Caso Consulta, i giovani scendano in piazza per difendere le loro pensioni
La sentenza della Corte Costituzionale sbarra la strada a chi chiede più equità tra generazioni. Nel silenzio di chi, domani, avrà pensioni da fame
Ci vorranno mesi, probabilmente, forse anni affinché gli italiani, in particolare i pensionati di dopodomani, si rendano conto degli effetti devastanti della sentenza della Consulta, che ha giudicato incostituzionale la deindicizzazione al costo della vita delle pensioni superiori di tre volte alla minima.
Effetti contabili, ma non solo. Perché oltre a mettere a rischio la tenuta dei conti pubblici, la sentenza della Corte sbarra la strada in via preventiva a ogni tentativo di redistribuzione generazionale, sancendo l'assoluta intangibilità dei diritti acquisiti con una votazione in cui sei membri (più il presidente) hanno votato a favore, e sei hanno votato contro. Non esattamente un plebiscito, insomma. Abbastanza, tuttavia, per fare giurisprudenza.
Eppure qualche paletto va messo, anche solo per testimoniare la nostra netta contrarietà a una scelta di questo tipo. Le pensioni non sono un conto corrente in cui si deposita una cifra mentre si lavora, per riaverla, con gli interessi, quando si smette di lavorare. Le pensioni, vale la pena di ricordarlo, ora e sempre, sono un patto generazionale. Mio padre versa i propri contributi per pagare la pensione di mio nonno, io li verso per quella di mio papà, mio figlio per la mia.
Finché tutti lavorano e tutti fanno figli, nessun problema. Il problema, semmai, è quando una generazione sperimenta tassi didisoccupazione e di denatalità da record. Condizioni, queste, che oggi, in Italia, non possono essere definite nè episodiche, né incidentali. Difficilmente, per farla breve, torneremo a lavorare e figliare come negli anni del boom.
Perché, se stiamo parlando di un patto generazionale, la ridiscussione di quel patto deve riguardare solo alcune delle generazioni?
Ecco perché, da Dini alla Fornero, si è deciso di mettere in sicurezza le pensioni abbassando progressivamente i rendimenti di quelle future. Perché più passerà il tempo, più ci sarà gente in pensione e meno gente che lavora. Per far sì che il patto generazionale non si spezzi, in altre parole, c'è bisogno di stringere la cinghia. E chi andrà in pensione domani toccherà stringerla parecchio, lavorando fino a tarda età per un assegno ben più misero della sua retribuzione media.
Questa, piaccia o non piaccia, è la verità. E qui sta il punto: perché la cinghia devono stringerla soltanto i giovani di oggi e quelli di domani, e non chi ha avuto la fortuna di andare in pensione quando ancora quel patto non dava segni di cedimento, a condizioni, oggi e domani, irripetibili? Perché, se stiamo parlando di un patto generazionale, la ridiscussione di quel patto deve riguardare solo alcune delle generazioni?
Che gli attuali pensionati difendano con le unghie e con i denti l'intangibilità dei loro diritti è legittimo. Che i sindacati - che di fatto, oggi, rappresentano solo chi non lavora più, o quasi - diano loro manforte è naturale. Che la Consulta ragioni in punto di diritto - nella Costituzione più bella del mondo non c'è traccia di equità intergenerazionale, purtroppo - pure. Che Matteo Renzi, che pure ha a disposizione fior di consiglieri come Tommaso Nannicini e un presidente dell'Inps come Tito Boeri che all'equità generazionale, contro i "regali acquisiti", hanno dedicato pagine e pagine - anche su questo giornale - esponendosi più volte in prima persona, continui a ignorarli e a vivere alla giornata, con un orizzonte di futuro che si ferma alla prossima scadenza elettorale.
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Meno scusabile, piuttosto, è che i diretti interessati - tanto solerti a boicottare i test Invalsi, per dire - non invadano le piazze chiedendo sia tutelato anche il loro diritto ad avere una pensione che non sia da fame. A non veder caricato solo sulle loro spalle la terra per riempire il buco delle pensioni e quello del debito pubblico, che altre generazioni, in altri tempi, hanno contribuito a scavare. A non dover essere costretti - chi può - a vivere sulle spalle delle rendite dei genitori.
Chi sta in silenzio e subisce senza protestare ha sempre torto, purtroppo. Sarebbe il caso di ricordarsi almeno questa, di regola, anche se non sta scritta in nessuna Costituzione.
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