Meglio un euro oggi che una lira insicura domani
L'attivo sull'export italiano a un decimo di quello tedesco. Come ai tempi della moneta unica ai minimi. Ecco perché i nostri guai non sono legati alla valuta europea.
BASSA MAREA
Chi non vuole più l'euro invoca, in Italia, il ritorno alla lira, vista come moneta competitiva, deprezzata, che strizza l'occhio all’export. Ma non basta dire «lira».
Lira come? Con una banda di oscillazione che ricrei, per la vecchia moneta sull’euro, un meccanismo tipo il vecchio Sme? Lira che oscilla liberamente contro tutti, ricreando i limiti di una volta sui flussi finanziari?
Il leader della Lega Nord Matteo Salvini chiama l’euro «moneta criminale» perché affama l’Italia. Il professor Alberto Bagnai, più articolato, dice che «l’euro è morto» e che Matteo Renzi non può salvarlo perché è «come fermare il vento con le mani».
Altri, Nouriel Roubini fra questi, lo davano morto già nel 2011. Non sempre gli economisti sono profeti.
L'EURO NON È IL PROBLEMA. Prima di sostenere che l'euro ha fatto esplodere l’export tedesco e penalizzato quello italiano sarebbe utile rivedere i dati sulla bilancia commerciale dei due Paesi quando l’euro non c’era, nel 1985 per esempio o nel 2001, all'epoca in cui la moneta unica era tutt’altro che forte.
Si tocca così con mano come i seri problemi italiani, sul fronte della produzione almeno, non sono figli dell’euro.
I DATI SONO POSITIVI. Oggi la Germania ha un attivo di circa 200 miliardi di euro su export di oltre 1.000 miliardi annui, mentre noi siamo tornati di recente a un saldo di circa 22 (dati da febbraio 2013 fino a febbraio 2014) su esportazioni per meno di 400 miliardi e un saldo con l’estero da metà anno in chiaro miglioramento. Dovuto però quest'ultimo in parte considerevole, va detto, al forte calo delle importazioni fino al novembre 2013, calo poi invertito.
L'export comunque da vari mesi ha ripreso a crescere, e con un euro fortissimo sui cambi.
ITALIA, DEFICIT NEGLI ANNI 80. Nei 12 mesi tra l’ottobre 1984 e l’ottobre 1985 la Germania ebbe un attivo di 24 miliardi di dollari di allora, l’Italia un deficit di 13.
La Germania era quella di Bonn, due terzi del Paese di oggi. C’era il marco e c’era la lira, con il meccanismo di cambio europeo adottato nel 1979 che limitava le oscillazioni a più o meno 6% per l’Italia e alcuni altri rispetto al riferimento, l’unità di conto europea.
IL NOSTRO ATTIVO INVARIATO. Nel 1999, primo anno dell’euro (le banconote sono arrivate nel 2002), Berlino aveva un attivo di circa 65 miliardi su esportazioni che erano in valore la metà di quelle attuali. Nel 2001, quando mediamente bastavano 90 cent americani per comperare un euro - la moneta unica cioè era ai minimi - l’export tedesco fu di 638 miliardi, l’attivo di quasi 100, mentre l’Italia ebbe export per 273 miliardi di euro e un attivo di 10.
Quindi l’attivo italiano era un decimo di quello tedesco 13 anni fa con l’euro ai minimi ed è stato un decimo di quello tedesco anche negli ultimi 12 mesi con l’euro ai massimi.
L’euro si rafforzava nettamente dopo i minimi del 2001 sul dollaro - era a 1,24 in media sia nel 2002 che nel 2003 - fino ad arrivare al cambio medio di 1,25 dollari nel 2006, a 1,37 nel 2007 e 1,47 nel 2008, quando il dollaro per la crisi di Wall Street sprofondò anche a 1,5990.
L'ANDAMENTO DELL'EXPORT. Ebbene l’export italiano, secondo elaborazioni del ministero dell'Economia su dati Istat, cresceva in valore sull’anno precedente del 7,3% nel 2004, del 5,5% nel 2005, del 10,7% nel 2006, del 9,9% nel 2007, dell’1,2% nel 2008 (già anno di crisi finanziaria) e crollava del 20,9% con la gelata del commercio internazionale nel 2009, conseguenza della crisi finanziaria.
Quell’anno, il valore dell’export tedesco scendeva da 984 a 803 miliardi per risalire a 951 nel 2010. Perdeva cioè il 18,4%. Anche l’Italia ha recuperato su quei minimi, ma meno, in proporzione, della Germania.
Lira come? Con una banda di oscillazione che ricrei, per la vecchia moneta sull’euro, un meccanismo tipo il vecchio Sme? Lira che oscilla liberamente contro tutti, ricreando i limiti di una volta sui flussi finanziari?
