POLVERE DI (5) STELLE
Cinquestelle tra alghe e panini, dilettanti allo sbaraglio
La giunta Appendino incespica nelle erbe infestanti del Po e va nel pallone sulla mensa a scuola. Finora tante parole, qualche buona intenzione, ma risultati zero. Governare, insomma, è un’altra cosa
Tra erbacce del Po e panino libero a scuola la giunta comunale di Torino è nel panico. Non sa che decisioni prendere e quando le prende, come nel caso delle infestanti, sono sbagliate. Intanto si rende necessario un nuovo sopralluogo sul Po e un tavolo tecnico per frenare l’espandersi del Myriophillum Acquaticum, una pianta che ha trasformato il fiume in una distesa verde. Il tutto è previsto domani, come ha spiegato l’assessore ai trasporti del Comune Maria La Pietra, in consiglio comunale. “Il problema vero è che in questo momento il Po non sembra neanche più un fiume e che abbiamo solo 100 mila euro per fare la manutenzione” ha detto l’esponente della squadra di Chiara Appendino con deleghe alle vie d’acqua, dopo il fuoco di fila di interventi delle opposizioni che hanno criticato aspramente il blitz fai-da-te della sindaca e di alcuni consiglieri lo scorso 11 agosto sul Po, quando hanno cercato assieme a un gruppo di volontari di ripulire il fiume dalle piante. L’ex assessore ai TrasportiClaudio Lubatti ha bollato l'iniziativa come “una giornata mediaticamente interessante, di cui non si sa il costo, ma si sa che non è stata risolutiva”. Ancor più caustici i commenti di altri: “Pensavamo che il peggio fosse la spiaggia sul Po di Ilda Curti ma oggi sul fiume abbiamo il prato di Appendino” ha ironizzato Fabrizio Ricca della Lega Nord, che ha annunciato un esposto in procura. Il Comune dovrà scegliere un’azienda specializzata per estirpare la pianta. L’assessore pentastellata Lapietra ha ammesso che “per trovare la ditta giusta ci vorrà tempo. Non so neanche se la troveremo, ecco perché lo scorso 11 agosto siamo intervenuti noi”. E del sindaco ombra, il capo di gabinetto Paolo Giordana, non si vede manco l’ombra.
Le cose non vanno meglio a proposito della refezione scolastica. Dopo la decisione della Corte di Appello del Tribunale di Torino che ordina al Comune e al ministero dell’Istruzione di ammettere a scuola anche il pranzo da casa, in alternativa alla mensa, a pochi giorni dal ritorno sui banchi, a Palazzo civico brancolano nel buio. L’assessore con deleghe alla scuola, Federica Patti, ha subito cercato un escamotage, parlando di distinguo tra “riconoscimento di un diritto e la sua applicabilità”. A tale proposito ha comunicato che il 3 ottobre “potrà partire la ristorazione mista” con pasti nelle aule della scuola o in appositi locali. Ha parlato di ricadute ancora ignote sul costo e sul tempo scuola di una simile iniziativa. Le scuole, infatti, dovranno informare il Comune di quanti non fruiscono della mensa e organizzare il servizio al meglio, ha spiegato l’assessore in Sala rossa. Patti ha accusato i genitori che hanno fatto ricorso di “rivendicare il diritto di scelta per far saltare il banco, visto che il servizio mensa a Torino è caro”. “È un atto di forza - ha aggiunto - sulla pelle dei bambini” che si trovano tra due fuochi, da una parte la scuola con le sue regole dall’altra i genitori con le loro istanze. Il capogruppo del Pd Stefano Lo Russo ha chiesto di sapere se in caso di defezioni numericamente importanti l’appalto verrà rinegoziato. Ma per ora l’assessore non si è sbilanciata, tagliando corto: “Un tema che interessa i bambini non deve generare scontro politico, ma semmai è trasversale e interessa tutti”. La verità è che non ha la più pallida idea di cosa fare. È decisamente più preparata sull’Isee.
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