Scuola, i presidi: «Super poteri? Macché, solo guai»
Né padroni. Né sceriffi. Soltanto responsabili. I dirigenti degli istituti scolastici: «Poca valutazione, rischio pregiudizi». Bologna, Scampia, Rho: le reazioni al ddl.
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19 Maggio 2015
Li chiamano presidi padroni.
O presidi sceriffi.
E invece, ai loro occhi, la riforma della scuola dà più responsabilità nelle decisioni e pochi strumenti per prenderle davvero.
I dirigenti scolastici, dal Nord al Sud Italia, lasciano la retorica fuori dalla porta.
E mentre i politici parlano di attacco alla libertà di insegnamento, mentre le proteste di piazza li accusano di essere dei piccoli dittatori, loro discutono il merito della riforma. Smontando i luoghi comuni.
«SARÀ SOLO COLPA NOSTRA». Il bolognese Stefano Mari, 61 anni, 35 passati a scuola, 22 da direttore scolastico, dopo due giorni trascorsi a discutere del disegno di legge con l'associazione delle scuole autonome bolognesi, è critico.
«Ci raccontano che con il sistema della selezione a chiamata degli insegnanti deciderà tutto il preside. E invece i docenti sceglieranno le scuole più appetibili e non quelle in cui c'è più bisogno. Gli istituti svantaggiati rimarrano tali. E al massimo si dirà: è colpa del preside che si è scelto dei cattivi professori».
MERITOCRAZIA, MA SU COSA? Alfredo Fiore, preside dell'istituto tecnico Ferraris di Scampia, un miracolo di scuola, tra le migliori a livello nazionale per capacità di inserimento dei ragazzi, non è spaventato dalla competizione tra le scuole per ottenere donazioni private o il versamento del 5 per mille, né dai cambiamenti sull'arruolamento dei professori.
Quello che veramente non capisce è perché nella riforma non ci sia scritto su cosa dovranno essere valutati i docenti. «Quanto conteranno i titoli? Quanto i progetti? Quanto l'insegnamento a scuola? Quali sono le variabili su cui va dato il giudizio? Per ora nella riforma non c'è scritto nulla».
O presidi sceriffi.
E invece, ai loro occhi, la riforma della scuola dà più responsabilità nelle decisioni e pochi strumenti per prenderle davvero.
I dirigenti scolastici, dal Nord al Sud Italia, lasciano la retorica fuori dalla porta.
E mentre i politici parlano di attacco alla libertà di insegnamento, mentre le proteste di piazza li accusano di essere dei piccoli dittatori, loro discutono il merito della riforma. Smontando i luoghi comuni.
«SARÀ SOLO COLPA NOSTRA». Il bolognese Stefano Mari, 61 anni, 35 passati a scuola, 22 da direttore scolastico, dopo due giorni trascorsi a discutere del disegno di legge con l'associazione delle scuole autonome bolognesi, è critico.
«Ci raccontano che con il sistema della selezione a chiamata degli insegnanti deciderà tutto il preside. E invece i docenti sceglieranno le scuole più appetibili e non quelle in cui c'è più bisogno. Gli istituti svantaggiati rimarrano tali. E al massimo si dirà: è colpa del preside che si è scelto dei cattivi professori».
MERITOCRAZIA, MA SU COSA? Alfredo Fiore, preside dell'istituto tecnico Ferraris di Scampia, un miracolo di scuola, tra le migliori a livello nazionale per capacità di inserimento dei ragazzi, non è spaventato dalla competizione tra le scuole per ottenere donazioni private o il versamento del 5 per mille, né dai cambiamenti sull'arruolamento dei professori.
Quello che veramente non capisce è perché nella riforma non ci sia scritto su cosa dovranno essere valutati i docenti. «Quanto conteranno i titoli? Quanto i progetti? Quanto l'insegnamento a scuola? Quali sono le variabili su cui va dato il giudizio? Per ora nella riforma non c'è scritto nulla».
Il preside di Scampia: «Non licenzieremo da un giorno all'altro»
A vederla dalle Vele di Scampia, insomma, la questione è ribaltata.
L'ultima riforma ha già previsto la valutazione dei docenti appena immessi in ruolo dopo un anno di formazione.
Se il giudizio è negativo, c'è un anno di tempo per riparare.