Il leader della Lega Nord Matteo Salvini chiama l’euro «moneta criminale» perché affama l’Italia. Il professor Alberto Bagnai, più articolato, dice che «l’euro è morto» e che Matteo Renzi non può salvarlo perché è «come fermare il vento con le mani».
Altri, Nouriel Roubini fra questi, lo davano morto già nel 2011. Non sempre gli economisti sono profeti.
L'EURO NON È IL PROBLEMA. Prima di sostenere che l'euro ha fatto esplodere l’export tedesco e penalizzato quello italiano sarebbe utile rivedere i dati sulla bilancia commerciale dei due Paesi quando l’euro non c’era, nel 1985 per esempio o nel 2001, all'epoca in cui la moneta unica era tutt’altro che forte.
Si tocca così con mano come i seri problemi italiani, sul fronte della produzione almeno, non sono figli dell’euro.
I DATI SONO POSITIVI. Oggi la Germania ha un attivo di circa 200 miliardi di euro su export di oltre 1.000 miliardi annui, mentre noi siamo tornati di recente a un saldo di circa 22 (dati da febbraio 2013 fino a febbraio 2014) su esportazioni per meno di 400 miliardi e un saldo con l’estero da metà anno in chiaro miglioramento. Dovuto però quest'ultimo in parte considerevole, va detto, al forte calo delle importazioni fino al novembre 2013, calo poi invertito.
L'export comunque da vari mesi ha ripreso a crescere, e con un euro fortissimo sui cambi.
ITALIA, DEFICIT NEGLI ANNI 80. Nei 12 mesi tra l’ottobre 1984 e l’ottobre 1985 la Germania ebbe un attivo di 24 miliardi di dollari di allora, l’Italia un deficit di 13.
La Germania era quella di Bonn, due terzi del Paese di oggi. C’era il marco e c’era la lira, con il meccanismo di cambio europeo adottato nel 1979 che limitava le oscillazioni a più o meno 6% per l’Italia e alcuni altri rispetto al riferimento, l’unità di conto europea.
IL NOSTRO ATTIVO INVARIATO. Nel 1999, primo anno dell’euro (le banconote sono arrivate nel 2002), Berlino aveva un attivo di circa 65 miliardi su esportazioni che erano in valore la metà di quelle attuali. Nel 2001, quando mediamente bastavano 90 cent americani per comperare un euro - la moneta unica cioè era ai minimi - l’export tedesco fu di 638 miliardi, l’attivo di quasi 100, mentre l’Italia ebbe export per 273 miliardi di euro e un attivo di 10.
Quindi l’attivo italiano era un decimo di quello tedesco 13 anni fa con l’euro ai minimi ed è stato un decimo di quello tedesco anche negli ultimi 12 mesi con l’euro ai massimi.
L’euro si rafforzava nettamente dopo i minimi del 2001 sul dollaro - era a 1,24 in media sia nel 2002 che nel 2003 - fino ad arrivare al cambio medio di 1,25 dollari nel 2006, a 1,37 nel 2007 e 1,47 nel 2008, quando il dollaro per la crisi di Wall Street sprofondò anche a 1,5990.
L'ANDAMENTO DELL'EXPORT. Ebbene l’export italiano, secondo elaborazioni del ministero dell'Economia su dati Istat, cresceva in valore sull’anno precedente del 7,3% nel 2004, del 5,5% nel 2005, del 10,7% nel 2006, del 9,9% nel 2007, dell’1,2% nel 2008 (già anno di crisi finanziaria) e crollava del 20,9% con la gelata del commercio internazionale nel 2009, conseguenza della crisi finanziaria.
Quell’anno, il valore dell’export tedesco scendeva da 984 a 803 miliardi per risalire a 951 nel 2010. Perdeva cioè il 18,4%. Anche l’Italia ha recuperato su quei minimi, ma meno, in proporzione, della Germania.
La moneta unica rischia di trasformarsi in capro espiatorio
Questo per i numeri, che non convincono certo gli anti-euro come Salvini.
Speriamo non finisca come in quella storiella ricordata recentemente, parlando di euro, da Luigi Zingales e attribuita nell’epoca zarista agli abitanti di sperduti villaggi russi che non avevano il medico, il quale che veniva mandato solo quando c’erano epidemie di vaiolo. E collegando il medico al vaiolo, uccidevano il medico.
Dare all’euro la colpa-base dei numerosi e seri guai economici italiani, dovuti assai più a problemi economici, produttivi, amministrativi e politici tutti autoctoni, conclude Zingales, vuol dire comportarsi come quei mugik.
LA POLITICA NE APPROFITTA. Nessuno poi va oltre i numeri, e fra gli anti-euro non si fa il minimo riferimento alla scelta politica che fu fatta 20 e più anni fa decidendo la moneta unica.
