sabato 8 marzo 2014

Che 8 marzo dobbiamo festeggiare se la metà del cielo non ha la metà della politica, della società, dell'economia, del potere vero. Applichiamo la legge 120 presto e con forza.


Quote di genere in politica e nelle imprese, conciliazione lavoro-famiglia, pari opportunità e molti altri temi che riguardano la questione femminile in questo articolo e nel Dossier a seguire che raccoglie i contributi pubblicati sull’argomento.
Nonostante i crescenti investimento in istruzione e la crescente disponibilità di partecipare al mercato del lavoro,  le donne italiane sono ancora penalizzate da salari inferiori, più precarietà, meno attaccamento al mercato del lavoro, più responsabilità di lavoro in famiglia (circa un ora al giorno in più).
La fotografia che ci offre la ricerca Istat sul capitale umano come “capacità di generare reddito” riporta per le donne un valore di circa la metà di quella maschile.
In Italia si spreca sistematicamente una grossa fetta del capitale umano disponibile quello delle donne. Mentre si denuncia il “brain drain”dei giovani che vanno all’estero, non ci si preoccupa della grossa perdita di  talenti femminili che si spariscono dal mercato del lavoro  dopo il  matrimonio, o dopo la nascita del primo o secondo figlio o più tardi di fronte ai bisogni di cura dei genitori anziani.
La recente (e piccola) crescita di occupazione femminile dal 2011 in poi è solo e soprattutto una stata “compensazione” alla perdita di guadagno e lavoro dei partners e delle peggiorate condizioni economiche della famiglia che, con il progredire della crisi hanno visto ulteriormente ridursi i risparmi familiari e ha riguardato solo lavori precari e a bassa qualifica.
Il dossier 8 marzo che proponiamo ripercorre la “storia” recente della situazione delle donne in Italia.  L’unico cambiamento importante e significativo degli ultimi anni è da riconoscersi alla legge 120/2011 (Mosca Golfo) che ha introdotto in Italia l’obbligo temporaneo di rispettare un’equa rappresentanza di genere nei consigli di amministrazione e collegi sindacali delle società quotate e partecipate pubbliche. Oggi il 17 per cento dei posti di consigliere è ricoperto da donne (a fine 2011 erano solo  il 7,4 per cento). Non sappiamo come che impatto avrà sull’economia e sulla donne in particolare.  Auspichiamo che gli effetti possano essere simili a quelli riscontrati dalle ricerche sull’ esperienza della  Norvegia (pioniere nell’introduzione delle quote ) da cui si rileva  come i  boards influenzati dalle quote di genere  abbiano portato a un andamento migliore delle società, minor licenziamenti e un miglioramento dell’occupazione femminile.
Altri interventi sono possibili per esempio sui congedi parentali, sui servizi nonché su incentivi alle giovani donne a intraprendere corsi di studi più remunerati (ingegnere, scienze, economia, etc.).  Solo un mese fa, il viceministro Cecilia Guerra del governo Letta aveva coordinato una commissione ad hoc per mettere in atto nuove norme in tempi brevissimi nuove misure di conciliazione che avrebbe portato tra l’altro a proposte di revisione della 53/2000 per favorire i congedi di paternità. La commissione purtroppo ma non è stata riconfermata dall’ attuale governo.
Infine in questi giorni nel dibattito per l’approvazione della nuova riforma elettorale dietro la richiesta  di garanzia del 50per cento di donne elette,  si sta creando un fronte trasversaleanalogo a quello che ha permesso l’approvazione della legge delle quote di genere. L’esito di questo potrebbe avere un impatto importante ed essere il secondo risultato di accordi che vedono la parità di genere come obiettivo che riguarda tutte le donne (e gli uomini) al di là dell’appartenenza politica.

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