Le ditte vogheresi Recology e Gibiemme nelle carte dell’inchiesta su riciclaggio e bancarotta del pm pavese Fontana
IL METODO DORINI Secondo gli inquirenti le società venivano «svuotate» e poi trasferite nei paesi dell’Est Europa per evitarne il fallimento
di Roberto Lodigiani wVOGHERA L’ombra della criminalità organizzata sul business vogherese dei rifiuti. Spuntano i nomi di due ditte, la Recology, che svolgeva la sua attività in un capannone di via Lomellina, fino alla chiusura (e al fallimento decretato nel giugno scorso dal tribunale di Milano), e la Gibiemme di via Prati Nuovi (posta sotto sequestro nel febbraio scorso dalla Guardia Forestale), nelle carte dell’inchiesta per riciclaggio di denaro, bancarotta fraudolenta e trasferimento illecito di valori coordinata dal pavese Roberto Fontana, ora sostituto procuratore a Piacenza. Il filo conduttore comune del versante vogherese delle indagini è Giovanni Benazzo, amministratore di Gibiemme e presidente-socio di Recology, i cui rapporti con alcuni dei personaggi-chiave dei traffici illeciti sono al vaglio dell’autorità giudiziaria che si sta muovendo per raccogliere ulteriori riscontri e testimonianze. L’operazione «Grecale ligure», condotta dagli uomini dell’Antimafia di Genova (Dia), ha portato all’esecuzione di otto provvedimenti restrittivi, mentre altre 14 persone sono indagate (tra le quali due curatori fallimentari, sospesi per sei mesi dall’esercizio della professione); inoltre, sono stati posti sotto sequestro preventivo società, beni aziendali, conti correnti bancari, fabbricati beni immobili e di altra natura, situati nelle province di Piacenza, La Spezia, Massa Carrara, Milano, Piacenza, Prato, Lodi e Siena, per un valore complessivo stimato in oltre 150 milioni di euro. Tutti riconducibili - sempre stando alla ricostruzione di Dia e della procure di Piacenza e La Spezia - al gruppo industriale piacentino Dorini, che opera nel settore della vendita e dell’assistenza di veicoli commerciali Volvo, ma con interessi anche in campo immobiliare. L’obiettivo dell’organizzazione criminosa, secondo gli investigatori, era quello di «svuotare» ditte sull’orlo del dissesto finanziario, trasferendo i beni in altre società create ad hoc e intestate a prestanome, con sede nell’Est Europa, in particolare in Bulgaria: uno stratagemma architettato per sottrarsi alla legislazione italiana ed evitare il fallimento, consentendo così la prosecuzione delle attività illecite. Il «metodo Dorini», sostengono i pm, sarebbe stato applicato anche alla vogherese Gibiemme. Qui entra in scena l’avvocato Pierpaolo Zambella, consulente legale del gruppo piacentino, a cui il commercialista spezzino Vittorio Petricciola avrebbe proposto la partecipazione a un affare nell’ambito dei rifiuti, con al centro il capannone di via Prati Nuovi. E questo «benchè il Petriccioli lo informi – dice l’ordinanza della procura - che nell’attività è coinvolta direttamente la criminalità organizzata». All’avvocato viene assegnato il compito di trovare un accordo con i proprietari del capannone, per evitare lo sfratto per morosità di Gibiemme e consentire così di prolungare l’affitto, «proprio allo scopo di realizzare l’attività già programmata di stoccaggio e smaltimento illecito dei rifiuti con il loro trasferimento in Bulgaria». Nelle carte, a supporto delle accuse, anche la trascrizione delle conversazioni telefoniche intercettate tra Benazzo (che si serve di un’utenza intestata alla ditta) e Petricciola, dalle quali emergerebbe un movimento di assegni con la banca bulgara Raiffeisenbank. Il 4 dicembre 2015, la sede di Gibiemme viene effettivamente spostata da Trezzano sul Naviglio a Judest Vidin, in Bulgaria, e cancellata dal Registro delle imprese di Milano lo scorso 9 giugno. Quanto a Recology, dopo lo stop alla lavorazione imposto dai tecnici ambientali della Provincia, che rilevano violazioni e difformità rispetto all’autorizzazione - rilasciata nel 2013 - viene dichiarata fallita dal tribunale di Milano il 20 giugno di quest’anno (giudice delegato Francesca Mammone, curatore Marziano Lavizzari). Qualche mese prima (12 ottobre 2015), Petricciola aveva informato Zambella del cattivo stato delle aziende del “gruppo Benazzo”, oberate da «4-5 milioni di euro di Iva e ritenute non versate».
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