La vedova Schifani racconta ai ragazzi cosa fu la strage in cui morì Falcone
Nella lettera la spiegazione di cosa significò per lei e per il Paese l’attentato di Capaci
Carissimi ragazzi mi rivolgo a voi perché per me rappresentate, in questa società malata e corrotta, il futuro e la speranza di un domani migliore. Ho sempre nutrito grande fiducia ed amore per i giovani forse anche perché, poco più che ventenne, la mafia ha offeso la mia gioventù. Gli anni Novanta del secolo scorso sono stati terribili per me. Il 23 maggio del ‘92 la mafia fece collocare ben seicento chili di tritolo sotto un viadotto dell’autostrada che collega l’aeroporto di Punta Raisi alla città di Palermo. L’intento era di farlo esplodere al passaggio dell’auto sulla quale avrebbe dovuto viaggiare verso Palermo il giudice Giovanni Falcone, al rientro in aereo da Roma. Giovanni Falcone era un magistrato molto temuto dalla mafia. l’auto blindata sulla quale viaggiavano i tre agenti della scorta fu catapultata ad un centinaio di metri, finendo, disintegrata, in un giardino sito all’esterno dell’altra carreggiata.
Immediata fu la morte dei tre poliziotti Vito Schifani, mio marito, ed i suoi due colleghi Rocco Di Cillo e Antonio Montinaro. Rimase distrutta anche l’auto che li seguiva, con a bordo il giudice e la moglie Francesca Morvillo pure lei magistrato. Morirono poco dopo in ospedale. Un vile attentato che colpì cinque famiglie, lasciando vedove ed orfani, oltre a feriti come il sopravvissuto autista dell’auto di Falcone. Io giovanissima rimasi con un bambino di quattro mesi da crescere ed educare da sola. L’eco di questa orribile viltà giunse a tutto il mondo. Furono versate calde lacrime dai tantissimi che sentirono il bisogno, anche virtuale, di stringersi a noi familiari dei caduti. Eppure, in seguito, sia per questo attentato che per altri successivi, non abbiamo avuto risposte esaurienti sulle indagini, sui mandanti e sugli esecutori materiali. Solo mezze verità fatte anche di depistaggi e di poche certezze. Personalmente, in generale, queste risposte me le sono date ben presto, venendo a conoscenza di come tanti politici, rubando e lucrando alle spalle dei cittadini, avevano ridotto a terreno di razzia lo Stato e le sue istituzioni.
Persino lasciando campo libero alla criminalità organizzata. Quando la pubblica amministrazione dà cattivo esempio e, peggio, abbandona il controllo del territorio, permette alla criminalità di dilagare. Chi sono i mafiosi? Sono criminali senza alcuna pietà che si ritengono padroni della vita e della morte, ma sono esseri infelici che si nutrono di ingiustizie e del sangue di innocenti, spargendo lutti ed odio. Se non pagano per i loro delitti e se non si pentono dei loro peccati, li attende un baratro senza fine. Non ho spirito di vendetta. Per Vito allo Stato ho chiesto giustizia. Per loro, nel loro interesse, a Dio li affido perdonandoli. Infatti ritengo che, se nutrissimo spirito di ritorsione, non faremmo altro che aggiungere barbarie a barbarie, in una catena di orrori senza fine. Cari giovani, è il tempo dalla riflessione affinché alla stagione della morte subentri quella della vita. Dobbiamo essere inamovibili nella lotta alla corruzione ed alla criminalità, cominciando dalla famiglia e dalla scuola. In contrapposizione alla catena di orrori, tutti insieme possiamo formare una catena umana, inserendovi, maglia per maglia, Legalità, Giustizia, Amore per il prossimo e persino Carità. Non dobbiamo perdere la speranza in un mondo migliore. Al contempo non dobbiamo dimenticare il sacrificio di quegli innocenti giovani padri, servitori dello Stato. Dello Stato che, con i suoi governanti, con i suoi rappresentati, non riuscì a difenderli. Grazie alla fede in Dio sono riuscita a vivere serenamente e ad educare i miei figli nell’umiltà e nella legalità. Vivere quotidianamente nella rettitudine e nella legalità ci aiuta ad essere felici affettuosamente, Rosaria Costa.
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