L'INTERVISTA
Grillo e l'opportunismo della Rete
Per il semiologo Jost l'uso del web è un'illusione democratica. Comoda al populismo. Perché rifiutando i media, che lo inseguono comunque, il M5s ottiene il suo scopo: visibilità. Senza l'ansia del confronto.
di Gea Scancarello
All’America piace, la Germania lo detesta. Jp Morgan lo studia, la Bce lo teme. Chi può lo intervista, gli altri ne scrivono. Di solito, molto bene o molto male: Beppe Grillo non consente mezze misure.
Il successo del Movimento 5 stelle ha spiazzato l’Italia, che attende l’esercito dei grillini alla prova del parlamento. Ma ha anche scatenato l’orda dei commentatori internazionali, che all’ex comico diventato capopopolo hanno dedicato paginate di analisi ed editoriali. Stregati dalle piazze piene e dai talk show disertati: questa sì una rivoluzione dopo decenni di teleapparizioni di Silvio Berlusconi, identificato in mezzo mondo - nella migliore delle ipotesi - come il tycoon dei media.
I SEMIOLOGI CONTRO. Il passaggio dalla tivù a Twitter, però, non convince tutti. Anche fuori dall’Italia.
François Jost, semiologo, collega di Umberto Eco, docente alla Sorbona di Parigi e direttore del Laboratoire communication information médias (Laboratorio di comunicazione, informazione e media) della più celebre università francese, sulla democrazia informatica storce il naso. Perché, spiega a Lettera43.it, «riproduce dinamiche di potere, e alimenta la differenza tra chi sta in alto e chi sta in basso». Facendo credere però che le cose funzioni alll'esatto contrario.
«Per questo Grillo non mi convince affatto. Mi spaventa anzi. Perché ravviso in lui tutte le caratteristiche più pericolose del populismo».
Il successo del Movimento 5 stelle ha spiazzato l’Italia, che attende l’esercito dei grillini alla prova del parlamento. Ma ha anche scatenato l’orda dei commentatori internazionali, che all’ex comico diventato capopopolo hanno dedicato paginate di analisi ed editoriali. Stregati dalle piazze piene e dai talk show disertati: questa sì una rivoluzione dopo decenni di teleapparizioni di Silvio Berlusconi, identificato in mezzo mondo - nella migliore delle ipotesi - come il tycoon dei media.
I SEMIOLOGI CONTRO. Il passaggio dalla tivù a Twitter, però, non convince tutti. Anche fuori dall’Italia.
François Jost, semiologo, collega di Umberto Eco, docente alla Sorbona di Parigi e direttore del Laboratoire communication information médias (Laboratorio di comunicazione, informazione e media) della più celebre università francese, sulla democrazia informatica storce il naso. Perché, spiega a Lettera43.it, «riproduce dinamiche di potere, e alimenta la differenza tra chi sta in alto e chi sta in basso». Facendo credere però che le cose funzioni alll'esatto contrario.
«Per questo Grillo non mi convince affatto. Mi spaventa anzi. Perché ravviso in lui tutte le caratteristiche più pericolose del populismo».
DOMANDA. Quali?
Risposta. In primo luogo la pretesa di potere essere in contatto con le persone in modo diretto, senza alcuna mediazione.
D. Non è così che funziona Internet?
R. In realtà quella dell’immediatezza è un’illusione che si vende alla gente. Si sposta in modo intelligente il focus della comunicazione politica: non è una prerogativa solo di Beppe Grillo, in Francia lo aveva fatto già Jean Luc Melénchon, che pure è un uomo di sinistra.
D. Qual è la strategia?
R. L’idea è semplice: si rifiuta la mediazione nel dialogo con il pubblico e si respingono i media. Ma è una finzione: perché in realtà si forniscono loro immagini che saranno riprese ed enfatizzate da stampa e tivù.
D. Per esempio quali?
R. Uno dei tratti del populismo è la ricerca della piazza, il contatto con la folla negli spazi aperti. Ogni volta che Grillo organizza un meeting in mezzo alla gente, sa benissimo che le televisioni accorreranno a filmarlo e a raccontarlo.
