martedì 11 marzo 2014

Così è ridotta l'Argentina. Questa è la nazione che Grillo, il più grande economista di tutti i tempi, ci chiedeva di imitare. Meno male che di pagliacci in Italia ve ne sono solo due.

Buenos Aires Da oggi l’obiettivo è otto. Otto pesos per un dollaro. La svalutazione progressiva del peso, che settimana scorsa ha visto l’intervento della banca centrale argentina per riequilibrare il mercato dei cambi, è una strategia voluta e decisa dal governo di Cristina Fernandez. Che, in un primo tempo, lo ha negato. Ma le parole dei suoi ministri non lasciano adito a dubbi.
Fine del cepo cambiario?
È la fine della strategia della costante azione di micro-svalutazione degli ultimi tempi. Venerdì 24 gennaio, in un annuncio alla stampa durato meno di 120 secondi, il capo di gabinetto Jorge Capitanich e il ministro dell’Economia Alex Kicilloff comunicavano l’intervento deciso dal governo, con la Banca centrale, per posizionare il dollaro a otto pesos. E annunciavano che dal lunedì successivo, cioè oggi, le limitazioni previste per comprare dollari sarebbero cambiate.

In altre parole: fine del cosiddetto ‘cepo cambiario’, definizione coniata dalla stampa argentina nel 2011 per descrivere le limitazioni alla compravendita di dollari decisa proprio dal governo di Fernandez. La crisi energetica (Repsol sarà espropriata nel 2012), e il fatto stesso di non aver adempiuto a diversi debiti con paesi e organismi stranieri aveva lasciato il paese con una pessima fama nel cercare crediti  internazionali e con la necessità di mantenere nelle proprie casse la maggior quantità possibile di dollari per pagare il deficit energetico. È così che si limitano le cifre dei singoli risparmiatori, che per tradizione in Argentina investono in dollari. Si costruiscono delle regole che rendono difficile invertire e per somme ridotte. Si tassano al 50% le transazioni su internet, previa dichiarazione giurata, si pagano le pensioni che provengono da fuori in pesos, si vieta alle imprese di distribuire dividendi all’estero.
Nuove regole e meccanismi di cambio
Oggi inizia una nuova stagione, ricca di incognite: verranno comunicati con esattezza quali sono i nuovi meccanismi per investire in dollari e si capirà davvero quanto i ceppi spariranno o saranno solo allentati, come prevede l’ex presidente della Banca centrale Aldo Pignatelli: "Rispetto alle condizioni di mercato, è impossibile che ci liberino dalle limitazioni, perché oggi la domanda di dollari supera ampiamente l’offerta e le riserve sono cadute in basso”.
In effetti, gli ultimi dati sulle riserve non sono confortanti: nelle ultime settimane i vari interventi che hanno interessato l’azione della banca centrale hanno portato a sfondare i 30 miliardi di dollari, il livello più basso degli ultimi sette anni, contro i 52,6 miliardi del 2011.
«È del tutto evidente – spiega a pagina99 l’economista Matias Tombolini, titolare della cattedra di Economia all’Universidad de Buenos Aires e commentatore per diversi periodici nazionali - che il governo abbia deciso di abbandonare la strategia di svalutare la moneta un poco al giorno e passare a una svalutazione brutale. Questo è stato deciso per il fatto che le micro-svalutazioni avevano perso il proprio effetto, facendo in modo che gli esportatori, che sono quelli che devono offrire dollari, ritirassero le proprie offerte di vendita perché sempre in attesa di un aumento del valore del dollaro, mentre gli importatori, che sono quelli che chiedono dollari, avessero  fretta di comprare con lo stesso concetto. Questo favoriva condotte speculative che non erano positive per il mercato dei cambi».
Gli effetti sull’inflazione
