Maroni si arrocca, la Lega ripone le ramazze in cantina
Bocciata la mozione di sfiducia dopo il terremoto Mantovani. La Lega che doveva fare pulizia è rimasta prigioniera degli scandali e dei furbetti
“Faremo pulizia”. Così tuonava tre anni fa Roberto Maroni, allora neo segretario della Lega Nord, dopo gli scandali che colpirono in contemporanea il Carroccio, decapitando la dinastia Bossi e il suo cerchio magico, e la Regione Lombardia, portando al collasso della giunta Formigoni. I barbari sognanti di Bobo e di un giovane Matteo Salvini si lanciarono in una campagna forsennata contro il malaffare dei Belsito e delle Rosi Mauro. Tirarono fuori le leggendarie ramazze, simbolo del ritorno alle origini di una Lega dura e pura che non scende a patti con i furbetti.
Un’immagine che si rivelò un’ottima trovata pubblicitaria, ma che cominciò fin da subito a fare a pugni con i fatti. Maroni diventa presidente della Regione Lombardia, lasciando il campo, in Lega, all’astro nascente Salvini, già conosciuto per le sue continue apparizioni televisive ai limiti dello stalking. Il neo presidente, uno dei principali artefici dell’implosione della giunta Formigoni, impone subito unacommissione d’inchiesta per fare chiarezza sulle ruberie degli anni del Celeste e di Cielle. Commissione che però non porta ad alcun risultato, come dimostra il fatto che tutti i direttori generali delle Asl giudicati inadeguati sono ancora al loro posto.
Arrivano, poi, in rapida successione altri inchieste, altre ombre: l’indagine sull’ex direttore generale di Infrastrutture Lombarde Antonio Rognoni, quella sui vertici di Ferrovie Nord, la “cupola degli appalti” del marzo 2014 e l’indagine sullo stesso Maroni in ambito Expo per cui finirà a processo l’1 dicembre.
La goccia che avrebbe dovuto far traboccare il vaso della decenza e imporre delle riflessioni in Lega arriva il 13 ottobre scorso: il vicepresidente della Regione Lombardia ed ex assessore alla Sanità, il ras forzista dell’Altomilanese Mario Mantovani, viene arrestato (insieme al suo più stretto collaboratore Giacomo Di Capua) con accuse gravissime: corruzione, concussione aggravata, turbativa d’asta. Sotto indagine finisce anche il braccio destro di Maroni, un altro pezzo grosso leghista: l’assessore al Bilancio Massimo Garavaglia, da Marcallo con Casone (MI).
Un quadro da far invidia a Mafia Capitale, che però non scalfisce i vertici del Carroccio. La mozione di sfiducia delle opposizioni viene respinta da una maggioranza regionale mai così coesa (impaurita dalle conseguenze di una resa), Salvini parte all’attacco della magistratura, lo stesso Maroni si dice soddisfatto della ritrovata unità del centrodestra. Un quadro che, se non fosse così tragico, avrebbe quasi del comico. Bobo ha salvato la poltrona e riposto le ramazze in cantina. Avesse scelto un’altra strada, quantomeno, ci avrebbe guadagnato in dignità.
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