Stefania Giannini: il ministro dell’Istruzione e i soldi alle scuole private
di Maria Teresa Mura - 02/03/2014 - L'articolo di Nadia Urbinati su Repubblica
Su Repubblica di oggi Nadia Urbinati se la prende con Stefania Giannini, neoministro dell’istruzione del governo Renzi, per le sue dichiarazioni di apertura sulle scuole private e sugli emolumenti che lo Stato destinerà alla cosiddetta “libertà di educazione”:
Tenerle in vita, si sostiene, perché sono il luogo dove si concretizza la «libertà educativa dei genitori». Ma perché i genitori scelgono di iscrivere i figli alla scuola pubblica? Presumibilmente questa loro scelta libera è dettata da ragioni di merito: la scuola pubblica è, nonostante tutto, migliore e vince sul mercato della libertà educativa. Ma a seguire le parole del ministro sembra di capire che lo Stato interverrebbe quando la scelta è già stata fatta, ovvero per finanziarne il residuo (cioè il risultato di quella scelta) non per garantirla.
Stefania Giannini: il ministro dell’Istruzione del governo Renzi (fotogallery)
Quindi, dov’è il cosiddetto merito?
Qui vediamo in azione l’opposto del criterio del merito e del bisogno legato al merito, e inoltre una stridente contraddizione con il principio della libera scelta. Un argomento insidioso per giustificare il tampone di emorragia con i soldi pubblici è che un alunno delle scuole private costa meno di un alunno delle scuole pubbliche. Nel contesto di razionalizzazione mercatista della spesa pubblica nella quale ci troviamo, non si fatica a intuire quale sarà il passo successivo: meglio finanziare le scuole private che quelle pubbliche perché costano meno all’erario. Questo sarebbe un epilogo fatale per la scuola pubblica.
Infine, l’affondo:
A giudicare da queste prime dichiarazioni della ministra Giannini, nel settore dell’istruzione il governo promette di essere un governo della restaurazione, ovvero di voler chiudere la disputa tenuta aperta dalla nostra Costituzione, decretando che tutte le scuole sono pubbliche, quelle dello Stato e quelle private parificate, che tutte devono essere “eguali”. La maggioranza parlamentare ha il potere di farlo. Ma l’opinione pubblica e politica ha il dovere di criticare questa scelta e di operare per fermarla o cambiarla.
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