“Se avessimo presentato già oggi un disegno di legge delega sulla riforma della Pubblica amministrazione, ci avrebbero detto che lo facciamo per campagna elettorale…”. Dunque, Matteo Renzi è tranquillissimo ad annunciare che la riforma della Pa, annunciata per aprile, verrà varata dal consiglio dei ministri solo il 13 giugno. Cioè tra 40 giorni, che il governo vuole impiegare in un confronto con “tutti coloro che si sentono chiamati ad un’apertura sul mondo della pubblica amministrazione”, dice il premier al termine del consiglio dei ministri, in conferenza stampa con il ministro della Pubblica Amministrazione, Marianna Madia. “Confronto con tutti” vuol dire anche “referendum dei lavoratori”, sottolinea il premier. Non senza una certa soddisfazione per quello che è un altro colpo renziano alla concertazione con i sindacati tradizionali.
Ridendo, il presidente del Consiglio invita a inviare suggerimenti e proposte alla mail “rivoluzione@governo.it”. Ma comunque l’idea è quella di una consultazione online. Mentre ai dipendenti statali, il governo invierà una lettera per spiegare la riforma, in tre punti: “Capitale umano; tagli agli sprechi cioè il cosiddetto ‘sforbicia Italia’; ‘open data’ cioè trasparenza e digitalizzazione della Pa”. Dei contenuti della riforma non si sa molto di preciso, a parte le linee guida illustrate oggi che dicono di una volontà di “svecchiamento” della platea dei dipendenti pubblici. “E’ impensabile fare la digitalizzazione senza le nuove generazioni”, dice Madia. Ma non si conoscono i numeri del personale che verrà mandato in pre-pensionamento per essere sostituito con nuove leve (in passato il ministro ha parlato di tre assunzioni per ogni pre-pensionamento), né si conosce il rapporto tra la mobilità volontaria (“che oggi non funziona”, dice Madia) e una presunta mobilità non volontaria. Si sa però che il governo stabilirà un tetto di 240mila agli stipendi dei super-dirigenti pubblici, mentre non toccherà le fasce medio-basse.
Ma la nebbia che avvolge la riforma non è casuale. Perché si tratta di provvedimenti che potrebbero risultare scomodi in campagna elettorale, soprattutto per il Pd che negli statali ha ancora un grosso bacino di voti. In più, c’è la questione dei tagli alla sicurezza, che di certo chiama in causa il Viminale. Renzi parla di “centrale unica per gli acquisti delle forze di polizia” per coordinare la spesa e anche di “razionalizzazione delle funzioni e riorganizzazione complessiva” della macchina che muove le forze dell’ordine. “Non si tagliano gli stipendi”, assicura il premier, “anzi, se me lo chiede oggi, io dico che bisognerebbe assicurare più denari per chi sta sulla strada” a gestire l’ordine pubblico. Per il resto, continua, “se c’è sofferenza” delle forze dell’ordine colpite dai tagli del passato “discutiamo, ma non mettiamola insieme a un processo di revisione della spesa o a un atto di violenza inaudito che è costata la morte a un ragazzo cui si è aggiunta una provocazione ingiusta che arreca danno alle donne e agli uomini che fanno bene il proprio lavoro” nel comparto sicurezza. Il riferimento è alcaso Aldrovandi di cui tanto si discute per gli applausi tributati dal congresso sindacato di polizia Sap ai poliziotti condannati per l’omicidio di Federico a Ferrara nel 2005.
L’approccio della riforma, insiste Renzi, sta nel fatto che “l’organizzazione della pubblica amministrazione non nasce dalla spending review, non è un problema di soldi ma di efficienza del servizio”. E in questi termini sta anche il nuovo approccio del governo verso i sindacati Cgil, Cisl e Uil. Il premier li ha messi nel mirino fin dall’inizio, come ‘sacche di resistenza al cambiamento’ con la squalifica di non rappresentare le giovani generazioni, “gli infiniti bacini di precari della Pa”, che il ministro Madia indica come uno dei problemi da risolvere. Piuttosto che le infinite trattative con i sindacati, che Madia ha comunque incontrato per un "confronto non per un negoziato", l'esecutivo privilegia la via del "referendum dei lavoratori", chiamato così non a caso. E' infatti una formula che piace molto al segretario della Fiom Maurizio Landini, cui Renzi ha sempre cercato di strizzare un occhio.
La riforma “potremmo trasferirla domani in un disegno di legge delega o in un decreto già domani, a parte che i decreti stiamo cercando di limitarli – dice Renzi - Ma prima, ascoltiamo. Noi abbiamo le idee molto chiare ma se qualcuno le ha migliori, cambiamo. A patto che la discussione avvenga sui contenuti e non sui metodi: non ci dite che siamo arroganti”. Se ne parlerà dopo le europee, come per la riforma costituzionale. Anche quella – dice Renzi – è bloccata dai partiti avversari che accusano il premier di volerla usare per campagna elettorale.