domenica 11 gennaio 2015

Riceviamo e pubblichiamo.

Magatti: «Seguire la strada del dialogo non è buonismo»

Secondo il sociologo, i fatti di Parigi impongono all'Europa la scelta di cosa diventare da grande
JEFF PACHOUD/AFP/Getty Images

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«È una fase storica epocale, quella che sta vivendo il mondo islamico ed è con questa prospettiva che va guardata. Capisco che è difficile, ma va fatto». Prova ad astrarsi dalla cronaca del massacro di Parigi, Mauro Magatti, sociologo ed economista dell’Università Cattolica di Milano. Ci prova, per provare a dargli un senso: «Finita l’epoca coloniale, i paesi con una popolazione di religione musulmana si sono trovati a dover gestire un legame nuovo con il mondo e con la contemporaneità. Gli eventi di questi giorni mostrano come la strada da percorrere sia ancora molto lunga».
Professor Magatti, in questi giorni diversi opinionisti hanno espresso perplessità sul fatto che tale legame possa essere effettivamente costruito. Cito un passaggio dell’editoriale di Piero Ostellino di sabato 10 gennaio: «Le nostre reciproche culture sono inconciliabili ed è persino ridicolo auspicare che ci si possa incontrare almeno a metà strada». Lei che ne pensa?
Penso che l'identità stia nella relazione. Il problema è che questa relazione produce scintille: ci sono componenti nel mondo islamico che credono che questo rapporto sia micidiale e che mini alle basi la loro fede. Parliamo di un mondo povero e arretrato culturalmente che si trova a doversi relazionare con un mondo ricco, moderno e che va verso la secolarizzazione. Un processo che, va ricordato, nasce e si sviluppa, non necessariamente in modo pacifico, dentro la cristianità. Nel mondo islamico, in tutte le sue molteplici ramificazioni, non c'è un percorso di questo tipo, né una premessa storica o teologica che lo sostiene. Nessuno, nel Corano, dice di dare a Cesare quel che è di Cesare, e a Dio quel che è di Dio.
In molti tra noi occidentali alberga una paura uguale e contraria: che la relazione con l’Islam ci cambi, che ci riporti indietro di secoli. Penso alla distopia raccontata dallo scrittore Michel Houllebecq nel suo ultimo libro intitolato “Sottomissione”, con una Francia governata dal partito dei Fratelli Musulmani in cui le donne smettono di lavorare senza che nessuno lo imponga loro…
L'Europa è anch’essa in una fase storica molto delicata. È nel mezzo di una crisi economica che ha aperto una fase storica completamente nuova. È al centro di flussi migratori che concorrono a cambiarne i connotati demografici e sociali. Nello stesso tempo, tuttavia, non ha ancora deciso cosa voglia essere nel mondo, cosa voglia dire, cosa voglia fare. La questione identitaria, in altre parole, è molto forte anche in Europa. E questo attentato – come del resto accade con tutti gli atti violenti - tende a tracciare una linea di demarcazione tra prima e dopo, tra amico e nemico. E a ricomporre, in modo sorprendente, i processi e le alleanze.
Secondo lei, come ha risposto sinora l’Europa alla sfida di Al Qaeda?                                                                                                                  
L’Europa colpita dal massacro di Parigi è un continente frustrato e affranto. A questo continente è stata posta una domanda latente e molto precisa: «Cosa siete, voi europei?». Gli europei si sono sentiti interpellati. La risposta è tutta da capire e da valutare.
Lei come risponderebbe?
Parlavamo di secolarizzazione europea, prima. Il filosofo francese Cornelius Castoriadis parlava di un “regime dell'equivalenza”, in cui il pluralismo e la secolarizzazione non sono altro che mutua e reciproca indifferenza. Al contrario, l’Europa dovrebbe proporre un modello di secolarizzazione che presupponga la libertà religiosa. E se c'è una proposta che l'Europa può fare anche all'Islam è di non aver paura della libertà religiosa. L'Europa può fare un passo in avanti rispetto a se stessa, accettando la sfida del pluralismo religioso e mostrando al mondo islamico che la secolarizzazione non è la distruzione della religione.