«Il problema», spiega il preside Fiore, «è per gli altri che non sono abituati all'idea». E però, puntualizza il dirigente scolastico, «nella riforma non sono spiegate le griglie della valutazione. Il corpo docente è spaccato sul tema. Ma quello che mi vengono a chiedere è: conterà il mio master? Conteranno i titoli? Cosa devo rispondere?».
SI PREMIA IL LAVORO GRATIS? Il ddl prevede che la premialità sia legata anche ai progetti che i docenti portano avanti nelle scuole.
E il rischio è far corrispondere il merito a buona volontà e lavoro gratuito.
Ma il dirigente scolastico di questo istituto da 1.400 studenti e 200 insegnanti non si scompone: «Questo non è un rischio, è da anni che va così. Dobbiamo fare un grosso plauso ai docenti che lavorano gratuitamente, che ci credono, che sono più appassionati. Ma anche io nel ruolo di docente non mi sono mai chiesto quante ore in più davo alla scuola».
«NOI SCERIFFI? UNO SLOGAN». Per Fiore i poteri da sceriffo sono uno slogan. Gli insegnanti assunti con la riforma avranno un contratto di tre anni rinnovabile. «Non si licenzia da un giorno all'altro e si valuta la situazione. Ma mi è già capitato di avere contenziosi, il problema piuttosto è che durano molto. Con la nuova riforma la vera differenza è che il preside diventerà diretto responsabile anche a livello giudiziario. Mentre prima la faccenda era gestita dall'ufficio scolastico regionale».
500 EURO PER LA FORMAZIONE. Le responsabilità aumentano, le risorse no. «Per gli insegnanti è previsto un bonus di 500 euro l'anno da spendere in strumenti o formazione», spiega Fiore, «per noi il decreto prevede un fondo aggiuntivo, ma non specifica il quantum». Ma il dirigente di Scampia è ottimista. L'apertura del canale di finanziamento del 5 per mille che per molti porterà all'aumento della disuguaglianza sociale - stralciato dal provvedimento il 19 maggio - per lui è un'opportunità.
«OK L'INSERIMENTO LAVORATIVO». E non teme nemmeno l'idea che una scuola del Sud possa essere valutata per la sua capacità di inserimento lavorativo. «Abbiamo quattro studenti che sono stati appena assunti dall'Enel, ci chiamano le aziende. Il problema è di chi ce l'ha. Se si fa una scuola buona, io la chiamo così invece che buona scuola, il rischio non c'è».
L'ultima riforma ha già previsto la valutazione dei docenti appena immessi in ruolo dopo un anno di formazione.
Se il giudizio è negativo, c'è un anno di tempo per riparare.
«Il problema», spiega il preside Fiore, «è per gli altri che non sono abituati all'idea». E però, puntualizza il dirigente scolastico, «nella riforma non sono spiegate le griglie della valutazione. Il corpo docente è spaccato sul tema. Ma quello che mi vengono a chiedere è: conterà il mio master? Conteranno i titoli? Cosa devo rispondere?».
SI PREMIA IL LAVORO GRATIS? Il ddl prevede che la premialità sia legata anche ai progetti che i docenti portano avanti nelle scuole.
E il rischio è far corrispondere il merito a buona volontà e lavoro gratuito.
Ma il dirigente scolastico di questo istituto da 1.400 studenti e 200 insegnanti non si scompone: «Questo non è un rischio, è da anni che va così. Dobbiamo fare un grosso plauso ai docenti che lavorano gratuitamente, che ci credono, che sono più appassionati. Ma anche io nel ruolo di docente non mi sono mai chiesto quante ore in più davo alla scuola».
«NOI SCERIFFI? UNO SLOGAN». Per Fiore i poteri da sceriffo sono uno slogan. Gli insegnanti assunti con la riforma avranno un contratto di tre anni rinnovabile. «Non si licenzia da un giorno all'altro e si valuta la situazione. Ma mi è già capitato di avere contenziosi, il problema piuttosto è che durano molto. Con la nuova riforma la vera differenza è che il preside diventerà diretto responsabile anche a livello giudiziario. Mentre prima la faccenda era gestita dall'ufficio scolastico regionale».
