Dilettanti allo sbaraglio
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"Dilettanti allo sbaraglio". Era questo il sottotitolo della "Corrida", una trasmissione, prima radiofonica e poi televisiva, che conduceva il famoso presentatore Corrado. Il quale, con un cinismo fintamente bonario, si prendeva gioco di tanta gente qualunque in cerca di un quarto d'ora di notorietà. E "dilettanti allo sbaraglio" ci sembra l'epigrafe più adatta per sintetizzare i primi cento, catastrofici giorni dell'amministrazione grillina della capitale.
Tempo fa avevo parlato, in questo blog, della mezza cultura del grillino medio. Oggi ci tocca parlare della vera e propria incultura della stessa classe dirigente a cinque stelle. Mancanza di cultura politica, prima di tutto. Da cui discende non solo l'idea, visibilmente puerile, che la politica si riduca a "onestà privata", ma anche quella che, oltre all'onestà, per governare ci voglia solo competenza tecnica. Fa veramente tenerezza, o rabbia a seconda dei casi, sentir dire dalla sindaca Raggi che, per scegliere il nome di un assessore o del capo di una segreteria politica, sono stati visionati i curricola dei candidati. Quasi che amministrare politicamente e amministrare un'azienda fossero la stessa cosa, faccende entrambe da manager.
Come si può nella patria di Machiavelli arrivare a pensare, e poi a dire, una simile sciocchezza? La classe politica si seleziona solo nella lotta politica: altra possibilità non c'è. La politica è prima di tutto visione, cioè chiarezza sugli obiettivi da raggiungere, e poi assunzione di responsabilità. Nel bene, come nel male. Non si possono fuggire le telecamere, come stanno facendo in queste ore i grillini. Né ci si può nascondere dietro un dito, appellandosi a "scelte condivise", quando si è avuta un'investitura personale e quasi plebiscitaria. Né si può tener nascosta la verità, e addirittura mentire, davanti a coloro che ti hanno eletto.
È un errore politico veramente autodistruttivo: ciò che ne va di mezzo è la fiducia personale che ti è stata concessa. Ci vuole tanto a capire che il cittadino-elettore è disposto a perdonare persino la "disonestà", ma non perdonerà mai la menzogna? Ci vuole tanto a capire che qualsiasi giustificazione a posteriori più o meno bizantina, qualsiasi gioco di parole, non regge, e che l'unica scelta che un politico serio ha davanti, di fronte a circostanze del genere, sono le scuse ufficiali? Senza aspettare settimane, senza tener nascosta nel "cassetto" la verità, nella speranza che nessuno la scopra. Scuse ufficiali al popolo romano, che ha votato per il movimento in massa. Perché la Raggi ci gira ancora attorno? La menzogna in politica un tempo veniva etichettata sotto la voce "arcana imperii". Poi, in età moderna, si è parlato più semplicemente di "ragion di Stato", riservandola a settori speciali come i "servizi segreti". Nell'uno e nell'altro caso, si occultava la verità, che poteva essere perturbante, per la salus rei publicae, cioè per la salvezza della Patria. Qui invece si è mentito per piccoli interessi di bottega, personali, e proprio mentre si faceva della "trasparenza" il mito fondativo della nuova politica. Da non credere!
Alcuni giornali, a esempio "il Foglio", insistono sulla incompatibilità fra la grammatica grillina, fondata sul valore dell' onestà, e il governo politico di una società. Sono d'accordo, ma solo fino a un certo punto. Con l'onesta, valore non politico, si può fare politica. Basti pensare solo un attimo all'esperienza del giacobinismo, anche nelle sue propaggini totalitarie novecentesche, che su quella grammatica, su un'astratta idea di "virtù", si è costruita fino ad arrivare al Terrore.
Qui, più che a una fenomenologia della mente rivoluzionaria, siamo però di fronte alla fenomenologia della ignoranza umana. Ignoranza della politica e delle sue regole, a cui, diceva Benedetto Croce, è vano ribellarsi. Pena lo spettacolo pietoso di questi giorni. "Dilettanti allo sbaraglio", appunto. Il problema, come diceva quel tale, non è l'ignoranza, ma l'ignoranza attiva. E mai come in questa estate romana si son visti tanti ignoranti attivi e presuntuosi. Imperdonabile. Non so se era tutto già scritto, come pure si è detto. Fatto sta che fa davvero meraviglia come un abbaglio così grande lo abbia potuto prendere un popolo come quello romano, di sana e scettica diffidenza verso tutto ciò che si presenta come nuovo e originale. Caduti così in basso, forse ora, non si può fare altro che risalire.
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