“Contro il sentito dire”. La malattia dell’elettore italiano
“La tendenza a sorvolare su prove, fatti, cifre e verifiche ha cominciato ad affermarsi negli anni ’70 sull’onda del movimentismo giovanile, ed è cresciuta nell’ambito di una cultura generale intesa – nel nostro Paese – in senso filosofico-letterario, oltre che appesantita dall’idealismo. I buchi della scuola italiana e la disaffezione per la lettura hanno fatto il resto. Pian piano si è indebolita persino l’idea che ogni cultura si basi su qualche competenza“. Il giudizio è diretto, una lettura trasversale della contemporaneità e di tanta società italiana che toglie il fiato. A firmarla, in uno dei saggi contenuti nel volume “Contro il sentito dire” edito per i tipi Bollati Boringhieri, è Giovanni Jervis, psichiatra e psicologo già docente alla Sapienza di Roma, scomparso nel 2009.
Gervis fa suo un ragionamento sul relativismo – dai più inteso come una sorta di spontaneismo osoggettivismo – che quanto a conseguenze lascia poco spazio alle scappatoie. Ma andiamo per gradi.
“Se si accetta il frastuono delle grida anziché il sussurro dei fatti – scrive Jervis – è facile vedere come prevalga il populismo di Berlusconi (o di Grillo, diremmo oggi, ndr) e dei suoi fedeli, bravissimi nello sfruttare ignoranza ed emotività”. “Probabilmente – prosegue poco dopo Jervis – si sono confusi due àmbiti dell’intelletto che già i Greci cominciavano a voler separare: le credenze e le conoscenze. In alcuni circoli, infatti, va di moda il relativismo, dove non esistono eventi ma solo punti di vista”. E non si contano, nella politica attuale, i leader che continuamente sottolineano come non esistano idee di destra o di sinistra, nulla di troppo definito ma il più onnicomprensivo possibile per non perdere neanche un voto. Ed è così che da una stessa forza politica con onorevoli in Parlamento diffonde proclama contro il Tav accanto ad altrettanti slogan a favore delle forze dell’ordine, accuse contro la magistratura accanto ad elogi dei togati, articoli contro il Porcellum e proclama che lo esaltano. Insomma, di tutto un po’. “Nulla va rifiutato – afferma Jervis descrivendo questa nuova retorica politica – i protagonisti del ‘tutto fa brodo’ ci invitano a portarci a casa ogni cosa: l’astrologia insieme all’astronomia, le religioni esoteriche insieme alla fisica moderna [...] credenze e tradizioni, però, sono talora funzionali a regimi di ubbidienza”.
E la credulità non è qui intesa come tipica di chi non ha studiato, tutt’altro. Jervis ammette come “l’idea tipicamente relativistica, che contino più le opinioni che i fatti, e che non esistano vere conoscenze ma solo tanti punti di vista, nel nostro Paese ha trovato un terreno fecondo [...] Anzi, potremmo dire che in Italia una cultura scientifica non si è mai affermata. E la cultura umanistica, proprio per le sue caratteristiche, è un terreno di coltura più favorevole al relativismo rispetto a quella scientifica [...] ma non è certamente vero che tutte le opinioni si equivalgono. Alcune opinioni, viste in una logica scientifica e antirelativistica, vanno scartate, per lo più perché sono inattendibili, a volte solo perché sono sciocche“.
Con il tempo invece, il rifiuto dell’autorità – e quindi di un’idea rispetto a un’altra – ha portato con sé per paradosso anche il rifiuto della competenza. Per rendersi conto di quanto quanto una simile visione si sia affermata – anche alla luce di ondate politiche come quella di Forza Italia prima e del Movimento Cinque Stelle poi – Jervis guarda al passato: “forse uno degli aspetti più deteriori del Sessantotto – scrive il docente – è stato proprio di arrivare alla conclusione che non hanno vera legittimità né le competenze né i competenti, aprendo anche qui la strada a un relativismo nel quale si fanno spazio e acquistano potere gli incolti, gli ingenui e, naturalmente, i furbi, i mestatori e i negromanti”. Basti pensare a ex ministri che fino a poco prima erano di professione modelle o – ancora – a certi onorevoli grillini che prima di candidarsi erano infermieri o informatici: tutti mestieri rispettabilissimi, che però non danno certo le competenze per governare un Paese. Ma di questo – nel relativismo imperante per cui si accetta praticamente tutto e il suo contrario – gli italiani paiono non rendersi ormai più conto. E’ il frastuono delle grida contro il sussurro dei fatti. La mania di condividere sui social cartelloni e cartellini con dati e numeri mai verificati piuttosto che misurare tutto alla prova dei fatti.
Incapaci di misurare con coscienza, nota saggiamente Jervis, finiamo con l’eccedere in verifiche che rasentano l’assurdo ma da molti sono pur ritenute credibili (basti pensare all’idiozia delle scie chimiche, delle sirene o dei microchip sottocutanei, per citarne alcune dette da certi onorevoli). “La nostra tendenza spontanea a sospettare intenzioni ostili dipende da come è fatto il nostro cervello [...] oggi il timore di trame occulte si diffonde sulla base dell’ipotesi che la grande stampa e la televisione diffondano notizie di comodo per nascondere trame sociali“. E per raccontare come certi politicanti sfruttino in modo saggio e sapiente a fini elettorali la credulità e la paranoia di molti, Jervis fa un caso pratico: “Sul riscaldamento globale e l’effetto serra noi osserviamo paranoie marginali: come quella secondo cui tutti i potenti del globo potrebbero, se volessero, in tempi brevi abbandonare il petrolio e usare al suo posto la forza del vento e il calore benigno del sole. Bisogna essere abbastanza ignoranti – conclude Jervis – per credere questo: ma molti ci provano“.
Al relativismo di fondo e alla presunta inconsistenza di una tesi rispetto a un’altra, Jervis dà una lettura che chiama in causa proprio quella “rete” tanto osannata da certuni leader politici nostrani: “la televisione e poi i computer hanno favorito una cultura della velocità e dell’immagine, e quindi i diciottenni tendono a leggere meno libri anche quando sono bravi a scuola e trovano libri nella biblioteca di casa; a differenza che in passato capita che anche i più intelligenti non leggano né romanzi né libri divulgativi”. La disinformazione e la bugia che il web dia ogni informazione utile a formarsi un’idea completa, è il passo successivo. Con un panorama informativo che giocoforza di riduce sempre di più per moltiplicarsi online, dove tutto ha lo stesso peso, la stessa parvenza di credibilità. Come le scie chimiche.
Da qui la creazione di un consenso informato e uno disinformato. “Mi riferisco – scrive Jervis – a coloro che chiedono il voto degli altri, il consenso, dicendo semplicemente ‘fidati di me’, senza esprimere un programma o un esame della situazione (basti pensare alla vaghezza dei programmi di tutti i partiti oggi sulla scena politica: dai proclama senza fondamenta fino a fantomatici punti senza il benché minimo cenno di come questi verranno messi in atto, ndr). Oppure dicendo: io sono un persona buona, io sono una persona superiore, io ho le idee giuste, ma senza dire IN DETTAGLIO quali siano queste idee. Si chiede cioè un consenso a un progetto che non un progetto, a un programma che non è un programma. Si chiede il consenso a una persona, a una fede, a uno slogan. Ecco, questo è il consenso disinformato. E’ il consenso delle chiese e dei movimenti politici autoritari“. I movimenti che espellono chi non si uniforma, ad esempio.
@emilioftorsello
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