mercoledì 7 maggio 2014

Solita sceneggiata napoletana richiesta dal gruppo comunicazione per qualche voto di qualche povero analfabeta.

L’inutile bagarre al Senato del M5S sul decreto lavoro

di   - 07/05/2014 - I deputati pentastellati s'incatenano ai banchi mentre il Presidente Calderoli minaccia l'arresto, ma alla fine la fiducia arriva con 158 voti

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Bagarre al Senato prima della votazione di fiducia sul decreto lavoro. Protagonisti gli esponenti del Movimento Cinque Stelle che nel pomeriggio si sono incatenati ai banchi inscenando una protesta che non ha lasciato indifferente il presidente di turno, il leghista Roberto Calderoli. Alla fine la fiducia arriva con 158 voti.
movimento 5 stelle senato jobs act
LA PROTESTA A CINQUE STELLE - «Schiavi mai». Questo il testo delle magliette indossate dai senatori pentastellati dopo la decisione dell’esecutivo di porre la fiducia sul Dl lavoro. E dopo essersi ammanettati ai banchi la senatrice del Movimento Cinque Stelle Nunzia Catalfo ha lanciato la sfida: «Oggi non ci muoviamo e ci dovrete portare via con la forza». Roberto Calderoli non si è però lasciato intimorire dalle minacce, tanto da rispondere a tono: «Un minimo di decoro. Anche ammanettati possono essere portati fuori in colonna». Ed a chi protestava ha risposto: «Sospendo la seduta e vado a cercare un fabbro. Vi garantisco che alla ripresa non ci sarete più. State sicuri che alla ripresa sarete liberi perché ora vado a cercare i fabbri e in un modo o nell’altro uscirete di qui».
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LA RISPOSTA DI CALDEROLI - La minaccia si è fatta con il passare dei secondi sempre più forte: «Se questo comportamento prosegue a seduta sospesa posso anche disporre l’arresto». La protesta è rientrata, i senatori del Movimento si sono liberati e sono tornati al loro posto. Calderoli ha commentato così: «Ho visto che avete ritrovato le chiavi». Uno dei dissidenti dei Cinque Stelle, Francesco Campanella, ha commentato amaro su Facebook quanto accaduto:
Il M5s al Senato ha inscenato una manifestazione in aula con magliette e manette. Sono amareggiato: la strada per un governo fruttuoso dell’Italia passa stretta tra la dittatura della maggioranza di Renzi (che mette la fiducia per superare la difficoltà ad approvare il decreto per la precarizzazione del lavoro) e l’ostentazione esibizionista di un’opposizione sterile del M5s. Cosa fare per mettere insieme onesta’ politica e serio rispetto delle istituzioni nella politica italiana?
LA SODDISFAZIONE DI SACCONI - Mentre Maurizio Sacconi esulta senza risparmiare una frecciata all’esecutivo: «Questo voto di fiducia conclude di fatto l’iter travagliato di un decreto legge che avrebbe potuto essere approvato in tempi più rapidi se nella maggioranza vi fosse stata, con immediatezza, una piena adesione ai suoi contenuti originari. Tutto è bene, quindi quel che finisce bene anche se le discussioni che hanno accompagnato questo decreto ci devono insegnare l’esigenza di una maggiore lealtà nei rapporti di maggioranza anche nella Camera, ove i rapporti di forza, per un premio elettorale smodato, sono diversi da quelli del Senato».
UN LAVORO BUTTATO - Maurizio Buccarella, senatore a Cinque Stelle, attacca duramente il responsabile del dicastero del lavoro Poletti: «Il ministro arriva inaspettatamente in aula in Senato per presentare, in barba a tutto il lavoro svolto in commissione e in Parlamento, un maxi emendamento su cui il Governo chiederà la fiducia sul Jobs Act, rinominato Precari Act. Significa che il lavoro fatto da tutti i nostri portavoce in Senato verrà buttato nel WC come se nulla fosse. Ancora una volta il Parlamento viene espropriato di ogni funzione, per la sesta volta il Governo Renzi violenta le istituzioni e la democrazia in questo Paese. Siamo alla farsa finale».
LA CGIL HA VINTO - Per Forza Italia invece la fiducia al decreto legge «mette in rilievo ancora una volta i problemi interni al Pd, con una frangia da sempre rappresentativa dei sindacati, che non accetta un cambiamento reale che possa finalmente riattivare un mercato del lavoro reso immobile da anni di dominio sindacale». Secondo la senatrice Manuela Repetti «Il dl andava nella direzione giusta, ma la Cgil vorrebbe di più. Ecco quindi l’ennesima fiducia per evitare la palude e le insidie della sinistra conservatrice». Anna Maria Bernini aggiunge: «Nel testo finale c’è più Fornero che Biagi, non c’è flessibilità in entrata. C’è, insomma, tutta l’impotenza di un presidente del Consiglio che pretende di governare a colpi di slogan e slide». Eppure la Ggil, per bocca del segretario Camusso, ha attaccato il provvedimento definendolo uno strumento di precarizzazione. Una valutazione condivisa da Bonanni della Cisl mentre per Angeletti il Dl è positivo, anche per le penali sostanziose.
LA SODDISFAZIONE DEL MINISTRO POLETTI - Laura Puppato difende il decreto lavoro ribadendo che non si tratta del «Jobs Act, ma ne rappresenta il preambolo ed è un segnale preciso al Paese: che per questo governo e per questa maggioranza il problema dell’occupazione è una priorità assoluta. Noi intendiamo provocare uno choc nel sistema del lavoro in Italia». Soddisfatto il ministro del lavoro Poletti: «Abbiamo ancora un nucleo forte di emendamenti che sono stati ripresentati sistematicamente. C’è l’esigenza di stare dentro i tempi. Credo che se oggi il Senato chiuderà la discussione, la prossima settimana la Camera potrà calendarizzarlo e quindi siamo tranquillamente dentro i tempi di conversione».

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