500 EURO PER LA FORMAZIONE. Le responsabilità aumentano, le risorse no. «Per gli insegnanti è previsto un bonus di 500 euro l'anno da spendere in strumenti o formazione», spiega Fiore, «per noi il decreto prevede un fondo aggiuntivo, ma non specifica il quantum». Ma il dirigente di Scampia è ottimista. L'apertura del canale di finanziamento del 5 per mille che per molti porterà all'aumento della disuguaglianza sociale - stralciato dal provvedimento il 19 maggio - per lui è un'opportunità.
«OK L'INSERIMENTO LAVORATIVO». E non teme nemmeno l'idea che una scuola del Sud possa essere valutata per la sua capacità di inserimento lavorativo. «Abbiamo quattro studenti che sono stati appena assunti dall'Enel, ci chiamano le aziende. Il problema è di chi ce l'ha. Se si fa una scuola buona, io la chiamo così invece che buona scuola, il rischio non c'è».
La dirigente di Milano: «L'assunzione a chiamata? Un pregiudizio»
Paola Molesini, preside da sette anni del liceo scientifico Ettore Majorana, di Rho, il Comune dell'Expo di Milano, spiega: «Questa riforma regola molte cose che si fanno già. La protesta mi lascia perplessa, le domande che vengono sollevate invece le condivido».
UNA DERIVA POLITICA.Secondo la preside ci sono punti positivi: dalla programmazione triennale alla possibilità che i presidi scelgano i propri collaboratori. E sulla valutazione degli insegnanti, poi, c'è stata una deriva politica: «Penso che si sia voluto dare un messaggio politico a Renzi, perché in Italia c'è una paura atavica della valutazione. Ci si ferma sempre lì. Mentre nei Paesi del Nord Europa», dice la dirigente scolastica appena rientrata da un viaggio in Finlandia, «la danno per scontata».
Resta però la domanda di fondo: come verranno giudicati gli insegnanti? Non ci sono risposte, concorda Molesini che invita su questo punto a un vero confronto con i sindacati.
«RECLUTAMENTO SBAGLIATO». Ciò che davvero non funziona per la preside milanese è il sistema di reclutamento a chiamata, approvato il 18 maggio a larga maggioranza dalla Camera dei deputati. L'articolo 9 del ddl buona scuola prevede che siano i professori a inviare le candidature alla scuola dove aspirano a insegnare. E che il dirigente scolastico valuti i profili e decida chi assumere.
«Si dà per scontato che io conosca già persone di cui invece leggo solo i curricula. Di fatto, si chiede di assumere su un pregiudizio».
«MANCANZA DI FLESSIBILITÀ». Al contrario, spiega Molesini, c'è bisogno di più flessibilità poi. Il contratto triennale va in questa direzione. «Perché non posso, nel rispetto dei diritti sindacali, spostare un docente dopo averne valutato le caratteristiche? Magari è più adatto a un liceo scientifico e non a un classico», spiega la dirigente.
«Il preside alla fine è sempre solo nelle sue decisioni», conclude, «ma del reclutamento a chiamata davvero non c'era bisogno».
UNA DERIVA POLITICA.Secondo la preside ci sono punti positivi: dalla programmazione triennale alla possibilità che i presidi scelgano i propri collaboratori. E sulla valutazione degli insegnanti, poi, c'è stata una deriva politica: «Penso che si sia voluto dare un messaggio politico a Renzi, perché in Italia c'è una paura atavica della valutazione. Ci si ferma sempre lì. Mentre nei Paesi del Nord Europa», dice la dirigente scolastica appena rientrata da un viaggio in Finlandia, «la danno per scontata».
Resta però la domanda di fondo: come verranno giudicati gli insegnanti? Non ci sono risposte, concorda Molesini che invita su questo punto a un vero confronto con i sindacati.
«RECLUTAMENTO SBAGLIATO». Ciò che davvero non funziona per la preside milanese è il sistema di reclutamento a chiamata, approvato il 18 maggio a larga maggioranza dalla Camera dei deputati. L'articolo 9 del ddl buona scuola prevede che siano i professori a inviare le candidature alla scuola dove aspirano a insegnare. E che il dirigente scolastico valuti i profili e decida chi assumere.
«Si dà per scontato che io conosca già persone di cui invece leggo solo i curricula. Di fatto, si chiede di assumere su un pregiudizio».