È stato un fine settimana di attesa, di incertezza, di vendite bloccate e congelate per alcuni beni materiali su internet o nelle grandi catene, perché l’intervento annunciato avrà una ripercussione diretta sul potere di acquisto, sui salari, in un paese in cui il dato veritiero sull’inflazione è oggetto di grandi dispute: per i dati ufficiali è al 10,9%, mentre i calcoli non ufficiali arrivano a sfiorare il 25%.
E così, mentre sul negozio web di Fravega, campione di vendite di elettrodomestici e telefonia, era tutto un prosperare di ‘sito in mantenimento’ per evitare di svendere dei prodotti che da oggi avranno sicuramente un adeguamento di prezzo, in rete partiva fra il divertito e il preoccupato, l’hastag #chaocepo faceva furore, con un saluto liberatorio per molti e con grandi quesiti proprio sul potere di acquisto che si verrà a configurare quando, non senza qualche vuoto d’aria, il viaggio in quota della nuova misura si potrà stabilizzare.
Dolar blu, mercato nero.
C’è un altro quesito che tiene banco più nelle strade che sui giornali argentini: come cambierà la quotazione del cosiddetto ‘blu’? Il dollaro blu è il mercato nero del cambio: venerdì scorso nel pieno della tormenta del peso il dolar blu era arrivato a sfondare quota 13 pesos. Il mercato nero, che avviene per strada, negli alberghi o dentro le cuevas, luoghi dove cittadini e turisti possono cambiare e acquistare dollari, dovrebbe riposizionarsi in proporzione al dollaro ufficiale, e in questo senso lo stesso ministro dell’economia Kiciloff dice in una intervista al quotidiano argentino Pagina12 che “una volta che si abilitino le acquisizioni per i privati in base alle proprie entrate, crediamo che la gente saprà prendere la miglior decisione. Ci sarà un limite mensile, ma con la possibilità di acquistare tutti i mesi”. E si dice fiducioso, ovviamente, delle politiche di contenimento del governo laddove si verificassero dei forti attacchi speculativi.
Speculazione e Banco central
Il sistema adottato dalle istituzioni monetario del Paese è quello della fluttuazione amministrata: il peso deve rimanere a quota 8, che è il valore che il governo e la Banca centrale hanno individuato come ‘il più adeguato’ per il biglietto verde, dopo una svalutazione progressiva del peso, con rush finale, che in due mesi lo ha fatto calare del 33%.
Svalutare per il governo significa spingere il settore agricolo e delle materie prime a farla finita con il meccanismo delle scorte, che rimangono nei silos in attesa di un prezzo conveniente, come strumento per interferire negli scambi. Molti settori industriali hanno tutto l’interesse a fissare il valore del dollaro al più alto livello possibile, per aumentare i propri guadagni. E così si spiegano, ma solo in parte, le contorsioni di venerdì scorso, quando dall’esecutivo argentino è partita un’accusa esplicita e diretta contro la Shell Argentina. Il presidente argentino della multinazionale, Juan José Aranguren, ha influito sui cambi avanzando un’offerta per comprare 3,5 milioni di dollari a quota 8,40 pesos nel momento stesso in cui la moneta argentina valeva 7,30, con un sovrapprezzo vicino ai 4 milioni di pesos.

«Senza dubbio – dichiara a pagina99 Matias Tombolini -, chi muove il meccanismo dei cambi in Argentina è lo Stato. Per questo le autorità si premurano di dirci che siamo dentro uno schema di fluttuazione amministrata, in maniera che il potere esecutivo possa determinare il tasso di cambio nel nostro paese. Quindi possiamo dire che se un imprenditore, come dicono, ha cercato di destabilizzare la moneta, e che con 3,5 milioni di dollari si possono cambiare le regole del gioco, allora lo Stato è alla mercé della buona sorte perché non mi sembra che questo sia un importo capace di competere con 29,2 miliardi di dollari di riserva, che erano nelle casse al momento in cui è stata realizzata quella manovra».

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