mercoledì 12 marzo 2014

Un articolo da leggere.

I troll con l’elmetto

di  - 12/03/2014 - La rete come spazio mediatico è uno dei campi di battaglia sui quali occorre vincere, vale per la politica e vale anche per i militari, che in rete schierano le loro truppe

I troll con l'elmetto
I troll come arma, la rete come un campo di battaglia, con la crescita d’internet crescono anche i tentativi di disciplinarla o almeno di dominare il discorso pubblico come da sempre si cerca di fare con i media tradizionali.
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IL NUOVO MODELLO DI GUERRA - Nel suo The New Western Way of War (L’occidente alla guerra : la tentazione dell’interventismo) Martin Shaw analizzava il ritorno dell’Occidente alla guerra dopo la relativa astinenza imposta dalla disavventura in Vietnam. Il nuovo modello di guerra occidentale, ricalcato sul conflitto delle Falkland prevede che la guerra sia praticabile per l’Occidente quando i governi che vanno alla guerra riescano a soddisfare tre condizioni. La guerra non deve provocare vittime occidentali o almeno ridurre al minimo le perdite, i morti degli altri non rilevano. La guerra non deve perturbare il ciclo economico e la quotidianità dei cittadini dei paesi che vanno alla guerra, quindi le campagne devono essere il più possibile condotte facendo economia di denaro o, per quelle più costose, fungere da volano keynesiano per pompare il denaro speso per la guerra nelle casse delle aziende di casa. La guerra infine dev’essere vinta anche su un terzo battlefield oltre ai campi di battaglia veri e propri e al capo di battaglia dell’economia locale e globalizzata: quello dei media
I SOCIAL NETWORK COME CAMPO DI BATTAGLIA - Con la crescita della rete come media è nata quindi la necessità di «vincere» anche sul piano del discorso pubblico che si sviluppa sulle reti sociali e quindi d’elaborare strategie e dispositivi che permettano di perseguire quel risultato che con i media corporate è ottenuto grazie a sapienti pressioni governative e all’integrazione degli stessi media nel tessuto economico, che ne assicurano la complicità senza bisogno di chiamare in causa il patriottismo o l’adesione convinta allo sforzo bellico. Le reti sociali sono però animate da una miriade d’individui difficilmente disciplinabili attraverso questi canali e per ora anche gli Stati Uniti non hanno trovato di meglio che disseminare la rete di troll, siano umani, robotizzati o semi-robotizzati, che come tutti i troll che si rispettino hanno il compito di rimestare le acque, disseminare false informazioni e in genere dirottare le conversazioni là dove non possono fare male.
I CASI VERIFICATI - I militari non fanno che adeguarsi e adottare i sistemi più in voga, già adottati visibilmente dalla politica, anche perché il terreno è quello della politica nel senso più puro, in fondo la definizione di von Clausewitz secondo la quale la guerra non è che la continuazione della politica con altri mezzi resiste incontestata a distanza di duecento anni da quando è stata pronunciata dal grande teorico militare prussiano. E gli esempi in politica non mancano, nel 2013 ad esempio in occasione delle elezioni federali australiane è stato notato un gran dispiegamento di troll, che secondo la Edith Cowan University che ha studiato il fenomeno avevano esattamente la missione di vincere la battaglia elettorale in rete. Lo stesso è successo con le ultime presidenziali russe e anche in Corea del Sud i giudici ha finito per accusare i servizi segreti, la polizia e i militari di aver pubblicato un milione e duecentomila tweet in alcuni mesi, ripetendo diverse volte una lista di 26.500 messaggi distribuiti tra gli agenti, al fine di danneggiare i concorrenti della presidente Park Geun-hye a vincere le elezioni del 19 dicembre scorso. Più modesto invece l’uso dei troll da parte del governo ruandese, una cosina fatta in casa, tanto che il gestore dell’account di Paul Kagame si è fatto cogliere con le mani nel sacco ad insultare pesantemente una giornalista straniera sgradita usando un account farlocco e poi a proseguire il discorso con quello del presidente ruandese.

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