sabato 23 marzo 2013

Vediamo se ci sono sorprese. Si vede che qualche servo vuole smettere di servire due clown.


Sale il malumore fra i 5 Stelle
In venti per la trattativa col Pd

Il capogruppo del M5S al Senato Vito Crimi (a destra nella foto con il compagno di partito Lorenzo Battista) ieri
è tornato a scusarsi per aver offeso il Presidente della Repubblica: «Mi sono vergognato di aver detto che l’abbiamo tenuto sveglio»

Un senatore siciliano si sfoga:
“Il giorno della fiducia non escluderei sorprese”
ANDREA MALAGUTI
ROMA
«Perché Grillo ci tratta così?». Fronda a Cinque Stelle. Il giorno dopo, venerdì, mentre Roberta Lombardi partecipa alla seduta dei capogruppo negli uffici della presidenza della Camera, i cittadini-parlamentari rimasti a Roma attraversano il Transatlantico con gli occhi bassi. Nervosi. Irritati. E questa volta non dai media, ma dal loro leader, Giuseppe Piero Grillo. E anche dal loro portavoce al Senato, quel Vito Crimi che dopo l’incontro al Colle col Presidente Napolitano aveva commentato con incomprensibile spocchia: «l’abbiamo tenuto sveglio». Frase buttata lì come si fa al bar dandosi di gomito. E poi ritirata con tante scuse. «Parole di cui io mi sono vergognato», racconta in un capannello un parlamentare eletto nel Lazio. «Ma chi pensiamo di essere?». Ha gli occhi lucidi. È come se, guardandosi attorno, vedesse un altro momento, da un’altra parte. Non il suo. «Stiamo prendendo una brutta piega», borbotta. Raccoglie solidarietà immediata. È l’ala trattativista del Movimento - minoritaria ma non irrilevante - quella che era riuscita a far votare la disponibilità a discutere col Pd la suddivisione delle cariche istituzionali. Quella che ora vorrebbe ragionare sulla possibilità di un accordo governativo. «Un esecutivo Pd-M5S sarebbe perfetto. Almeno nella mia testa. Il Presidente ha ragione, il malessere sociale è troppo largo per essere ignorato». Eresia. Che comincia a prendere piede. Alimentata da un’immagine diventata ossessione.  

È quella di Grillo che lascia il Quirinale e sale in macchina sgommando lontano. Insopportabile. Perché scappando in mezzo al traffico di Roma, e infrangendo metà delle regole del codice stradale, la Guida del MoVimento ha segnato plasticamente non tanto la distanza incolmabile dai media, quanto quella - per lui molto più fastidiosamente radicale - da una larga parte dei suoi cittadini-parlamentari. «Né una parola né un saluto. Non ci ha incontrato, non si è confrontato. È assurdo», sbotta un senatore a Palazzo Madama. Finge di affrontare le cose con solidità, ma è evidente che dentro di lui un mondo è sparito. «Noi stiamo qui a lavorare. Lui arriva, impone la sua linea e sparisce. Evidentemente ci considera dei numeri. Magari è Casaleggio che gliel’ha fatto credere. Ma io non voglio ritrovarmi tra vent’anni a pensare che abbiamo buttato alle ortiche un’occasione storica per rendere l’Italia un posto migliore». Il mostro a due teste. Grillo-Casaleggio in cima alla montagna incantata, gli altri a valle a portare l’acqua divisi in tre sottogruppi. I talebani, gli spaventati, i trattativisti. Si risana una frattura così? 

È passata una settimana dall’insediamento del Parlamento. Il MoVimento sembrava un esercito con una sola voce: «Siamo un gruppo compatto, meraviglioso». Era questo il ritornello. Sono cose che si dicono quando si è all’inizio. Poi si scopre di avere un passato, qualche risentimento, e all’improvviso - da un istante all’altro - niente è più come prima. È un processo rapido. Accelerato dalle pagelle affibbiate una sera sì una sera no dal papa ligure sul suo blog. «Molti non parlano per paura. Ma il giorno della fiducia non escluderei sorprese. Avete letto quello che dice Crocetta? Beh, ha ragione», insiste un senatore siciliano. Crocetta, allora. Il governatore dell’Isola, che a proposito di un sostegno Cinque Stelle a Bersani commenta: «Se Bersani presenta un programma di grande rinnovamento e ci sono punti condivisi, non capisco perché i grillini pretestuosamente debbano dire di no. Conosco molti deputati e senatori M5S che non condividono la scelta dell’Aventino». Il modello Sicilia. Il suo.  

Alle otto di sera il vicepresidente della Camera, Di Maio, lascia Montecitorio visibilmente stanco. «Bersani premier? Di sicuro non avrà il nostro appoggio». Stessa linea della Lombardi. «Se Bersani chiede un incontro gli diciamo no in diretta streaming». I talebani non cambiano idea. Ma oggi l’equilibrio del gruppo non è quello che si dice un portento. Sono una ventina i cittadini-parlamentari non più in grado di capire come si potrà affrontare la prossima battaglia emotiva senza prendere le distanze dalla stella polare genovese. «Perché Grillo ci tratta così?». 

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