La Francia è il paese-simbolo della secolarizzazione e di un modello di società multiculturale, si dice. Questi attentati sono il fallimento di quel modello?
Faccio una premessa doverosa: qui ci sono atti gravi e responsabilità personali precise che vanno condannate in quanto tali. Tuttavia, se vogliamo fare passi in avanti e non fare i medesimi errori che sono stati commessi nel passato, dobbiamo porci qualche domanda. Una su tutte: noi stiamo davvero perseguendo una società democratica a misura dei nostri ideali? Pensiamo alla Francia: tanti bei discorsi sul rispetto e sull’integrazione, che in concreto diventano banlieue e segregazione. Posto che le banlieue non giustificano un atto vile in quanto tale, noi siamo comunque sollecitati a rilanciare criticamente verso noi stessi i nostri ideali. Solo così possiamo sollecitare l'Islam a compiere un percorso simile. 
La tendenza sembra essere quella opposta: scendere sul campo di gioco di chi ci ha sfidato, abbandonando pure le belle parole. Volete lo scontro di civiltà? Che scontro di civiltà sia…
Chi dice queste cose accetta la visione del mondo dei terroristi e depotenzia qualsiasi anticorpo all'interno dell'Islam, laddove invece andrebbero rafforzati. Non accettare una simile contrapposizione sarebbe un atto di intelligenza storica.
Qualcun altro, a questo punto, la taccerebbe di “buonismo”…
Lottare per la democrazia e per la libertà di culto n on vuol dire essere buonisti e arrendevoli. La situazione è complicata e oggi non siamo né tutti bravi, né tutti fratelli. Chi dice che i problemi non esistono dice il falso. Tuttavia, accettare la logica della contrapposizione sarebbe folle e peggiorerebbe la situazione…
Il problema è che in Francia la destra xenofoba e nazionalista di Marine Le Pen è in testa nei sondaggi e la sinistra è in piena crisi di identità. Chi può fare da contrappeso a questo veloce scivolamento a destra?
Con la crisi del 2008 si è aperta una fase storica completamente nuova. Come succede solitamente in questi casi, anche lo stesso asse destra-sinistra si sta ristrutturando. La nuova destra non è più neo-liberista, bensì identitaria, regressiva.
E la sinistra?
Cosa farà la sinistra è ancora tutto da capire.  la destra tende a radicalizzarsi sull'identità, o la sinistra è in grado di prendersi cura e consenso tra chi sta male, oppure il rischio è trovarsi nel giro di poco tempo una destra incazzata e reattiva che si prende tutti gli strati bassi della popolazione. Gli atti, perlomeno, vanno in questa direzione.
La sinistra sta le élite, la destra si prende il popolo: è questo l’andazzo?
È la realtà, e non da oggi. È dagli anni '70 - sia per il prevalere delle posizioni di matrice francese, sia per il fatto che ha cercato di correre dietro al neo-liberismo e all'individualismo – che la sinistra è slittata dalla socialdemocrazia a forme di individualismo libertario, che è più una forza che rappresenta ceti medi garantiti. Oggi servirebbe una sinistra in grado di farsi concretamente carico della ritessitura del legame sociale in forme innovative, valorizzando territori, beni comuni, corpi intermedi. Se la destra è attratta dalla radicalizzazione, per la sinistra si apre una spazio nuovo. 
Saranno nuovi movimenti come lo spagnolo come Podemos, a produrre questa evoluzione?
Sono fenomeni complessi pure per partiti come Podemos, questi. Il problema, ancora una volta, è cambiare approccio alla realtà: non solo all'economia, ma anche alla stessa democrazia. È del tutto evidente che c'è bisogno di una politica economica diversa. Una nuova crescita economica e occupazionale diventa ancora più necessaria, in questi momenti. Altrimenti finiamo per ripetere la storia degli anni '20. Grande disagio economico e sociale, un grande nemico esterno, una destra forte e reazionaria che sa parlare ai ceti popolari, una sinistra che non ha una visione del futuro. Ci vuole qualcuno o qualcosa che inverta la rotta. Altrimenti, l’estrema destra si prenderà tutto lo spazio possibile.

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