Uscendo dall’euro, invece di lavorare per completarne la struttura, si sconfessa non solo una moneta che forse ci danneggia e magari ci avvantaggia, ma si abbatte anche quel progetto politico.
Si è capito che cosa vorrebbe dire? O vogliamo soluzioni nazionali in un’Europa piccola, affollata, dove le soluzioni nazionali hanno clamorosamente e sanguinosamente fallito? Prendiamo i Le Pen a nostra ispirazione?
Non sono leader che costruiscono, se non la propria carriera sulle ansie dell’elettore.
SERVE UNA SERIA ANALISI. Certo, se economicamente l’euro non regge, se distrugge noi e ipertrofizza la Germania (e altri Paesi del Nord), non c’è per l'Italia discorso politico che regga.
Ma è così? C’è una seria analisi dietro certe proposte anti-euro? O non stiamo assistendo forse a un dibattito debole che propone a fronte di una situazione molto difficile per l’occupazione molte imprese e molte famiglie, fughe in avanti e soluzioni semplici, di tipo argentino, nella speranza che facciano breccia e portino voti?
NON FINIRE COME L'ARGENTINA. Con scelte demagogiche e semplicistiche e la falsa promessa di risultati rapidi, l’Argentina - Paese in potenza ricchissimo - nell’ultimo mezzo secolo (ha incominciato un po’ prima in realtà) si è ripetutamente rovinata e lo sta facendo adesso per la terza volta.
Là il mito è stato la distribuzione al popolo dei frutti di una ricchezza (carne e cereali, essenzialmente) che non andava solo esportata 'impunemente' e quindi tasse sull’export, assistenzialismo senza creazione di risorse per pagarlo, con iperinflazione e svilimento della moneta.
Da noi, oggi, il semplicismo si chiama «morte all’euro». E poi? Qualcuno, parlando seriamente e non raccontando favole, ha il coraggio di dire che cosa succede dopo?
Speriamo non finisca come in quella storiella ricordata recentemente, parlando di euro, da Luigi Zingales e attribuita nell’epoca zarista agli abitanti di sperduti villaggi russi che non avevano il medico, il quale che veniva mandato solo quando c’erano epidemie di vaiolo. E collegando il medico al vaiolo, uccidevano il medico.
Dare all’euro la colpa-base dei numerosi e seri guai economici italiani, dovuti assai più a problemi economici, produttivi, amministrativi e politici tutti autoctoni, conclude Zingales, vuol dire comportarsi come quei mugik.
LA POLITICA NE APPROFITTA. Nessuno poi va oltre i numeri, e fra gli anti-euro non si fa il minimo riferimento alla scelta politica che fu fatta 20 e più anni fa decidendo la moneta unica.
Uscendo dall’euro, invece di lavorare per completarne la struttura, si sconfessa non solo una moneta che forse ci danneggia e magari ci avvantaggia, ma si abbatte anche quel progetto politico.
Si è capito che cosa vorrebbe dire? O vogliamo soluzioni nazionali in un’Europa piccola, affollata, dove le soluzioni nazionali hanno clamorosamente e sanguinosamente fallito? Prendiamo i Le Pen a nostra ispirazione?
Non sono leader che costruiscono, se non la propria carriera sulle ansie dell’elettore.
SERVE UNA SERIA ANALISI. Certo, se economicamente l’euro non regge, se distrugge noi e ipertrofizza la Germania (e altri Paesi del Nord), non c’è per l'Italia discorso politico che regga.
Ma è così? C’è una seria analisi dietro certe proposte anti-euro? O non stiamo assistendo forse a un dibattito debole che propone a fronte di una situazione molto difficile per l’occupazione molte imprese e molte famiglie, fughe in avanti e soluzioni semplici, di tipo argentino, nella speranza che facciano breccia e portino voti?
NON FINIRE COME L'ARGENTINA. Con scelte demagogiche e semplicistiche e la falsa promessa di risultati rapidi, l’Argentina - Paese in potenza ricchissimo - nell’ultimo mezzo secolo (ha incominciato un po’ prima in realtà) si è ripetutamente rovinata e lo sta facendo adesso per la terza volta.
Là il mito è stato la distribuzione al popolo dei frutti di una ricchezza (carne e cereali, essenzialmente) che non andava solo esportata 'impunemente' e quindi tasse sull’export, assistenzialismo senza creazione di risorse per pagarlo, con iperinflazione e svilimento della moneta.
Da noi, oggi, il semplicismo si chiama «morte all’euro». E poi? Qualcuno, parlando seriamente e non raccontando favole, ha il coraggio di dire che cosa succede dopo?
Martedì, 29 Aprile 2014
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