POLITICA
Il processo ai due grillini espulsi
Lunedì sera, al circolo Andrea del Sarto di Firenze, i due senatori espulsi dal Movimento 5 Stelle hanno raccontato i motivi delle loro dimissioni e i retroscena degli ultimi dieci giorni
La rabbia di Romani è nata «fondamentalmente dall’esempio, secondo me vergognoso, che un gruppo parlamentare stava dando ai propri elettori. Se noi, come rappresentanti di cittadini, ci gettiamo gli uni contro gli altri, non come gruppo ma come branco, credo che facciamo un danno enorme a tutti coloro che in questo momento siedono in questa stanza». Successivamente, c’è chi nel M5S ha cercato di trattenere Romani per fargli cambiare idea, con metodi poco ortodossi per il Movimento. Romani, nel corso dell’assemblea di lunedì scorso, ha raccontato di aver ricevuto varie offerte, tra cui quella di fare il capogruppo al Senato al posto di Vincenzo Santangelo. «Mi hanno offerto il posto di Santangelo – ha detto il senatore – mi hanno fatto richieste più o meno velate e questa è stata un’ulteriore conferma che quello che stavo facendo non era giusto, era doveroso; era doveroso nei confronti di tutti coloro che credono nel Movimento». In alcuni colloqui successivi con lo stesso Santangelo, Romani rivela di aver ricevuto «altre promesse», anche se «non di quel tipo lì; quelle me le ha fatte un altro. Io a Santangelo ho detto che aveva perso. Per una semplice cosa. Le parole che hanno fottuto Santangelo e che mi hanno fatto portare di corsa alle mie dimissioni sono state quelle di mio figlio, che ha detto: sono fiero di te. E siccome lo dovrò guardare negli occhi per tutta la vita, mentre Santangelo, quando sarà finita questa avventura, non lo vedrò più, io ho consegnato le mie dimissioni».
Ma non è finita qui. Romani ha spiegato anche che cos’è successo nelle ore precedenti il voto di fiducia, o meglio “di sfiducia”, del Movimento al governo di Matteo Renzi al Senato e su come i senatori si stavano preparando ad accogliere il nuovo esecutivo. «Sulla chat viene una idea a uno dei nostri senatori più intelligenti, e cioè che forse era meglio parlare un minuto per uno e mandarlo a fare in culo in trentacinque. È stata scelta questa decisione, con un voto in chat di 10 persone favorevoli e 5-6-7 contrari, che è un grosso esempio di democrazia partecipativa, soprattutto perché viene fatta in una chat, che può essere vista o non vista. Io non ho detto nulla, non ho partecipato a questa chat, sono stato contattato in treno e alla loro decisione – ‘mi devi dire cosa dici, perché così noi ripetiamo il vaffanculo tutti uguale, con tonalità diverse’ – io ho risposto che quello che dicevo in un minuto era che consegnavo il mio stampato agli stenografi. Avrei detto che ritenevo questo un’offesa alla mia intelligenza, fatta per fortuna da un piccolo gruppo di colleghi e che quindi non avrei detto nulla e che avrei consegnato l’altra copia a Renzi, in maniera tale che mentre gli altri lo offendevano, lui, se voleva, poteva leggere una cosa interessante».
Alla fine, di fronte al suo diniego, gli hanno lasciato i suoi quattro minuti a disposizione, mentre gli altri interventi dei senatori in aula sono stati molto rapidi e molti duri nei confronti di Renzi. Anche quello di Romani era stato critico, ma il neopresidente del Consiglio ne aveva apprezzato la civiltà. «Il senatore Romani ed io – queste le parole di Renzi – non condividiamo molte cose, direi che ne condividiamo poche in particolar modo per quanto riguarda la nostra città. Ma credo che il tono che egli ha usato in quest’aula, un tono profondamente critico ma decisamente rispettoso dell’aula stessa mi ha reso particolarmente felice».
12 marzo 2014
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David Allegranti
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