Alzare la temperatura contro il “golpe”, mettendo nel mirino Giorgio Napolitano. Ma evitando di andare fino in fondo sulla messa in stato d’accusa di Giorgio Napolitano. Perché l’obiettivo è arrivare al voto, appena approvata la legge elettorale. Per una volta Silvio Berlusconi non cede all’istinto di urlare quelle che considera le sue sacrosante ragioni contro Napolitano sulla manovra che lo costrinse a mollare palazzo Chigi per non far saltare l'accordo con Renzi sulle riforme. Tanto che evita di dichiarare sul “complotto” raccontato da Friedman. E opta per un gelido silenzio, lasciando ai suoi il compito di scaldare il clima.
Sceglie per una calma molto “politica” il Cavaliere. Perché considera iper politico il segnale. Non è un caso, ragiona con suoi complottologi, che la ricostruzione di Friedman compaia, nello stesso giorno, su un giornale dell’establishment italianocome il Corriere e su un giornale dell’establishment internazionale come il Financial Times. Paradossalmente, due giornali che, nel novembre nero dell’era berlusconiana, suonarono, eccome, le fanfare per l’arrivo di Monti. Il secondo segnale è che, come testimoni della “verità”, escano allo scoperto Romano Prodi, Carlo De Benedetti, e la ricostruzione è confermata dallo stesso Monti.
Prodi, De Benedetti e Monti. Tre figure ostili che nella prospettiva del Cavaliere rappresentano uno che vorrebbe fare il capo dello Stato della sinistra (Prodi), il nemico economico e politico per definizione, nonché tessera “numero 1” del Pd di Matteo Renzi (De Benedetti), e uno che cerca incarichi in Europa dopo aver stretto con Renzi un patto di ferro (Monti). E allora si capisce l’analisi che l’ex premier consegna ai suoi dopo aver chiuso i giornali: “Stanno cambiando cavallo”. I fantini in questione sarebbero i poteri forti. Il cavallo scelto sarebbe Renzi. Una gara che passa attraverso l’indebolimento di Giorgio Napolitano, il grande tutore del governo Letta. Delegittimare Napolitano per archiviare il suo governo e aprire l’era Renzi, questa l’operazione secondo l’analisi del Cavaliere. Che però resta oscura sul “come”, se cioè attraverso le urne o attraverso un manovrone di Palazzo.
Continua a leggere dopo la gallery
Napolitano story
1 di 47
  • Avanti
È sulla base di questa analisi che si capisce la regola di ingaggio di alzare i toni, ma senza arrivare fino in fondo sulla richiesta di impeachment. Forza Italia, annuncia Lucio Malan, si opporrà al voto sulla “manifesta infondatezza” della richiesta di impeachment. Ma si limiterà a una gazzarra sulle procedure preliminari. Evitando una saldatura con Grillo. Non è un caso che solo Minzolini pronunci la parola “impeachment” mentre tutto lo stato maggiore di Forza Italia si limiti alla richiesta di chiarire i punti oscuri. Pure una pasionaria come Daniela Santanchè, spedita da Berlusconi a Piazza Pulita a difendere l’onore della casa: “Quello che è emerso – dice – dimostra che aveva ragione Berlusconi a denunciare il complotto”.
Epperò qui si ferma l’arsenale polemico del Cavaliere. Perché l’obiettivo è il voto. Sondaggi alla mano, da giorni l’ex premier, ha cambiato di nuovo idea. Ritenendo che, con la nuova legge elettorale, le elezioni tornano a essere la best option. E – paradossalmente ma non troppo – le dimissioni del capo dello Stato sarebbero controproducenti: “Il nuovo presidente – è il ragionamento dell’ex premier – lo deve eleggere il nuovo Parlamento, non questo”. Da cui uscirebbe una figura ostile, alla Prodi. Non è un caso che una vecchia volpe come Giuliano Ferrara, ascoltato consigliere nei momenti difficili, si affretti a registrare un video sul Foglio per spiegare che chiedere l’impeachment di Napolitano è un errore perché rischia di rianimare un governo morente. Tenere sulla corda il capo dello Stato, ma senza affondare è proprio l’ordine che dirama Berlusconi da Arcore. Convinto, anche in questo modo, di giocare di sponda con Renzi che non vuole andare a palazzo Chigi senza elezioni. Ma che vuole il voto una volta approvata la nuova legge elettorale. E chissà se è una coincidenza, ma la dichiarazione più importante a difesa del capo dello Stato, quella di Renzi, arriva per ultima. Segnali, appunto.