giovedì 2 ottobre 2014

Riceviamo e pubblichiamo.

I 23 miliardi della Bce? Meglio darli alle imprese

Troppi debiti, serve mettere equity in 10-100mila imprese (e non c’è un sistema diffuso per farlo)
(Hannelore Foerster/Getty Images)

(Hannelore Foerster/Getty Images)

   
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L’ho scritto su twitter d’impulso: “e se quei 23 miliardi dati alle banche a tasso quasi zero fossero stati dati a chiunque voglia investire nel capitale delle imprese e nelle startup?”.  Perché più osservo empiricamente la situazione della finanza italiana e delle Pmi e più mi convinco che il tanto auspicato ritorno del credito alle imprese, formulato genericamente, (che poi altro non è che nuovo debito per le imprese) non è la soluzione che serve alla nostra economia. Perché persino la Banca d’Italia - che non ha alcun conflitto d’interesse nel favorire una o l’altra ipotesi - si rende conto e manifesta la convinzione che la soluzione per le imprese stia nel mettere più capitale, non più debito.

Stante questa situazione il quadro si sta componendo sempre più nitidamente ed è fatto da questi elementi:
La liquidità elargita dalla Bce alle banche servirà solo al 20-25% del totale delle imprese
1) la liquidità elargita dalla Bce alle banche andrà in minima parte alle imprese e per necessità andrà solo a quelle imprese che le banche, impaurite da anni di crescita delle sofferenze al 20-30%, reputano assolutamente sicure per quanto riguarda il rimborso. Queste sono forse un 20-25% del totale, se dal totale delle imprese “target” per le banche si escludono le imprese che non hanno bisogno di credito. Se ne sono convinti nei pochi giorni successivi alla prima asta Tltro commentatori esperti e giornalisti finanziari.

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2) nella stragrande maggioranza le piccole e piccolissime imprese sono già sovraccariche di debito e faticano a rimborsarlo. Non si spiegherebbero altrimenti le sofferenze, i fallimenti in aumento, la prevalente domanda per la ristrutturazione del debito certificata dalle stesse banche. Concedere altro credito a chi fatica a rimborsare il vecchio è sbagliato per tutti, non solo per le banche. Sbagliato per imprenditori, dipendenti, fornitori etc.
3) la capacità di rimborso delle imprese italiane è crollata in questi anni. Margini sempre più compressi o negativi per 4-5 anni di fila, nessuna riserva di liquidità. Pochi miglioramenti in vista sulla domanda interna, fiducia delle imprese in calo continuo, altro che propensione agli investimenti! Tanto meno verso investimenti a totale leva finanziaria e per di più a tassi elevati, superiori di 2-3% a quanto pagato dai concorrenti tedeschi o francesi.
Il canale di credito alternativo alle banche per ora è solo quello dei minibond, ma è quasi irrilevante
4) il canale di credito alternativo alle banche per ora è solo quello dei minibond - che sempre debito sono – ma è quasi irrilevante, come onestamente si dovrebbe scrivere sino ad oggi. In due anni il canale minibond ha rifornito meno di 50 imprese e, come ha scritto Morya Longo su Il Sole 24 Ore il 24 settembre, sono serviti per lo più a grandi imprese e a rifinanziarsi i debiti bancari. Solo 16 imprese-Pmi per un totale di 150 milioni di euro hanno usato il nuovo canale alternativo alle banche per raccogliere buon debito a fronte di piani di sviluppo. Briciole. Se anche arrivassero altre 100 imprese nel 2015 ad emettere bond veri e seri cosa avremmo mai risolto, rispetto ai 90 miliardi di credito che sono stati tolti?

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La terapia necessaria è quella di mettere capitale nelle imprese. Subito si pensa alle quotazioni in Borsa, ma anche in questo caso effetto su qualche decina di imprese e nulla più. Il capitale dovrebbe arrivare a fiotti invece, iniettato da chi sa valutare come farlo fruttare ma canalizzato dentro decine di migliaia di imprese piccole, medie o grandi. Non sono purtroppo i fondi di private equity il canale ideale per farlo: molti scomparsi e distrutti dalle perdite, altri interessati solo ad attraenti mordi-e-fuggi e in generale tanto, troppo selettivi per occuparsi di decine di migliaia di aziende con buoni prodotti, buoni skill ma pochi capitali. Sto vedendo in questi mesi sempre più casi di piccole imprese che potrebbero rifiorire solo con capitale di rischio, capitale che però non sanno dove trovare sul mercato. Alcuni si stanno rivolgendo ai propri partner commerciali.
La ricetta per portare quei 23 miliardi - o almeno una parte - prelevati dalle banche italiane e riversarli in canali e istituzioni che aumentino il capitale delle Pmi e le rafforzino in via permanente non c’è. Non possiamo aspettarcela dalle banche stesse, nonostante le banche sarebbero le prime a beneficiarne sulla qualità dei loro impieghi e finiscano forzatamente a sottoscrivere equity nei maxi-defalult (vedi Sorgenia…). Però potremmo sperare che gli esperti dei ministeri, che la stessa Bce, che le banche di sviluppo della comunità comprendano che anche se il circuito bancario europeo ritornasse a dare credito a pioggia resterebbe il problema di come facilitare e moltiplicare l’arrivo di equity nelle imprese italiane ed europee. Ma soprattutto italiane.
(Flickr /  PhotoAtelier)

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Alternative? Veramente poche. L’esile venture capital e il neo-crowdfunding italiano possono sostenere l’incubazione di qualche centinaio di micro-imprese startup, all’interno di un quadro giuridico innovato recentemente e tra i migliori nel panorama internazionale.
Il credito, se basato su poco capitale, deve invece tornare ad essere un “credito mercantile”, che finanzia in modo intelligente filiere di subfornitori, fornitori, grandi clienti con un grado di rischio attenuato da flussi commerciali veri e non finanziari. Come facevano i primi banchieri della storia.
(da Flickr / WHEATON Products)

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