FEB
09
Mostriamo le facce e i volti di chi pensa di intimidirci con offese sessiste. Denunciamo pubblicamente quelle persone che passano il tempo a inquinare uno spazio che dovrebbe essere di tutti
Alessandra Moretti scrive al «Corriere»: «Mostrare i volti di chi insulta sul web»
Tags: Alessandra Moretti, insulti, legge, web
Caro direttore, provo a tirare le somme di quanto accaduto nelle ultime due settimane, tra il Parlamento e il web. Non a caso tra il parlamento più femminile che mai e il web più maschilista di sempre. Ma non parliamo di Rete in generale, soffermiamoci pure sui social network, che sono ora il centro della questione. Claudio Magris ha aperto sulle pagine del Corriere la riflessione sulla diffidenza, sulla distanza da prendere da Facebook e Twitter. Io dico un’altra cosa: riprendiamoci la libertà di dire la nostra sul web. Guardiamo quello che accade negli Usa, dove la scalata delle leadership femminili nelle multinazionali dell’online si è tramutata in una vera e propria «onda rosa» che guida la conquista della Silicon Valley: dalla top manager Susan Wojcicki alla guida di Youtube a Sheryl Sandberg numero uno di Facebook, da Marissa Mayer per Google fino a Carol Bratz per Yahoo. Nonostante questo, la rete è ancora regno di quella che chiamerei un’archeologia machista. Lo dice bene Maria Luisa Agnese raccontando l’ultimo degli episodi «insulti&violenza» nei confronti, guarda un po’, di donne che si stanno sempre più emancipando dalla subalternità rispetto ai colleghi uomini. Mi sono presa l’onere di ripetere in tv l’insulto che mi era stato rivolto in commissione alla Camera e ciò sia per un dovere di cronaca, ma anche per dire che non abbiamo più paura degli stereotipi, nemmeno quelli che ci vogliono «signore» che non usano certi linguaggi.
Abbiamo il Parlamento più rosa di sempre, lo ripeto, e intendiamo restituirlo al futuro dello stesso colore: a cominciare dall’alternanza di genere nella legge elettorale, su cui non faremo passi indietro. La politica è donna, così come la tecnologia. E dunque: esiste la necessità, l’urgenza di reagire. Tanto per cominciare smettendo di fare le vittime! Mostriamo le facce e i volti di chi pensa di intimidirci con offese sessiste. Denunciamo pubblicamente quelle persone che passano il tempo a inquinare uno spazio che dovrebbe essere di tutti, ma che purtroppo al momento è solo di chi ha la voce più grossa (e di timbro maschile). Denunciamo alla polizia postale e replichiamo agli insulti. Non restiamo immobili, non arretriamo perché l’offesa brucia tanto quanto uno schiaffo e a questo tipo di linguaggio dobbiamo rispondere per le rime, proprio oggi quando possiamo cambiare la cultura del Paese costruendo una vera leadership femminile non ricalcata su quella del maschio. È dunque maturo il tempo per dotarsi di strumenti che ridistribuiscano il diritto a esistere e a fare opinione sul web: sono la promotrice di una proposta di legge sull’hate speech (incitazione all’odio) in rete, firmata dal capogruppo del Pd e da un sostanzioso numero di giovani deputati under 35. Troviamo infatti che ci sia una doppia morale sul web: si è fin troppo tutelati contro le diffamazioni sui giornali online e per nulla in quella terra di nessuno che sono i «social». Occorre che i provider inizino un processo di responsabilizzazione dei contenuti, affinché la rete resti luogo di dibattito libero e democratico e non spazio per dare sfogo anche alle peggiori frustrazioni e agli istinti più bassi. La stessa cosa è avvenuta per la pedopornografia. Ma il principio è anche quello di diffondere una cultura personale della responsabilità dell’insulto: perché il problema non è la rete ma chi la usa. E questo lo dobbiamo soprattutto a chi si deve difendere con i propri mezzi senza dover ricorrere ad avvocati; è una legge pensata per le ragazze: è importante che capiscano che reagire è facile, che come si è fatta una battaglia contro la violenza fisica, il cui primo grande risultato è la legge sul femminicidio, ora se ne sta iniziando una nuova. Si può fare molto anche a livello di comunicazione: pubblicare i volti di chi pensa di insultare impunemente sul web è un modo per rafforzare e condividere la reazione. «In alto gli Ipad», dunque: facciamo vedere le facce di chi cerca di intimidirci, limitando la nostra libertà personale.
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