«MANCANZA DI FLESSIBILITÀ». Al contrario, spiega Molesini, c'è bisogno di più flessibilità poi. Il contratto triennale va in questa direzione. «Perché non posso, nel rispetto dei diritti sindacali, spostare un docente dopo averne valutato le caratteristiche? Magari è più adatto a un liceo scientifico e non a un classico», spiega la dirigente.
«Il preside alla fine è sempre solo nelle sue decisioni», conclude, «ma del reclutamento a chiamata davvero non c'era bisogno».
Il responsabile bolognese: «Valutazione senza risorse e al ribasso»
Stefano Mari è responsabile dell'istituto comprensivo 8 di Bologna, 1.450 studenti tra alunni della materna, delle elementari e delle medie, 145 professori e 25 tra tecnici e personale amministrativo.
Una comunità scolastica che si estende dal confine con Casalecchio di Reno fino a via Cà Selvatica in pieno centro città, con una cittadinanza mista, per livello sociale e grado di presenza degli stranieri.
Ha studiato il decreto assieme ad altri 100 presidi dell'associazione scuole autonome bolognesi.
E il suo giudizio sull'assunzione a chiamata dei professori è netto.
UN GAP CHE AUMENTERÀ. «Attualmente il sistema per graduatoria, l'assegnazione dei professori è in sostanza casuale. E assicura in qualche modo una certa equità tra gli istituti. Nel caso delle supplenze annuali, per esempio, le reti di scuole gestiscono insieme le assunzioni».
La chiamata nominale, per il preside, invece, porterà i professori ad autocandidarsi negli istituti più appetibili: «Gli insegnanti più bravi non andranno dove c'è bisogno e il ritardo delle scuole che si trovano nelle zone più povere e degradate aumenterà». Bel paradosso.
«NESSUNO SCEGLIE NESSUNO». Gli slogan dicono che sarà il preside a scegliersi gli insegnanti migliori, per Mari invece «qui nessuno sceglie nessuno».
Il dirigente scolastico di una scuola non appetibile non avrà grande scelta, argomenta il preside, però verà addidato come unico responsabile.
Il preside bolognese non avrebbe certo problemi: «Il nostro istituto ha sedi in centro e comode, ma avallare questo sistema sarebbe un atto di egoismo».
L'unico modo per ovviare a questo effetto sarebbe «creare una rete di cooperazione tra le scuole per assicurare equità. Ma la nostra categoria è spaccata. E basta una sola scuola che alimenti il sistema della competitività perché la solidarietà salti».
IL NODO: LA MANCANZA DI FONDI. Il dirigente è contrario anche al sistema di assegnazione del 5 per mille.
La legge prevede la creazione di un fondo unico di tutte le donazioni, ma il 90% del totale andrà alla scuola prescelta dal donatore, mentre solo il 10% verrà ridistribuito sul totale delle scuole italiane.
«Una sola cosa dovrebbe fare il governo», dice Mari, «assicurare alle scuole italiane tutte le risorse di cui necessitano».
Una comunità scolastica che si estende dal confine con Casalecchio di Reno fino a via Cà Selvatica in pieno centro città, con una cittadinanza mista, per livello sociale e grado di presenza degli stranieri.
Ha studiato il decreto assieme ad altri 100 presidi dell'associazione scuole autonome bolognesi.
E il suo giudizio sull'assunzione a chiamata dei professori è netto.
UN GAP CHE AUMENTERÀ. «Attualmente il sistema per graduatoria, l'assegnazione dei professori è in sostanza casuale. E assicura in qualche modo una certa equità tra gli istituti. Nel caso delle supplenze annuali, per esempio, le reti di scuole gestiscono insieme le assunzioni».
La chiamata nominale, per il preside, invece, porterà i professori ad autocandidarsi negli istituti più appetibili: «Gli insegnanti più bravi non andranno dove c'è bisogno e il ritardo delle scuole che si trovano nelle zone più povere e degradate aumenterà». Bel paradosso.
«NESSUNO SCEGLIE NESSUNO». Gli slogan dicono che sarà il preside a scegliersi gli insegnanti migliori, per Mari invece «qui nessuno sceglie nessuno».
Il dirigente scolastico di una scuola non appetibile non avrà grande scelta, argomenta il preside, però verà addidato come unico responsabile.
