta del dibattito che ha scatenato in patria. E, tanto per iniziare, dice ad Huffpost che il suo testo di riforma, che prevede un dimezzamento del numero dei parlamentari di Camera e Senato ma con un’assemblea di Palazzo Madama comunque elettiva e con indennità, non sarà ritirato, al contrario di quanto chiedono i senatori renziani Andrea Marcucci e Nicola Latorre. “C’è una normale procedura parlamentare – ci dice Chiti – i disegni di legge si illustrano nella commissione competente. Dopo la discussione, il relatore assume o rielabora un testo base, tenendo conto del confronto. A questo si possono presentare emendamenti. Si vota. Ci si presenta in aula”.
Ma è un programma che non trova alcun riscontro dalle parti del premier Renzi. Il quale in conferenza stampa dopo il consiglio dei ministri fa riferimento a Chiti come a un senatore "in cerca di visibilità", pur senza citarlo esplicitamente ma il tema è quello. In più, forte anche della firma del capo dello Stato Giorgio Napolitano arrivata oggi sul testo di riforme del governo, Renzi mette in chiaro la sua convinzione che il disegno del governo "andrà avanti", anche perché è stato già "discusso e votato in direzione Pd: non si può ricominciare da capo ogni volta". Il premier si dice "pronto a modifiche" ma sempre "per uno stato più leggero" che non contempla assolutamente senatori eletti e con indennità.
Dunque, almeno per ora il testo Chiti, firmato da 22 senatori Pd, non verrà ritirato e potrà essere trasformato in emendamenti solo nel dibattito in Commissione. Ma questo è proprio il pericolo che il governo vorrebbe scongiurare. Perché dietro al testo Chiti ci sono i civatiani Walter Tocci e Felice Casson, nonché i senatori Dem – come Corradino Mineo, Lucrezia Ricchiuti, Donatella Albano e altri – che in tutte le prove di forza al Senato hanno sempre avuto posizioni borderline nel partito: dal caso kazako che coinvolse il ministro Alfano in era governo Letta, al caso Cancellieri nella stessa epoca, fino ai malumori sul voto di fiducia che ha fatto nascere il governo Renzi. Non basta. Perché il testo Chiti ha calamitato l’interesse dei cinque stelle, che considerano “possibile una maggioranza alternativa” sulla base di quella proposta. Sono continui i contatti tra i senatori civatiani e i dissidenti cinque stelle al Senato. E poi c’è naturalmente Forza Italia, che approfitta delle spaccature interne al Pd. Il capogruppo a Palazzo Madama Paolo Romani infatti ammette che “molti dei nostri senatori, me compreso, sono convinti che una elezione diretta sarebbe assolutamente meglio anche nell'ottica di un sistema monocamerale" e non esclude di convergere "sulla proposta Chiti", che prevede appunto “l'elezione diretta”.
Ma tutto questo non scalfisce per niente le convinzioni del presidente del Consiglio, che anzi ne approfitta per una stoccata contro i pentastellati: "Vedere il Movimento 5 stelle che difende l'indennità dei senatori mi sorprende...", dice Renzi in conferenza stampa, nel corso della quale trova solo qualche leggera parola di riconoscimento per l'autocritica dei "professori" Rodotà e Zagrebelsky ("Forse il nostro appello è stato tranchant", ha ammesso Zagrebelsky oggi alla Stampa).
Il punto è che in questa vicenda potrebbe non esserci solo la tattica politica, ma anche la sostanza. Perché l’idea di un Senato elettivo potrebbe solleticare l’appetito di tutte quelle sacche di resistenza al ddl del governo, presenti in ogni partito a Palazzo Madama. E allora il disegno di legge Boschi, che ha nell’abolizione dell’elezione diretta dei senatori uno dei suoi cardini principali, potrebbe avviarsi a vita difficilissima. Chiti insiste sul fatto che la sua proposta non sarà ritirata per il momento, confermando quando affermato da Tocci, Casson e Mineo: "Intanto non ne sono il proprietario, ma il primo firmatario". E aggiunge: "La nostra Costituzione è nata nonostante che, prima della sua approvazione, si fosse avuta una rottura dei governi di unità nazionale. Ispiriamoci tutti a quell’esperienza: con responsabilità, coscienza, rispetto, faremo importanti e buone riforme”.
Ma dalla maggioranza Pd non demordono. Anche perché la posizione di Chiti e degli altri 22 non riscuote successo nella minoranza Dem alla Camera, fatta eccezione per Pippo Civati il quale afferma che il testo della discordia è “gemello della mia proposta, elaborata dal costituzionalista pisano Andrea Pertici”. Civati ne parla anche sul suo blog, da tempo. Ma il resto della minoranza Pd prende le distanze da Chiti. In effetti, gliel’avevano detto già alla riunione costitutiva della nuova area di minoranza bersaniana, il cosiddetto ‘Correntone’, la settimana scorsa: “Non possiamo difendere un Senato elettivo, su questo non ti copriamo”. E oggi non cambiano idea. “Non se ne parla nemmeno”, dicono in Transatlantico a Montecitorio sia il bersaniano Danilo Leva che il dalemiano Enzo Amendola. Lo stesso Pierluigi Bersani, che oggi tra l’altro è stato ricevuto dal presidente Giorgio Napolitano al Quirinale, non crede alle prove di forza. A Renzi, l’ex segretario del Pd dice: “Va bene anche piantare la bandierina entro le europee perché vincere è importante ma non bisogna fare pasticci. Con il Senato delle autonomie bisogna mettere dei contrappesi”. Ma in riferimento a Chiti e agli altri dissidenti del Senato, sottolinea: “Cerchiamo di ragionare e vedrete che la soluzione si trova. Si troverà un modo per formare gli emendamenti, ma come cavolo si fa a dire che il Parlamento non può discutere. Il Pd dirà la sua, io sono convinto che si troverà il modo".
Il capogruppo del Pd al Senato Luigi Zanda getta acqua sul fuoco: “Parlare di 'scontro' o di 'spaccature' nel Pd non è soltanto esagerato, ma non rispecchia il reale andamento del dibattito di questa mattina che è stato molto rispettoso, ha visto emergere una forte sintonia su tante questioni di merito e ha affrontato un confronto serio e sereno con quei senatori del gruppo che sostengono una posizione di minoranza". Martedì prossimo i senatori Pd si riuniranno di nuovo. "Questa settimana continueremo a discutere – continua Zanda - e martedì prossimo terremo un'altra assemblea, dove il gruppo assumerà una posizione che io ritengo possa essere unitaria. Tutti i senatori del Pd sanno bene che solo l'unità del loro gruppo può garantire al percorso delle riforme costituzionali quella forza politica necessaria alla loro approvazione".