D. I giornalisti informano.
R. Certo. Ma il bombardamento delle immagini sancisce la dittatura del visibile.
D. Ovvero?
R. Quello che importa è ciò che si vede: il bagno di folla, la piazza piena, la vicinanza al capo. Le parole non contano più. In questo senso, Grillo ha dimostrato di avere veramente capito il funzionamento della televisione.
D. Lo ha detto anche Umberto Eco.
R. Eco ha ragione. La regola fondamentale della televisione odierna è che non conta spiegare, bensì apparire. E Grillo è un maestro nel farlo, pilotando il modo in cui sceglie di apparire. In questo senso, quindi, è falso che la tivù non serva al politico. Piuttosto, il segreto del politico è fare finta che non serva.
D. Per sembrare diverso?
R. Perché ci sono due cose che la gente non manda giù: i giornalisti e la politica.
D. In Italia vanno a braccetto sotto la definizione di Casta.
R. I cittadini si pensano malamente rappresentati e si sentono lontani da entrambi. Dunque chi, come Beppe Grillo, si dichiara un non politico, finge di ignorare i media e afferma di parlare direttamente alla gente ottiene il miglior risultato possibile.
D. Intanto non risponde alle domande dei giornalisti.
R. Esatto: non spiega. Ma gode del moltiplicarsi dell’immagine. Se i media si rifiutassero di dargli visibilità, il suo giochetto non funzionerebbe: sparirebbe o dovrebbe accettare la tivù.
D. Non si possono incolpare i media: Grillo oggi fa audience.
R. Vero. Infatti il punto non sono gli altri, ma lui: è Grillo che sulla televisione fa un discorso politicamente ipocrita.
D. Il Movimento 5Stelle, però, si muove su Internet: lì è nato e lì si alimenta.
R. Pensare che tutto quello che si nasce su Internet sia democratico è un errore. Twitter, per esempio, non è affatto uno strumento democratico.
D. Come no?
R. Twitter riproduce e aumenta le differenze tra l’alto e il basso della società, tra chi produce e chi fruisce, tra il capo e il sottoposto.
D. In che modo?
R. È una questione di status. Twitter si basa sulla riconoscibilità: ha molti follower colui che già ha una reputazione. E la reputazione, in moltissimi casi, si crea su altri media che non sono Twitter. A partire dalla televisione.
D. L’illusione democratica in realtà è un circolo vizioso?
R. Credo che il successo di massa di Twitter in questo momento sia legato alla televisione e ai giornali: se gli altri media non parlassero dei social network, questi sarebbero meno importanti. Il che mi fa dubitare che un politico possa muoversi solo usando Internet…
D. Eppure esistono grosse comunità nate e cresciute unicamente sulla rete. Il movimento di Beppe Grillo è uno di questi.
R. Al momento, la televisione è ancora uno strumento molto più legittimante di Twitter.
D. In che senso legittimante?
R. Non tutti i cittadini hanno Internet o usano i social network: pensare di usare solo il web implica tagliare fuori parte della popolazione. Magari appellandosi allo stereotipo della gente vera.
D. Cioè?
R. Altro fenomeno tipico del populismo. Si preferisce Internet o la piazza perché si dice che lì ci sono le persone reali, quelle vere, simili a te, mentre la televisione è artefatta.
D. Però è vero.
R. No. Anche i reality televisivi sono pieni di gente vera, per usare l’espressione populista entrata nel linguaggio politico. Ma è davvero un concetto di cui diffidare, perché è un modo di escludere parte della società a beneficio di un’altra parte: quella presentata come vera.
D. Insomma, si spacca il popolo in due?
R. Da Platone in poi, la pretesa di avere la verità e di essere i soli a detenerla, conduce ai regimi totalitari.
Risposta. In primo luogo la pretesa di potere essere in contatto con le persone in modo diretto, senza alcuna mediazione.
D. Non è così che funziona Internet?
R. In realtà quella dell’immediatezza è un’illusione che si vende alla gente. Si sposta in modo intelligente il focus della comunicazione politica: non è una prerogativa solo di Beppe Grillo, in Francia lo aveva fatto già Jean Luc Melénchon, che pure è un uomo di sinistra.
