IL REFERENDUM ANTI SCHENGEN
Svizzera, unione dei cantoni populisti europei
La stretta “contro l’immigrazione di massa” di Berna è solo l’ultima, pericolosa, minaccia all’Ue
«Clausola ghigliottina»: è la parola più sentita in queste ore di ira a Bruxelles per l’esito del referendum anti-immigrazione in Svizzera. Perché la Commissione, ma anche varie capitali europee - Francia in testa - sono furibonde con Berna per quanto accaduto domenica. Un’ira che non si giustifica solo con gli aspetti giuridici - ben 17 accordi siglati con l’Ue, di cui 7 di particolare importanza - ma anche con un aspetto molto politico: il referendum svizzero non poteva capitare in un momento peggiore, in un 2014 che vedrà probabilmente l’avanzata della destra populista alle europee del prossimo maggio.
Paesi con cui l’Ue ha accordi preferenziali in vigore (rosso) e in negoziazione (blu)
Non a caso si è fatto già sentire il movimento degli euroscettici tedeschi Afd, chiedendo che anche la Germania rifletta su misure per arginare l’immigrazione dall’Ue, e secondo un recente sondaggio la questione dell’afflusso di immigrati dall’est povero dell’Ue è ai primi posti delle preoccupazioni dei tedeschi. In Francia da tempo il Front National di Marine Le Pen si batte per ridurre l’afflusso di immigrati ed è ora in testa nei sondaggi. Il tutto, oltretutto, giunge proprio mentre Bruxelles è ai ferri corti con la Gran Bretagna di David Cameron che intende limitare l’afflusso di immigrati dai Paesi più poveri dell’Ue, tagliando sussidi e benefici sociali.
Così quando Bruxelles parla a Berna sembra voler mandare un messaggio agli Stati membri dell’Ue che, magari con il fiato sul collo dei movimenti della destra populista potrebbero cogliere la palla al balzo per tentare di imitare i confederati elvetici. Messaggio cruciale: la libertà di circolazione è sacra e non si tocca.
Numero di immigrati in Svizzera in modo permanente, divisi per nazionalità
La famosa «clausola ghigliottina» è quella che lega i 7 principali accordi (entrati in vigore il primo giugno 2002), quelli cioè relativi alla libera circolazione di persone, agevolazioni sul fronte delle merci, i trasporti aerei e terrestri, l’agricoltura, la ricerca scientifica, la fornitura alla pubblica amministrazione pubblica. La clausola vuol dire semplicemente che non si può recedere da uno dei sette accordi senza recedere automaticamente anche dagli altri. Tradotto: se la Svizzera recede dalla libera circolazione delle persone - peraltro ribadita dall’adesione al Trattato di Schengen sull’Europa senza frontiere (confermata da un referendum) - dovrà recedere anche da tutti gli altri.
«Le quattro libertà fondamentali, libero movimento di persone, beni capitali e servizi - ha tuonato il commissario europeo alla Giustizia Viviane Reding, intervistata dal Financial Times - non sono separabili. Il mercato unico non è un formaggio svizzero, non puoi avere un mercato unico con dei buchi dentro». «Non possiamo subire passivamente», ha tuonato anche Elmar Brok, presidente della commissione Esteri del Parlamento europeo. «La libertà di circolazione - ha spiegato Olivier Bailly, uno dei portavoce della Commissione - non è negoziabile. Non si può negoziare la libertà. O è applicata per tutti, o per nessuno».
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A rischio sono anche i negoziati che dovrebbero iniziare per un più vasto accordo istituzionale tra Ue e Svizzera. Sarebbero un netto passo in avanti rispetto a quelli bilaterali (formalmente stretti tra Berna e le capitali di tutti gli stati membri Ue), visto che dal 2009, con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, la stessa Unione Europea ha acquisito essa stessa personalità giuridica. Soprattutto, tali accordi aprirebbero alla Confederazione il pieno accesso al mercato unico comunitario, una questione particolarmente cruciale per l’industria elvetica, visto che oltre il 60% degli export svizzeri sono proprio verso l’Unione Europea. In proposito è già in calendario questo mercoledì una riunione del Coreper (gli ambasciatori dei Ventotto presso l’Ue) che dovrebbe valutare l’avvio dei negoziati con Berna. «È chiaro - ha avvertito Pia Ahrenkilde, portavoce del presidente della Commissione Europea José Manuel Barroso - che il risultato del referendum non aiuta, dovremo riflettere sulle implicazioni del voto». «È un punto di svolta - ha commentato non a caso il ministro della Giustizia svizzera Simonetta Sommaruga - un cambio di sistema con conseguenze molto ampie per la Svizzera».
Il punto è però più politico, come si diceva. Sono ancora vive le roventi polemiche e gli strali di Bruxelles contro la Francia - che ai tempi di Nicolas Sarkozy aveva reintrodotti controlli alla frontiera con l’Italia per arginare l’arrivo di profughi nordafricani - o la Danimarca, che aveva rintrodotto controlli doganali al confine con la Germania. Il tutto a dispetto del Trattato di Schengen in vigore. Il caso Svizzera, insomma, rischia di aprire un vespaio andando a toccare uno dei capitoli fondanti dell’Ue, quello al momento più sotto attacco della destra populista, proprio il diritto di libera circolazione dei cittadini. Un “modello svizzero” che potrebbe divenire ancora più pericoloso se davvero a maggio 2014 si vedrà una forte avanzata dei francesi del Front National, xenofobi olandesi di Geert Wilders, Lega Nord italiani, Liberalnazionali austriaci, ungheresi di Jobbik e via dicendo.
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