Il preside bolognese non avrebbe certo problemi: «Il nostro istituto ha sedi in centro e comode, ma avallare questo sistema sarebbe un atto di egoismo».
L'unico modo per ovviare a questo effetto sarebbe «creare una rete di cooperazione tra le scuole per assicurare equità. Ma la nostra categoria è spaccata. E basta una sola scuola che alimenti il sistema della competitività perché la solidarietà salti».
IL NODO: LA MANCANZA DI FONDI. Il dirigente è contrario anche al sistema di assegnazione del 5 per mille.
La legge prevede la creazione di un fondo unico di tutte le donazioni, ma il 90% del totale andrà alla scuola prescelta dal donatore, mentre solo il 10% verrà ridistribuito sul totale delle scuole italiane.
«Una sola cosa dovrebbe fare il governo», dice Mari, «assicurare alle scuole italiane tutte le risorse di cui necessitano».
Parole chiave: investimenti e sistema di ispettori
Investimenti, sembra questa la parola chiave. Anche sulla questione valutazione.
«La Gran Bretagna», dice Mari, «ha un corpo di circa un migliaio di ispettori e assistenti che riescono a visitare tutte le scuole ogni quattro e cinque anni. Un sistema di monitoraggio che ha come obiettivo il miglioramento generale del sistema scolastico».
Mari vorrebbe sì la valutazione, ma più rigorosa, affidata a controllori esterni e finanziata.
Ma l'Italia non è la Gran Bretagna.
Secondo un dossier di Tuttoscuola oltre Manica c'è un ispettore ogni 13 scuole, in Francia uno ogni 22, nel Lazio uno ogni 2.076 e ci sono cinque ispettori per l'intera provincia di Bologna.
L'ULTIMO CONCORSO NEL 2008. Il corpo ispettivo del ministero è stato ridotto, i concorsi sono andati a rilento.
L'ultimo è stato bandito nel 2008 per l'assunzione di 145 'dirigenti tecnici'. Ne sono stati ammessi 75 e sono stati impiegati 21 mesi solo per la correzione delle prove.
E al 2013 rimanevano scoperte ancora 220 posizioni..
RISCHIO TENSIONI E MALUMORI. Anche per questo la riforma della buona scuola prevede che gli ispettori valutino i presidi, mentre gli insegnanti saranno valutati da un collegio composto dal preside, due professori e due genitori (o un genitore e uno studente per le scuole superiori).
«La valutazione è stata ridotta a un'attività gratuita che rischia di creare tensioni e malumori interni», commenta Mari. Altro che sceriffi. I dirigenti scolastici sono chiamati ad assumere e valutare senza sapere bene come fare
«La Gran Bretagna», dice Mari, «ha un corpo di circa un migliaio di ispettori e assistenti che riescono a visitare tutte le scuole ogni quattro e cinque anni. Un sistema di monitoraggio che ha come obiettivo il miglioramento generale del sistema scolastico».
Mari vorrebbe sì la valutazione, ma più rigorosa, affidata a controllori esterni e finanziata.
Ma l'Italia non è la Gran Bretagna.
Secondo un dossier di Tuttoscuola oltre Manica c'è un ispettore ogni 13 scuole, in Francia uno ogni 22, nel Lazio uno ogni 2.076 e ci sono cinque ispettori per l'intera provincia di Bologna.
L'ULTIMO CONCORSO NEL 2008. Il corpo ispettivo del ministero è stato ridotto, i concorsi sono andati a rilento.
L'ultimo è stato bandito nel 2008 per l'assunzione di 145 'dirigenti tecnici'. Ne sono stati ammessi 75 e sono stati impiegati 21 mesi solo per la correzione delle prove.
E al 2013 rimanevano scoperte ancora 220 posizioni..
RISCHIO TENSIONI E MALUMORI. Anche per questo la riforma della buona scuola prevede che gli ispettori valutino i presidi, mentre gli insegnanti saranno valutati da un collegio composto dal preside, due professori e due genitori (o un genitore e uno studente per le scuole superiori).
«La valutazione è stata ridotta a un'attività gratuita che rischia di creare tensioni e malumori interni», commenta Mari. Altro che sceriffi. I dirigenti scolastici sono chiamati ad assumere e valutare senza sapere bene come fare
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