D. Qual è la strategia?
R. L’idea è semplice: si rifiuta la mediazione nel dialogo con il pubblico e si respingono i media. Ma è una finzione: perché in realtà si forniscono loro immagini che saranno riprese ed enfatizzate da stampa e tivù.
D. Per esempio quali?
R. Uno dei tratti del populismo è la ricerca della piazza, il contatto con la folla negli spazi aperti. Ogni volta che Grillo organizza un meeting in mezzo alla gente, sa benissimo che le televisioni accorreranno a filmarlo e a raccontarlo.
D. I giornalisti informano.
R. Certo. Ma il bombardamento delle immagini sancisce la dittatura del visibile.
D. Ovvero?
R. Quello che importa è ciò che si vede: il bagno di folla, la piazza piena, la vicinanza al capo. Le parole non contano più. In questo senso, Grillo ha dimostrato di avere veramente capito il funzionamento della televisione.
D. Lo ha detto anche Umberto Eco.
R. Eco ha ragione. La regola fondamentale della televisione odierna è che non conta spiegare, bensì apparire. E Grillo è un maestro nel farlo, pilotando il modo in cui sceglie di apparire. In questo senso, quindi, è falso che la tivù non serva al politico. Piuttosto, il segreto del politico è fare finta che non serva.
D. Per sembrare diverso?
R. Perché ci sono due cose che la gente non manda giù: i giornalisti e la politica.
D. In Italia vanno a braccetto sotto la definizione di Casta.
R. I cittadini si pensano malamente rappresentati e si sentono lontani da entrambi. Dunque chi, come Beppe Grillo, si dichiara un non politico, finge di ignorare i media e afferma di parlare direttamente alla gente ottiene il miglior risultato possibile.
D. Intanto non risponde alle domande dei giornalisti.
R. Esatto: non spiega. Ma gode del moltiplicarsi dell’immagine. Se i media si rifiutassero di dargli visibilità, il suo giochetto non funzionerebbe: sparirebbe o dovrebbe accettare la tivù.
D. Non si possono incolpare i media: Grillo oggi fa audience.
R. Vero. Infatti il punto non sono gli altri, ma lui: è Grillo che sulla televisione fa un discorso politicamente ipocrita.
D. Il Movimento 5Stelle, però, si muove su Internet: lì è nato e lì si alimenta.
R. Pensare che tutto quello che si nasce su Internet sia democratico è un errore. Twitter, per esempio, non è affatto uno strumento democratico.
D. Come no?
R. Twitter riproduce e aumenta le differenze tra l’alto e il basso della società, tra chi produce e chi fruisce, tra il capo e il sottoposto.
D. In che modo?
R. È una questione di status. Twitter si basa sulla riconoscibilità: ha molti follower colui che già ha una reputazione. E la reputazione, in moltissimi casi, si crea su altri media che non sono Twitter. A partire dalla televisione.
D. L’illusione democratica in realtà è un circolo vizioso?
R. Credo che il successo di massa di Twitter in questo momento sia legato alla televisione e ai giornali: se gli altri media non parlassero dei social network, questi sarebbero meno importanti. Il che mi fa dubitare che un politico possa muoversi solo usando Internet…
D. Eppure esistono grosse comunità nate e cresciute unicamente sulla rete. Il movimento di Beppe Grillo è uno di questi.
R. Al momento, la televisione è ancora uno strumento molto più legittimante di Twitter.
D. In che senso legittimante?
R. Non tutti i cittadini hanno Internet o usano i social network: pensare di usare solo il web implica tagliare fuori parte della popolazione. Magari appellandosi allo stereotipo della gente vera.
D. Cioè?
R. Altro fenomeno tipico del populismo. Si preferisce Internet o la piazza perché si dice che lì ci sono le persone reali, quelle vere, simili a te, mentre la televisione è artefatta.
D. Però è vero.
R. No. Anche i reality televisivi sono pieni di gente vera, per usare l’espressione populista entrata nel linguaggio politico. Ma è davvero un concetto di cui diffidare, perché è un modo di escludere parte della società a beneficio di un’altra parte: quella presentata come vera.
D. Insomma, si spacca il popolo in due?
R. Da Platone in poi, la pretesa di avere la verità e di essere i soli a detenerla, conduce ai regimi totalitari.
Domenica, 17 Marzo 2013
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