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ROMA -  "Sapete perché ci criticano? Perché gli stiamo levando il potere. Sono critiche pretestuose. La verità è un'altra: stiamo rivoluzionando il Paese e c'è chi resiste. E stiamo obbligando anche il sindacato a cambiare". Matteo Renzi riflette così con i suoi più stretti collaboratori. La settimana si è chiusa con il patto di maggioranza sui contratti a termine e con l'avvio della riforma della pubblica amministrazione. In entrambi i casi i sindacati non hanno toccato palla. Sconfitti, o al massimo spettatori. Vanno all'attacco del governo - con l'eccezione della Uil - ma non osano nemmeno pronunciare le vecchie parole d'ordine, mobilitazione o addirittura sciopero di cui in altri tempi avrebbero già abusato. La tattica va aggiornata, questa volta.

Perché si sta aprendo una fase nuova nei rapporti tra il governo e le parti sociali. E ci sono scelte che spiegano con plasticità quel che sta accadendo. La prossima settimana il presidente del Consiglio, che è anche il segretario del Pd, non andrà a Rimini al congresso della Cgil ("mancanza di rispetto", ha avvertito la leader sindacale Susanna Camusso che ancora attende una risposta formale all'invito), ma non ci sarà nemmeno il 29 maggio all'assemblea generale degli industriali ad ascoltare in platea la relazione del presidente Giorgio Squinzi che in molti descrivono irritato con il premier più per ragioni di metodo, evidentemente, che di merito, dati i provvedimenti che finora sono stati presi. Par condicio, in ogni caso.